Paolo Di Stefano, Corriere della Sera 25/09/2012, 25 settembre 2012
GIOVANI SCRITTORI E MARKETING EDITORIALE
Ogni casa editrice ha tutto il diritto di rifiutare un manoscritto: per questioni economiche o politiche, di coerenza con il catalogo e la sua storia, di opportunità, di gusto. Dunque ha ragione Gian Carlo Ferretti quando afferma, nella sua controstoria dell’editoria italiana attraverso i rifiuti (Siamo spiacenti, Bruno Mondadori editore), che circola al riguardo «un atteggiamento di condanna troppo facile e sbrigativo (e talora interessato)». D’altra parte ogni critico o storico dell’editoria ha tutto il diritto (e anche il dovere) di segnalare, sia pure con il senno di poi, quali rinvii al mittente si sono rivelati sbagliati, stupidi o insensati.
Certo, troppo facile oggi rimproverare a Vittorini di non aver voluto pubblicare Il gattopardo né per Einaudi né per Mondadori. Troppo facile prendersela con i molti editori che hanno respinto i romanzi di Guido Morselli, un autore pubblicato solo post mortem dalla Adelphi, come è successo a Salvatore Satta. Troppo facile oggi accusare di cecità Marsilio, Bompiani, Garzanti e Feltrinelli per avere ignorato Andrea Camilleri, lo stesso scrittore che vent’anni dopo avrebbe spopolato. Per non dire del caso celebre di Cesare Pavese, che nel 1947 bocciò per Einaudi Se questo è un uomo, accolto invece dallo Struzzo nel 1958 e diventato un classico di milioni di copie.
Gli esempi sono tantissimi e li troverete raccontati in dettaglio nel bel saggio di Gian Carlo Ferretti. Tuttavia si esce dalla lettura di quel libro con il retrogusto (e anche il piacere nostalgico) di una «controstoria» pressoché archeologica, come se fossero passati secoli da quei casi per lo più datati nel Dopoguerra. Oggi siamo nel futuro, nell’epoca del self publishing dove nulla verrà più rifiutato: basta volerlo e disporre di qualche mezzo economico per pubblicare trionfalmente il proprio libro. Indubbiamente una grande conquista per il comprensibile compiacimento di molti aspiranti (e subito aspirati) scrittori, specialmente giovani. Fanno impressione le pagine in cui Ferretti elenca le opportunità offerte (diversamente che nel passato) al giovane autore: non solo le piccole e grandi case editrici a caccia del nuovo Giordano (con un notevole incremento dei narratori italiani esordienti), ma i premi ad hoc, i concorsi, le riviste, le scuole di scrittura, le piattaforme online, i blog collettivi. Un oceano sterminato di possibilità. È curioso: mentre la società del lavoro respinge ai margini le nuove generazioni; mentre nell’industria editoriale i giovani redattori che un tempo decidevano, vagliavano, dibattevano (mai dimenticare che Pavese, Calvino, Bollati, Sereni erano ai vertici poco più o poco meno che trentenni), oggi sono destinati al precariato dei contratti a progetto, il marketing fa follie per loro. Esaltando come geni i pochissimi che vendono più di 50 mila copie, scaricando tutti gli altri dopo il primo insuccesso. Una controstoria dei giovani non rifiutati? E degli esordi infelici?
Paolo Di Stefano