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 2012  settembre 25 Martedì calendario

SVOLTA FRANCESE SULLA RECIDIVA

L’Europa dichiara guerra alla recidiva. Ma non con le armi utilizzate negli ultimi dieci anni, ovvero la "tolleranza zero" sul fronte delle pene e del carcere. Quella strategia ha solo riempito le prigioni e moltiplicato il tasso della recidiva, riducendo la sicurezza collettiva. Ora si volta pagina: in Francia, Gran Bretagna, e forse anche in Italia si fa strada la consapevolezza che le pene vanno tarate in funzione del reato e della personalità del condannato, anche se recidivo; che il carcere dev’essere l’extrema ratio; le misure alternative vanno incentivate; e il lavoro è il fulcro di una detenzione che punta al reinserimento sociale. Giorni fa il Financial Times ricordava che, tra i detenuti che lavorano, solo il 10% torna in carcere entro un anno dalla scarcerazione, mentre negli altri casi il tasso di recidiva è del 50 per cento. Mercoledì scorso la Francia ha cominciato ad archiviare la politica della faccia feroce di Sarkozy con una circolare del ministro della Giustizia Christiane Taubira a tutti i procuratori, per invitarli ad accantonare le indicazioni del precedente governo sulle pene minime ai recidivi e a sollecitare al massimo il ricorso a pene alternative.
L’Italia non sta a guardare. Non il governo Monti, almeno. Fin dal suo insediamento, il ministro della Giustizia Paola Severino ha fatto del carcere una priorità, cercando di seminare una diversa cultura, quella del senso della pena in funzione del reinserimento sociale del detenuto. Di qui il ddl sulla depenalizzazione di alcuni reati, sulla "messa alla prova", sull’introduzione di pene alternative alla galera come la detenzione domiciliare, nonché l’attenzione al lavoro (con il rifinanziamento della legge Smuraglia) come leva della riduzione della recidiva. Finora il Parlamento non è stato altrettanto sensibile al tema (il ddl è alle primissime battute) e la campagna elettorale rischia di far prevalere la prudenza se non, addirittura, l’inerzia. Il tema è impopolare e scivoloso, perché gran parte dell’opinione pubblica ritiene che l’unica medicina per la sicurezza sia "buttare la chiave" e le politiche degli ultimi anni hanno cavalcato questo comune sentire nonostante la realtà dimostrasse il contrario. E cioè che il carcere - in particolare quello "chiuso" dove impera l’ozio e i detenuti stanno in cella 22 ore al giorno - è criminogeno perché produce il 68% dei recidivi, laddove il carcere "aperto" (fatto di lavoro e di misure alternative) ne produce il 17 per cento. Dati risalenti al 2007, che ora saranno aggiornati su base scientifica dall’Eief (Istituto Einaudi per l’economia e la finanza) della Banca d’Italia (si veda il boxino in pagina).
I numeri italiani sono pressoché analoghi a quelli di altri Paesi, come la Francia. Il presidente François Hollande se ne è fatto carico fin dal suo programma elettorale, dove al 53° punto (su 60) si legge: «Cambierò le disposizioni sulle pene minime, contrarie al principio dell’individualizzazione delle sanzioni». L’anno prossimo sarà approvato un provvedimento sulla prevenzione della recidiva, ma intanto il ministro Taubira sta preparando il terreno con la circolare ai procuratori, sperando che nel frattempo non scoppi un caso eclatante, tale da suscitare la reazione emotiva dell’opinione pubblica e da frenare il cambiamento. La situazione attuale, infatti, è drammatica.
La legge sulle pene minime per i recidivi è del 2007, tre mesi dopo l’elezione di Nicolas Sarkozy, e porta la firma dell’allora guardasigilli Rachida Dati. Dispone che per i recidivi non possano esserci pene inferiori a un anno per i reati puniti fino a 3 anni. E via via a salire, fino ai 15 anni minimi per i crimini puniti con l’ergastolo. Da allora sono state comminate 37mila pene minime e la durata media della detenzione è salita da 8,1 a 9,8 mesi. Con risultati sconfortanti: in cinque anni il tasso di recidiva è salito dal 3,9% al 6% per i crimini (i reati più gravi, puniti con 15 anni o con l’ergastolo) e dal 7% all’11% per i delitti (puniti fino a 10 anni). Nel frattempo si sono riempite le carceri, con tassi record di sovraffollamento: nelle prigioni francesi ci sono 67.373 detenuti per 57.408 posti, con un tasso medio di sovraffollamento del 117,3%.
«L’opinione pubblica - spiega la Taubira in un’intervista al quotidiano Le Monde - è stata intossicata da un discorso sommario finalizzato a rassicurarla, secondo cui la sicurezza cresce se ci sono più delinquenti in galera e per più tempo. Tutti gli studi dimostrano invece il contrario». Basta scorrere l’ultimo rapporto dell’amministrazione penitenziaria per scoprire che se la percentuale di chi commette nuovamente un reato nei 5 anni successivi all’uscita di prigione è del 59%, nel 63% dei casi si tratta di persone che non avevano usufruito di sanzioni alternative. «L’obiettivo della sanzione - aggiunge la Taubira - è certo quello di punire, ma anche di prevenire la recidiva e di preparare il reinserimento, in modo da non provocare nuove vittime. Un mondo senza crimini e criminali non esiste e le recidive più scioccanti, in particolare in campo sessuale, suscitano una reazione emotiva forte e legittima. Il governo è chiaramente vicino alle vittime, di cui condivide il dramma, ma deve far fronte alle proprie responsabilità più generali». Peraltro, individualizzazione della pena non significa lassismo ma, al contrario, maggiore attenzione al "caso per caso", mentre l’automatismo della legislazione Sarkozy (come della ex Cirielli, in Italia) prescinde dalla specificità dei casi.
La circolare della Taubira invita i procuratori a ricordare che «il trattamento della recidiva, pur nell’indispensabile fermezza, non deve astrarsi dal principio generale di una costante individualizzazione della risposta penale». «Riguardo alle pene minime - si legge - vi chiedo quindi di tenere in massima considerazione, nelle vostre requisitorie e nelle vostre richieste, la situazione personale, sociale ed economica di ogni imputato». Nel contempo, la Taubira sollecita un maggior ricorso alle pene alternative al carcere (dal braccialetto elettronico alla semi-libertà), ricordando che oggi meno del 20% delle persone condannate (12.609 su 67.373) ne usufruisce. Ovviamente con controlli sempre più attenti ed efficaci, per minimizzare i rischi. Ben sapendo che il rischio zero non esiste.
Ma è qui - nella consapevolezza che il rischio fa parte del gioco e il governo è disposto ad assumersene la responsabilità - che sta la svolta. D’altra parte, che si tratti di misure alternative o di lavoro in carcere, il gioco vale la candela, e cioè più sicurezza collettiva. Senza dire che la strada seguita finora ha creato carceri sovraffollate e invivibili, in violazione dei diritti umani. E sia Francia che Italia ne sanno qualcosa, viste le condanne ricevute in sede europea.