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 2012  settembre 24 Lunedì calendario

La morsa di Monti può vanificare gli sforzi di Draghi - «Il governo ha contribuito ad aggra­vare la congiuntura economica con i suoi provvedimenti»: paro­la di Monti (11 settembre)

La morsa di Monti può vanificare gli sforzi di Draghi - «Il governo ha contribuito ad aggra­vare la congiuntura economica con i suoi provvedimenti»: paro­la di Monti (11 settembre). E se lo dice lui c’è da credergli. Ma non è accettabile, né dal punto di vista politico né da quello del­l’analisi economica, il corollario che il presidente Monti ha proposto: «Serviran­no a un risanamento e a una crescita dura­tura ». Perché i provvedimenti sbagliati che ha introdotto il suo esecutivo, quali l’aumento della pressione fiscale di quasi 3 punti, in gran parte rappresentati dall’Imu e gravanti sul setto­re immobiliare, e l’overshooting , nel senso di eccesso di rigore nel­la riforma Fornero delle pensioni e del mercato del lavoro, rappre­sentano misure depressive, capa­ci di influire negativamente tan­to sul ciclo congiunturale quanto sugli assetti strutturali della no­stra crescita economica: welfare, mercato del lavoro, mercato im­mobiliare. La tassazione fuori mi­sura sulla casa sta portando con sé effetti disastrosi, se consideria­mo che il settore dell’edilizia è quello con il più alto coefficiente di attivazione sull’economia. In­somma, fanno male alla nostra economia adesso, e faranno ma­le in futuro. Né appare chiaro dove Monti veda la «luce della ripresa», se i dati che continuano ad arrivare relativamente all’economia rea­le mostrano segni sempre più ne­gativi. Solo nell’ultima settima­na Istat e Banca d’Italia ci hanno ricordato che tra luglio 2011 e lu­glio 2012 settore delle costruzio­ni, fatturato e ordinativi dell’in­dustria hanno subìto un calo ri­spettivamente del 14,2%; del 5,3% e del 4,9%. Non solo: la fidu­cia dei consumatori è crollata del 15% e il Paese è in stallo dal punto di vista della produzione: nelle imprese con almeno 10 dipen­denti le ore lavorate sono diminu­ite del 10% ed è aumentato il ricor­so alla cassa integrazione guada­gni. Fu il governo stesso a scrivere che il Decreto «Salva-Italia» avrebbe comportato, nel trien­nio 2012-2014, riduzione del Pil, calo dei consumi privati, caduta dell’occupazione e aumento del­l’inflazione. Bel colpo. Ben detto. La Corte dei conti commentò che l’effetto recessivo sarebbe stato, solo nell’anno 2013, di 37,5 mi­liardi e che la manovra avrebbe causato un aumento della pres­sione fiscale fino a oltre il 45%. La Nota di aggiornamento del Def presentato giovedì scorso non po­teva far altro che co­nfermare e ag­gravare le tinte fosche rappresen­tate ad aprile. Il tasso di crescita del Pil sarà negativo (-2,4% e -0,2% rispetti­vamente nel 2012 e nel 2013) e l’indebitamento netto, vale a di­re la differenza tra le entrate fina­li e le spese finali dello Stato, al netto delle operazioni finanzia­rie attive, sarà pari a -2,6% nel 2012 e-1,6% nel 2013. A causa del­la contrazione della crescita, au­menterà inoltre il rapporto debi­to/ Pil. E qui veniamo al cuore del­la questione. L’argomentazione di Monti che le misure varate por­teranno a una crescita duratura, è senza fondamento scientifico. Gli effetti di una caduta degli inve­stimenti, sia pubblici sia privati, e la chiusura di imprese e il licen­zia­mento dei lavoratori per difet­to di domanda interna, distruggo­no la capacità produttiva e com­petitiva del Paese. Il che finisce inevitabilmente per riflettersi sul­la crescita di lungo termine. Questo significa anche che con un periodo prolungato di reces­sione e stagnazione, la congiun­tura negativa diventa strutturale e peggiora il deficit. La politica economica portata avanti dal go­verno, oltre a influire negativa­mente sia sul ciclo congiunturale sia sulla crescita potenziale, ha fi­nito per ridurre drasticamente l’efficacia della politica moneta­ria che Draghi ha cercato di far convergere progressivamente verso l’impostazione espansiva adottata dalle altre banche cen­trali mondiali. Come ci spiegano i più grandi banchieri centrali, Ben Ber­nanke e Mario Draghi in primis, se la crisi economica e finanzia­ria non è ancora stata risolta, ciò è dovuto proprio alla difficile tra­smissione della politica moneta­ria. Una politica di bilancio ecces­sivamente restr­ittiva non solo de­potenzia l’effetto espansivo di un aumento della liquidità ma, de­terminando aspettative negati­ve, impedisce alla liquidità di tra­smettersi all’economia reale. La liquidità non si trasforma, dun­que, né in credito a imprese e fa­miglie da parte del sistema banca­rio, che utilizza la maggiore quan­tità di monet­a disponibile per raf­forzare i propri standard, né in in­vestimenti ( e conseguenti assun­zioni) da parte delle imprese, né, infine, in consumi da parte delle famiglie,che nell’incertezza pro­pendono più per il risparmio. La politica monetaria espansi­va, coordinata tra banche centra­li e f­inalizzata a reflazionare l’eco­nomia mondiale, si scontra, per­tanto, con le politiche recessive che i singoli Stati in Europa sono stati costretti ad adottare sotto la pistola puntata alla tempia degli spread. Applicando questo ragio­namento al nostro Paese, la politi­ca economica del governo Monti si sta rivelando, al di là delle inten­zioni, il maggior ostacolo alla po­litica monetaria della Bce di Ma­rio Draghi. Non sfugge a nessuno, natural­mente, che la politica dell’esecu­tivo sia stata fortemente condi­zionata da ciò che accadeva a li­vello europeo sotto la regia defla­zionista della Germania, ancora non messa in discussione. E non neghiamo che questa ottempe­ranza a una politica evidente­mente errata, a giudizio della maggioranza degli economisti del mondo, abbia permesso allo stesso Draghi di ridurre l’opposi­zione tedesca a una svolta espan­siva alla politica monetaria. Ma la necessità «politica» non cam­bia il fatto che questa politica eco­nomica fosse sbagliata. Ora è necessario applicarsi per porvi rimedio. Il momento, nean­che a dirlo, è quello giusto: le sca­denze del semestre europeo, av­viato nel 2011 al fine di assicurare coerenza finanziaria tra le politi­che strutturali e gli obiettivi di fi­nanza pubblica dei Paesi dell’Eu­rozona, prevedono che entro il 15 ottobre il governo presenti in Parlamento la Legge di Stabilità per il 2013. È l’ultima occasione che l’esecutivo ha per rivedere la sua politica economica. Fermi restando, sia chiaro, ri­gore nei conti e pareggio di bilan­cio, è l’occasione giusta per: 1) ri­vedere profondamente la tassa­zione sugli immobili, in particola­re l’Imu sulla prima casa; 2) rilan­ciare il federalismo fiscale e mu­nicipale, attuando i relativi decre­ti; 3) introdurre obiettivi di ridu­zione della pressione fiscale (per esempio, 5 punti percentuali in 5 anni) e un progressivo sposta­mento del carico fiscale dalle per­sone alle cose, realizzando la de­lega fiscale del governo Berlusco­ni; 3 ) avviare la riforma delle rifor­me: un piano credibile di riduzio­ne del debito pubblico per ripor­tare in 5 anni il rapporto rispetto al Pil sotto il 100%, con conse­guente drastica riduzione del ser­vizio del debito, che libera risor­se utili per il rilancio dell’econo­mia; 4) correggere gli errori tecni­ci della riforma delle pensioni, per porre fine al problema dei co­siddetti «esodati»; 5) rivedere la riforma del mercato del lavoro, per intervenire sul sistema di con­trattazione salariale collettiva, ampliando il ruolo degli accordi a livello di impresa, in modo da adeguare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende, come già iniziava a fare l’accordo del 28 giugno 2011 tra le principali sigle sindacali e le associazioni industriali e il mi­nistro Sacconi e come ci chiede­va la Bce nella celebre lettera del 5 agosto 2011, e per ripristinare la flessibilità in entrata prevista dal­la legge Biagi. Sono interventi decisivi, per una nuova politica economica. Per far tornare il nostro Paese a crescere assieme all’Europa. Ba­sta, dunque, con i ricatti della Germania, che ha portato gover­ni e parlamenti ad approvare ri­forme sbagliate, basate su analisi parziali e distorte della crisi, che tendevano alla colpevolizzazio­ne degli Stati­piuttosto che alla so­luzione strutturale in sede comu­nitaria degli squilibri macroeco­nomici nella costruzione dell’eu­ro. È questa l’ultima sfida cui è chiamato il governo. Sarà questo l’inizio di una nuova fase in Italia e in Europa. È questo lo stretto sentiero che Monti e le forze poli­tiche che si confronteranno nella prossima campagna elettorale hanno davanti. Altro che conti­nuità con il maledetto imbroglio dello spread .