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 2012  settembre 26 Mercoledì calendario

MILANO —

L’aguzzina e la gallina dalle uova d’oro. «Date una monetina per favore, aiutate questa poverina» piagnucola la donna indicando l’altra che carponi trascina miserevolmente le gambe paralitiche: due romene chiedono la carità ai milanesi che entrano ed escono frettolosamente dalla metropolitana. È solo uno dei tandem messi in strada ogni giorno da una spietata organizzazione criminale sgominata ieri e che, specie al Nord, come altre controlla militarmente il territorio delle città.
Cocana ha 31 anni e gravi handicap alle gambe che la rendono tragicamente preziosa. Quando un anno fa i suoi genitori adottivi l’hanno venduta a Kemal Pomak per duemila euro è stata caricata su un furgone come una bestia.
Da Costanza, la città sul Mar Nero in cui morì il poeta latino Ovidio, autore delle Metamorfosi, come altri 27 schiavi romeni, con i documenti sequestrati dagli aguzzini, terrorizzata e incapace di scappare si è ritrovata a Milano rinchiusa in un lager in balia di un gruppo di connazionali di etnia rom o turca. C’è quello che è stato ingannato con il miraggio di un lavoro onesto e l’altro che ha deciso coscientemente di fare il mendicante. Ci sono giovani e 75enni comprati per pochi euro. Nessuno ha mai avuto un centesimo di «paga», solo botte se si rifiutava di «lavorare».
Il campo si trova in via Calchi Taeggi, periferia ovest di Milano. Lo ha scoperto la Polizia locale durante un anno di indagini (foto, filmati, pedinamenti, intercettazioni) che, coordinate dal pm Antonio Sangermano hanno portato a 12 ordini di custodia cautelare per associazione a delinquere, riduzione in schiavitù aggravate dalla transnazionalità e dal fatto che le vittime sono portatori di handicap. Reati commessi con «totale disprezzo non solo per le più elementari regole di convivenza civile, ma anche del naturale senso di pietà e umanità», scrive il gip Simone Luerti. Baracche fatiscenti, materassi sfondati posati sul cemento tra cumuli di spazzatura sui quali scorrazzano i topi. Le regole sono ferree: ciascun schiavo ha un «padrone» che lo controlla mentre chiede l’elemosina nelle stazioni della metropolitana, ai semafori degli incroci più trafficati, e al quale deve consegnare ogni moneta che riceve; 10/12 ore di lavoro, pioggia o neve non contano; un pasto con patate lesse, qualche ala di pollo e un tozzo di pane, e neanche tutti i giorni perché più si è magri e macilenti e più si fa pietà; vestiti logori, sporchi e puzzolenti che lascino intravedere nudità; chi ha un handicap deve accentuarlo, chi non ce l’ha deve far finta di averlo; imparare solo le parole d’italiano che servono a chiedere la carità.
Ibram «Lahu» Saba, 40 anni, è il capo assoluto al quale i «sottomessi» ogni giorno devono portare almeno 30/35 euro a testa. È lui a dirigere il traffico dei furgoni che, dopo l’apertura delle frontiere, carichi di schiavi fanno la spola tra Romania e Italia. Gli investigatori ritengono che fino ad ora abbia incassato circa un milione di euro con i quali si è fatto una «villa a Medgidia, vicino Costanza, molto grande» dichiara uno dei due mendicanti che ha avuto il coraggio di rivelare i segreti dell’organizzazione. Anche i padroni sono spietati come il boss. Quando gli schiavi portano le monete da 1, 2 e 5 centesimi gliele sbattono in faccia inferociti, ma non sanno che dopo le loro vittime le raccolgono per comprarsi di nascosto un po’ di pane. Pretendono che i servi li aiutino a rubare in giro quando capita e perfino che contribuiscano alle spese del viaggio della schiavitù. Se ne sono resi conto gli agenti che, intercettando uno dei negrieri, lo hanno sentito dire al telefono che gli era finito il gasolio a Padova e che doveva mandare due o tre delle sue bestie a raccattare soldi per strada.
Indagini di questo tipo si susseguono in tutta Italia facendo sorgere il sospetto sull’esistenza di una rete che si spartisce il territorio nazionale in zone di controllo. A Torino nei giorni scorsi è stata sbaragliata un’analoga organizzazione che obbligava alcuni mutilati a chiedere l’elemosina lungo le vie della città, in modo particolare nei pressi del Palagiustizia. In manette sono finiti cinque rumeni di una stessa famiglia che obbligavano i loro schiavi a saltellare per vedere se tenevano nascosta qualche monetina tra i vestiti.
Ma la crisi colpisce anche questa attività criminale. Un accattone-testimone racconta di un giorno in cui non è riuscito a racimolare che pochi spiccioli: «Mi sono inginocchiato e ho detto "mi scuso perché non ho portato molto". Forse ora anche loro, gli automobilisti, sono rimasti senza soldi».
Giuseppe Guastella
(ha collaborato
Marco Bardesono)

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Vasile, 50 anni, vuole tornare a Costanza. È uno dei primi a ritrovare a marzo la libertà dopo un intervento della Polizia locale al campo di via Calchi Taeggi. Al suo «padrone» Aci Saban, detto «Ara», garantiva 35 euro al giorno per sette giorni. In Romania ha lasciato la moglie e un figlio minorenne senza un soldo per andare avanti. «Da circa due anni non lavoravo — dichiara a verbale —. Ero scaricatore di porto (...). Ara mi propose di venire in Italia con lui per andare a mendicare ai semafori a Milano». Uno dei pochi che sceglie di fare l’accattone, ma con il patto di dare al capo «il 50% dei proventi». Vasile si vergognava: «Ma con la vergogna non davo da mangiare ai miei a casa». Si renderà conto che Ara gli avrebbe preso quasi tutto.
Nevica quando il furgone arriva al campo. La realtà è peggiore di quanto avrebbe mai potuto immaginare. «Ci siamo costruiti una baracca, avevo le coperte per ripararmi dal freddo e una branda. Se mettevo una bottiglia di acqua a fianco a me, la mattina dopo era gelata». Il sudiciume è tanto che subito diviene preda dei pidocchi. «Pensavo a mia moglie e a mio figlio che a casa stavano morendo di freddo perché non abbiamo il riscaldamento in Romania. Mia moglie mi aveva detto che anche lì stava nevicando e che non avevano la legna per la stufa». Il sacrificio in Italia non serve ad aiutare la famiglia, anche se alla fine ottiene (uno dei pochi) 220 euro per due mesi di «lavoro». «Guadagnavo circa 35 euro al giorno che consegnavo tutti ad Ara. Lavoravo tutti i giorni della settimana». Gli dicevano di «zoppicare di più», perché lui non si muoveva come Florin, uno che «gli manca una gamba dal polpaccio in giù» e che «guadagna più soldi». Vasile apre le orecchie, capta quello che accade al campo, dove girano personaggi di tutti i generi. Una sera gli confidano, forse per impaurirlo, che «un u0mo dal nome Kadir aveva picchiato un vecchietto» così violentemente che quello se l’era fatta addosso.
È un ex militare e Nicolae, a 53 anni, vuole tornare a Trajan (Romania). Disperatamente. Con gli investigatori comincia da quando a giugno 2011 conosce un tale «Lele» a Costanza che gli propone di andare a lavorare con lui in Spagna. «Arrivò con un furgone bianco guidato da Beadin Mamut in cui c’era un ragazzo zoppo e la moglie di questo. Beadin mi disse se sapevo che stavano andando in Italia e che io avrei dovuto chiedere l’elemosina. Mi misi a ridere pensando che fosse uno scherzo». Il suo inferno inizia nel campo di Milano, schiavo nelle mani di un tale «Citro». «Beadin disse che l’indomani mattina sarei dovuto andare al semaforo a chiedere l’elemosina insieme al "sottomesso" di Citro. (...) Non dovevo farmi la barba, indossare vestiti dismessi e zoppicare per fare maggiore pietà alla gente. Dovevo dire "buongiorno signore datemi una moneta, grazie, grazie, molte grazie». Mangiare? Poco e niente. Botte? Tante.
G. Gua.