Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 25/09/2012, 25 settembre 2012
L’EUROPA DEGLI ESODI UN SECOLO DI PULIZIE ETNICHE
In una risposta a un lettore lei ha ricordato i «Vertriebene» della Prussia Orientale, della Slesia, della Pomerania, del Sudetenland cecoslovacco e di alcune regioni ungheresi e jugoslave. Non ha però fatto cenno a tanti sloveni cacciati dall’Italia nel secolo scorso. Forse perché di quei profughi si è ormai persa la memoria storica?
Augusto Romani
Firenze
Caro Romani, le rispondo segnalandole anzitutto un libro su L’età delle migrazioni forzate. Esodi e deportazioni in Europa 1853-1953, recentemente apparso presso Il Mulino. Gli storici che ne sono autori — Antonio Ferrara e Niccolò Pianciola — hanno descritto tutte le maggiori manipolazioni demografiche compiute, quasi sempre con la forza, in un secolo di storia europea: da quelle dell’Impero ottomano a quelle dell’impero zarista, da quelle dell’Unione Sovietica a quelle della Germania nazista, da quelle dell’Europa centrorientale a quelle della penisola balcanica soprattutto durante la Seconda guerra mondiale. Secondo una tabella pubblicata a pag. 399 le persone coinvolte furono circa 32 milioni, ma la cifra non comprende le forme più spicce e brutali di pulizia etnica come la soppressione di circa sei milioni di ebrei fra il 1942 e il 1945.
In questo terrificante capitolo di storia europea i dati che concernono il territorio nazionale italiano sono irrilevanti. Il fascismo cercò di italianizzare le popolazioni germaniche e slave delle province orientali, persuase molti «indigeni» a modificare il loro cognome, soppresse o scoraggiò la stampa locale, intervenne pesantemente sulla toponomastica e fu complice, direttamente o indirettamente, degli esodi provocati dalla guerra civile che si combatté in Jugoslavia, soprattutto fra serbi e croati, dal 1942 al 1945. Ma non sembra avere programmato e pianificato «politiche di migrazione forzata delle popolazioni "allogene"». Il trasferimento in Germania della popolazione di lingua tedesca della provincia di Bolzano fu il risultato di un accordo italo-tedesco, offrì ai sudtirolesi una scelta (restare o partire) e finì per interessare, a causa della guerra, un numero molto limitato di persone.
A proposito della politica fascista, gli autori del libro citano un discorso di Mussolini alla Camera dei fasci e delle corporazioni del 10 giugno 1941. Il leader del fascismo disse che gli Stati devono «tendere a realizzare il massimo della loro unità etnica e spirituale in modo da far coincidere a un certo punto i tre elementi: razza, nazione, Stato». Considerava gli «alloglotti» un rischio, un fattore di disturbo, ma aggiunse che «può essere talvolta inevitabile di averli per ragioni supreme di sicurezza strategica». Occorreva, in questo caso, «adottare verso di essi un trattamento speciale, premesso, bene inteso, la loro assoluta lealtà di cittadini verso lo Stato». Ebbe forse l’impressione di essere stato troppo conciliante perché si affrettò ad aggiungere che «comunque, quando l’etnia non va d’accordo con la geografia, è l’etnia che deve muoversi: gli scambi di popolazione e l’esodo di parti di esse sono provvidenziali, perché portano a far coincidere i confini politici con quelli razziali». Vi era in quelle parole un implicito riferimento all’accordo Ciano-Ribbentrop del 1939 con cui i due ministri degli Esteri avevano organizzato, consenzienti le popolazioni, la «pulizia etnica» dell’Alto Adige.
Sergio Romano