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 2012  settembre 24 Lunedì calendario

«Io, la giudice velista tramutata in mostro» - Avete presen­te «la giudi­ce malata» che «fa la velista» ( Corriere della Se­ra ), la «giudice in mutua condannata dal Csm» perché «aveva partecipato a una regata transoceanica» ( La Stam­pa ), la «toga fannullona» che «si fingeva malata ma girava il mondo in barca» ( Il Giornale )? Ma sì che ve la ricordate, titoli come questi non si dimenticano facilmen­te

«Io, la giudice velista tramutata in mostro» - Avete presen­te «la giudi­ce malata» che «fa la velista» ( Corriere della Se­ra ), la «giudice in mutua condannata dal Csm» perché «aveva partecipato a una regata transoceanica» ( La Stam­pa ), la «toga fannullona» che «si fingeva malata ma girava il mondo in barca» ( Il Giornale )? Ma sì che ve la ricordate, titoli come questi non si dimenticano facilmen­te. Be’,le cose non sono andate affatto co­me le abbiamo sempre raccontate. Pri­mo: quando Cecilia Carreri partecipò alla regata Transat da Le Havre a Salvador de Bahia, citata da tutti i giornali, non era né «in mutua» né in malattia: godeva di un re­golare periodo di ferie. Secondo:a prescri­verle l’attività fisica, compresa quella nau­tica, per alleviare il suo stato di sofferenza fisica e psichica furono i medici Leonardo Trentin (terapia antalgica, ospedale San Bortolo di Vicenza), Enrico Castaman (or­topedia, ospedale di Montecchio Maggio­re) e Luigi Pavan (psichiatria, Università di Padova), che non sono mai stati né in­terrogati né tantomeno inquisiti. Terzo: il Gip di Trento ha archiviato «perché il fat­to non sussiste» il procedimento penale per truffa ai danni dello Stato; anzi, la peri­zia ordinata­dal Pm ha accertato che la ma­gistrata soffriva davvero di una grave pato­logia lombosacrale con discopatie multi­ple e di uno stato depressivo importante, dovuto alla morte dei genitori, come atte­stato da 68 certificati medici, da 7 Tac e dalla cartella clinica del reparto di terapia antalgica e come avvalorato da tutte le vi­site fiscali, tanto che non le fu mai revoca­ta l’aspettativa per motivi di salute. Quar­to: non è stata condannata e neppure cen­surata quale assenteista, «per cui darmi della falsa malata costituisce a tutti gli ef­fetti una calunnia». Quinto: a stroncarle la carriera sono stati i suoi colleghi di sini­stra dalla coscienza sporca. La giudice skipper s’era infatti macchiata di colpe inescusabili: lavorava più di loro (il fasci­colo personale parla per lei); denunciava le gravi illegalità commesse a palazzo di giustizia; veniva celebrata dalla Gazzetta dello Sport e da Le Figaro come «il magi­strato che sfida il mare verticale»; soprat­tutto non s’era mai iscritta ad alcuna cor­rente della magistratura e non aderiva agli scioperi di categoria. Cecilia Carreri era giudice per le indagi­ni preliminari presso il tribunale di Vicen­za. Non lo è più. Spossata dal linciaggio mediatico, ha dismesso la toga di sua vo­lontà prim’ancora che il Consiglio supe­riore della magistratura le infliggesse una sanzione disciplinare (decurtazione di un anno di anzianità e trasferimento d’uf­ficio ad altra sede) per aver «leso il presti­gio della magistratura». Solo che adesso salta fuori una lettera datata 16 novem­bre 2009 in cui Nicola Mancino, all’epoca vicepresidente del Csm, le scrive, nero su bianco: «Posso comprendere le ragioni della sua amarezza per essere diventata un capro espiatorio di disfunzioni- vere o presunte- della giustizia e della magistra­tura ». Come dire: abbiamo scannato l’agnello sacrificale.Un particolare lascia basiti: Mancino presiedeva la commissio­ne disciplinare che le irrogò la punizione. Di vero, in tutta questa storia, c’è solo che l’ex giudice Carreri è stata privata per sempre del suo lavoro, che per l’ostilità dei colleghi e per il carico di lavoro esorbi­tante è stata colta in ufficio da collassi che hanno richiesto l’intervento del 118 e il tra­sporto in ospedale con l’ambulanza, che è stata chiamata dalla Corte dei conti e dal­l’erario a restituire ingenti somme sulla base di cavillosità per spiegare le quali non basterebbero due pagine di giornale. Non per questo ha perso il vizio del ma­re. Il 10 novembre vorrebbe partire da Les Sables d’Olonne per il Vendée Globe,giro del mondo in barca a vela senza scalo, sen­za assistenza, in solitario. Sarebbe la pri­ma navigatrice italiana che vi partecipa. Ma ha bisogno di uno sponsor che le pre­sti la barca, perché s’è mangiata pure quel­la per saldare le parcelle agli avvocati. «Pri­ma mi sono sempre pagata da sola queste imprese che hanno recato onore all’Ita­lia, ben conscia che un magistrato non può ricevere soldi o aiuti da chicchessia». Cecilia Carreri- laurea in giurispruden­za a 23 anni con 110 e lode, prima classifi­cata nel Veneto al concorso di ammissio­ne in magistratura- coltiva da anni la pas­sione per gli sport estremi. A parte la tra­versata dell’Atlantico presa a pretesto per rovinarle la reputazione, «17 giorni la re­gata dalla Francia al Brasile e 22 giorni il ritorno, con una barca da 60 piedi priva delle cuccette e del bagno, sfidando in pie­no dicembre tempeste e venti contrari a 60 nodi», ha scalato da sola il Rosa, ha af­frontato il Bianco con gli sci ai piedi, ha tentato di espugnare la vetta del Cho Oyu (8.201 metri) nell’Himalaya, è salita in ci­ma all’Alpamayo (5.947) in Perù. Senza che lo stato di servizio avesse a soffrirne. Allora com’è che l’hanno macellata? «Arrivo al tribunale di Vicenza nel 1992, in piena Tangentopoli, proveniente da Tre­viso, dove il presidente era Giancarlo Stiz, magistrato schivo e integerrimo. E trovo una situazione allucinante, con faide in­terne fra toghe di sinistra e di destra. Pre­metto che non mi sono mai interessata di politica. Così divento un vaso di coccio fra vasi di ferro. Vengo chiamata come testi­mone in vari procedimenti disciplinari e penali contro colleghi per abusi d’ufficio e mi procuro subito un bel po’ di nemici. Come giudice per le indagini preliminari mi rifilano un vicino di scrivania aperta­mente di sinistra. Assisto a cose turche». Può essere più precisa? «Tabelle falsificate. Giudici che avevano due udienze a settimana e ne tenevano una sola.Il presidente di sezione che depo­sitava appena 20 sentenze l’anno. Pm che per negligenza si dimenticavano di far scarcerare i detenuti.Brogli nell’assegna­zione dei fascicoli al fine di favorire impu­tati eccellenti. Anziché procedere con l’as­segnazione automatica, come previsto dalla legge, i colleghi si dicevano l’un l’al­tro: “ Lo vuoi tu ’sto processo?”.Il presiden­te del tribunale mi chiese una relazione. Scattòun’ispezione sul mio compagno di stanza e da quella mia denuncia cessai di vivere. Quindici anni di clima persecuto­rio. Ero costretta a tenere un registro del la­voro svolto, perché alteravano le statisti­che, facevano persino sparire i fascicoli. Ma non sono riusciti a fermarmi.Quel ma­gistrato aveva anche l’abitudine di andare a caccia nelle tenute private di un famoso imprenditore indagato per reati societari. Si dà il caso che io abbia respinto una ri­chiesta di archiviazione per quel suo ami­co industriale, avanzata dal procuratore capo che mi faceva delle pressioni». Il procuratore capo avrà avuto i suoi buoni motivi per proporre l’archivia­zione, non crede? «Il procuratore capo si assegnava le in­chi­este più scottanti e mi chiedeva di chiu­dere le indagini per infondatezza della no­tizia di reato. E io respingevo le sue richie­ste. Insomma, evitavo l’insabbiamento dei processi. Una volta arrivò a propormi l’archiviazione per i responsabili di un’azienda ai quali la Guardia di finanza aveva addirittura sequestrato il bilancio delle tangenti versate. Io invece li portai in giudizio. Quando chiesi di diventare consigliere d’appello, questo procurato­re tentò di ostacolarmi sostenendo che avevo un cattivo rapporto con la Procura perché impedivo le archiviazioni. Al Csm non volevano credere ai loro occhi: mi chiesero scusa e mi promossero». Si direbbe dunque che tutto si fosse ri­solto per il meglio. «Eh no. Già l’ufficio del Gip è un posto di frontiera. Siccome ero un corpo estraneo al sistema, per tre anni il presidente del tri­bunale mi mise a mezzo servizio anche a scrivere le sentenze civili lasciate in sospe­so dai colleghi nell’ultimo quarto di seco­lo. Andavo in carcere la mattina e il pome­rigg­io dovevo sbrigare questo immane ar­retrato. Lei sa che la stesura della senten­za è la parte più rognosa del processo, bi­sogna riassumere in 30 pagine faldoni alti due spanne. Vada a controllare: non tro­verà nessun Gip d’Italia costretto a un si­mile sdoppiamento di ruolo. Chiaro l’in­tento: farmi scoppiare. Ci sono riusciti». Com’è scattato il trappolone? «Approfittando di un periodo di debolez­za. Nel 2003 s’ammalano entrambi i miei genitori, mio padre di Alzheimer a Firen­ze, mia madre di tumore a Milano. Mi ri­trovo a far la spola fra Vicenza e queste due città. Nel maggio 2004 il papà muore. La mamma s’aggrava. Trasformo la mia auto in ambulanza per portarla avanti e indietro da Bellinzona, dov’è in cura da oncologi svizzeri. A fine 2004 crollo. Dap­prima devo farmi ricoverare in terapia an­talgica per la patologia vertebrale. Poi il professor Pavan mi diagnostica un distur­bo depressivo importante, mi prescrive 90 giorni di riposo e mi ordina di allonta­narmi dalla mia residenza e dalle occupa­zioni abituali. Chiedo al Csm un congedo fuori ruolo di due anni senza stipendio». Risposta del Csm? «“Non è necessario. Si prenda, come fan­no tutti, 45 giorni di congedo e poi 6 mesi di aspettativa per motivi di famiglia”. Ascolto il consiglio e presento istanza nel 2005, aggiungendoci 102 giorni di ferie ar­retrate. Il Csm approva e mi mette fuori ruolo. È lo stesso Csm che mi punirà per aver svolto-in periodo di vacanza,badi be­ne- “ attività incompatibili con le lamenta­te condizioni fisiche”, sostenendo che avrei messo a repentaglio la mia guarigio­ne e tenuto comportamenti “ destinati a es­sere percepiti come disvalore dalla collet­tività”. Tutto il contrario: l’attività velica mi ha guarita. Gua-ri-ta! Mi sono limitata a eseguire gli ordini dei medici. Legga». (Mi porge un servizio scientifico della rivi­sta Airone . Titolo: «Mal di schiena, vietato il riposo»). «Vale anche per la depressio­ne. Non capisco: lo psicoanalista Carl Gu­stav Jung per superare le angosce naviga­va sul lago di Costanza col suo 9,3 metri An­nie ma la giudice Carreri in ferie non può fare altrettanto? Mi spieghino perché». Chi ha segnalato il «disvalore» della sua regata mentre era in vacanza? «I miei colleghi. La notizia della traversata atlantica esce sul Giornale di Vicenza , se­gno che non ho nulla da nascondere. “ Ma come?Sta male però va in barca?”.Io par­to il 5 novembre 2005. L’8 la sezione locale dell’Associazione nazionale magistrati in­dice un’assemblea con un ordine del gior­no di facciata: “Quote rosa in magistratu­ra”. Di solito a questi incontri politici non si presenta nessuno. Stavolta, invece, un pienone: 15 partecipanti. All’unanimità cambiano l’ordine del giorno, che diven­ta: la Carreri veleggia sull’oceano mentre è in aspettativa per motivi di salute. Uno dei presenti viene mandato seduta stante per sicurezza in cancelleria a controllare il foglio presenze. Torna trafelato: contror­dine, compagni, è in ferie, non in aspettati­va. Assalto fallito. L’assemblea si chiude. Ma il verbale viene mandato al presidente del tribunale. Questi, anziché aprire un’istruttoria, convocarmi e consentirmi di depositare una memoria, per sei mesi mi tiene nascosti i fatti e manda una rela­zione irridente al procuratore di Venezia. Gli atti finiscono al Csm. Il giorno in cui muore mia madre mi viene notificato che sono indagata penalmente. Per avere il verbale di quell’assemblea e la copia della denuncia dovrò aspettare un altro anno». E alla fine il presidente della commis­sione disciplinare del Csm, Mancino, sacrifica il «capro espiatorio». «In udienza mi guardava disperato. Mi fa­ceva capire che era già tutto deciso. Il Csm funziona così. La corrente di sinistra ha un suo iscritto sotto processo, quella di destra pure. La prima dice alla seconda: io ti assolvo il tuo se tu mi assolvi il mio. Af­fare fatto. Non essendo iscritta ad alcuna corrente, il mio destino appariva segnato in partenza. Il relatore era un giudice di si­nistra, Mario Fresa, aderente al Movimen­to per la giustizia. Mi ha inflitto una san­zione più severa di quelle irrogate a Cle­mentina Forleo e a Luigi De Magistris, de­finiti “cattivi giudici che non danno il buon esempio” dalla vicepresidente del­la prima commissione Letizia Vacca». Non ha proprio nulla da rimproverar­si nella vicenda che l’ha coinvolta? «L’ingenuità.Mi sono fidata del Csm.Ero in totale buona fede. Le imprese sportive le ho sempre messe sul mio sito e su You­tube. Sfido tutti i magistrati a pubblicare la storia delle loro vite su Internet. Non so quanti possano farlo». E lei può giurare di non aver mai perse­guitato un innocente? «Lo giuro. In Italia sono stata il primo giudi­ce dell’udienza preliminare a condanna­re all’ergastolo con rito abbreviato un omi­cida. Le sembrerà strano: mentre ero da so­la in camera di consiglio mi tremavano le mani. Soffrivo a incarcerare le persone. Ed ero felice quando potevo assolverle». Ma lei tornerebbe a fare il giudice? «Sì. Ero proprio adatta per questo lavoro. Il giudice assomiglia al velista che affron­ta l’oceano: è solo. E io sono di indole soli­taria. Ho dato le dimissioni per disperazio­ne. Vorrei, almeno per un giorno, rimet­termi la toga, entrare in tribunale a testa al­ta, guardare in faccia la gente e dire: dove eravamo rimasti?». (Si commuove). «Mi hanno costretta ad andare via di notte».