Emanuele Trevi, Corriere della Sera 25/09/2012, 25 settembre 2012
SERVONO SFUMATURE NEI GIUDIZI LETTERARI - I
casi della vita mi hanno concesso un posto in prima fila, per così dire, nella vicenda giudiziaria che oppone Gianrico Carofiglio e Vincenzo Ostuni. Il primo è stato un mio leale e affabile avversario nella corsa all’ultimo Premio Strega, ahimè persa da entrambi; il secondo è l’editor del libro con il quale mi ero messo in lizza. Dal punto di vista dei gusti letterari, mi sento più vicino a Ostuni che a Carofiglio; ciò non mi ha mai impedito di provare curiosità e rispetto, tinti di una certa imponderabile quantità d’invidia, per scrittori come quest’ultimo, capaci di attirare nelle loro trame moltitudini di lettori.
Qualche mese fa, a Gorizia, ero con Carofiglio in una presentazione congiunta dei nostri libri. Alla fine, si avvicinò una vecchina, che gli portava da firmare tutti i suoi romanzi, dal primo all’ultimo, e lo implorava: che non smettesse mai di scrivere! E lui, distinto e cortese, la rassicurava. Ecco, mi dicevo, questo è un potere da cui, con i miei libri strampalati, sono escluso per sempre. Nemmeno il gatto, nemmeno mia madre mi chiederebbe di scriverne altri. Càpita però che l’altro protagonista di questa storia, Vincenzo Ostuni, i libri di Carofiglio li giudichi con sentimenti meno sfumati dei miei. E poche ore dopo il verdetto finale del Premio Strega, esprima un durissimo parere sull’opera e l’autore. Non so se io stesso, ripetendo le parole di Ostuni, mi macchio di qualche colpa: ma insomma, gli dà del «mestierante», dello «scribacchino» sulla sua pagina di facebook. È un’opinione, un giudizio. Qualcosa che si può condividere o meno. Ma per Carofiglio, che ha intentato una causa civile a Ostuni, è un affronto che vale cinquantamila euro di ammenda.
La critica non è fatta di stroncature, io non ne faccio mai e come me tanti altri, ma la stroncatura è un ramo molto importante della critica, e deve avere campo libero, una totale libertà di azione. E chi distingue, tra i bersagli possibili, l’uomo dall’opera, non fa che ripetere il più fariseo dei luoghi comuni: l’uomo e l’opera sono indistinguibili, sul piano pratico come su quello ontologico («la vita di Shakesperare è un’allegoria», diceva Keats). La conseguenza di questo pasticcio è ormai ben nota. Decine di scrittori, intellettuali, giornalisti si stanno mobilitando a favore di quello che ritengono un diritto inalienabile. Lo faranno sostenendo in comune le spese legali, e l’eventuale sanzione, oltre a sottoscrivere collettivamente, come se ognuno di loro la avesse concepita e resa pubblica, la frase incriminata di Ostuni. Non perché necessariamente la condividano, ma perché, a loro parere, una sentenza che la condannasse all’ammenda lederebbe la loro libertà, creando un precedente inaccettabile. E pure io, con tutta la mia simpatia per Carofiglio, e con un’indole che mai mi avrebbe dettato le parole di Ostuni, farò come fanno loro, perché sono nel giusto.
Non mi resta che la speranza di un ripensamento. Io credo che quello che chiamiamo il nostro carattere, il nostro Io, la nostra identità sia fatto di componenti molteplici, come una specie di rissoso parlamento, forse ancora più rissoso di quello in cui Carofiglio svolge egregiamente il suo lavoro. Ebbene, temo che lo scrittore barese, nell’intentare questa causa, abbia semplicemente dato ascolto a una voce sbagliata, a una di quelle parti di sé umbratili ed autodistruttive che si agitano in ognuno di noi. Questa parte che usurpa il tutto, e che a volte ci strappa il buongoverno interiore, ha una totale solidarietà con le parole offensive di Ostuni. Il sentirsi offeso e l’offesa sono fatti della stessa pasta, sono come il Gatto e la Volpe di Pinocchio. Sono quel fango sul quale bisogna sempre volare alti. Ma Carofiglio è un uomo intelligente, un uomo di valore. A differenza di tanti mediocri, ha tutta la forza e il carattere di mandarla al diavolo, questa parte di sé, assieme alle parole di Ostuni. Non gli servono cinquantamila euro, non gli serve divulgare un’immagine di sé che non gli corrisponde affatto, e finisce per deturparlo. È alla vecchina di Gorizia che deve render conto, non al suo orgoglio. Spero con tutto il cuore che non vorrà deluderla.
Emanuele Trevi