VARIE 25/9/2012, 25 settembre 2012
ROMA - "Troppi, vergognosi fenomeni di corruzione. Bisogna risanare la politica". E’ palpabile l’indignazione del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che spende durissime parole alla vicenda della Giunta Polverini, spazzata via dal governo della Regione Lazio in seguito allo scandalo sulla gestione dei fondi pubblici nella disponibilità del gruppo consiliare del Pdl
ROMA - "Troppi, vergognosi fenomeni di corruzione. Bisogna risanare la politica". E’ palpabile l’indignazione del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che spende durissime parole alla vicenda della Giunta Polverini, spazzata via dal governo della Regione Lazio in seguito allo scandalo sulla gestione dei fondi pubblici nella disponibilità del gruppo consiliare del Pdl. Solo l’ultimo esempio di "malversazioni e fenomeni di corruzione inimmmaginabili, vergognosi, che si moltiplicano nel disprezzo per la legalità". "Non è questo un contesto accettabile per persone sensibili al bene comune, per cittadini onesti, né per chi voglia avviare un’impresa" tuona Napolitano dal Quirinale, durante la cerimonia di inaugurazione dell’anno scolastico. "Chi si preoccupa giustamente dell’antipolitica deve saper risanare in profondità la politica. Far vincere la legge si può, come avvenne contro la mafia, come dimostrarono Falcone e Borsellino" è il monito di Napolitano. "Ma la legalità - aggiunge il presidente della Repubblica - si deve praticare a tutti i livelli, e dunque anche nel nostro piccolo mondo quotidiano". Da New York, a margine dell’Assemblea generale dell’Onu, rimbalzano invece le dichiarazioni del ministro degli Esteri, Giulio Terzi, che definisce "un vulnus da suturare" quanto nel Paese va in senso contrario allo sforzo del governo per la "serietà, sobrietà e trasparenza". Terzi, inoltre, fa notare ai giornalisti che l’Assemblea generale al Palazzo di Vetro si è aperta proprio con una risoluzione dedicata all’importanza dello stato di diritto e alla necessità di "lottare contro la corruzione". Silvio Berlusconi non accetta che alla gogna sia messo solo il suo Pdl. "Nessuno può chiamarsi fuori. Tutti i gruppi nel Consiglio regionale del Lazio erano corresponsabili: maggioranza e opposizione". Così il Cavaliere il giorno dopo le dimissioni della governatrice Polverini. Nel suo personale day after, l’ormai ex presidentessa della Regione ha annunciato che non si candiderà più alla carica, mentre il sindaco di Roma Gianni Alemanno indica la via delle primarie per individuare il candidato del centrodestra. La Polverini si è quindi recata a Palazzo Grazioli, residenza romana di Silvio Berlusconi, per un incontro di mezz’ora con il leader del Pdl. "L’ho sentito al telefono in questi giorni e immagino lo rivedrò nelle prossime ore" aveva detto poco prima la Polverini in un’intervista a Tgcom24. Nei giorni della tempesta in Regione Lazio, Berlusconi ha provato a indurre la governatrice a restare al suo posto. E oggi ribadisce in una nota: "La presidente del Lazio, Renata Polverini, si è assunta personalmente responsabilità che sono di sistema e riguardano tutte le classi dirigenti in ogni partito. Un gesto libero e di consapevolezza morale. Ora è necessario intervenire con estrema decisione, con coraggio e severità: la politica in Italia rischia di morire nel discredito in conseguenza di comportamenti collettivi e individuali intollerabili al senso comune e alla coscienza pubblica". "Bisogna abrogare il sistema di finanziamento di gruppi e partiti così come l’abbiamo conosciuto - propone il leader del Pdl -. Si sono fatti dei passi in questa direzione, a livello centrale, ma non basta - rileva l’ex premier in una nota -. Le finanze pubbliche regionali e locali devono subire un esame senza indulgenze. E si deve procedere all’abrogazione di ogni erogazione impropria e alla messa in opera di controlli indipendenti che nessuna norma legislativa a tutela dell’indipendenza delle istituzioni può ostacolare". "L’autonomia della politica è una cosa seria - prosegue il Cavaliere -, non si difende consentendo comportamenti indecenti. Su questo garantisco, a nome mio personale e della squadra che entrò in politica nel 1994 per cambiare l’Italia, un impegno di risanamento senza incertezze. Occorre un forte rinnovamento per tornare alla politica come servizio e non come fonte di guadagno per i singoli". Al segretario politico del Pdl, Angelino Alfano, il compito di allontanare dalla mente dell’opinione pubblica la facile identificazione tra la dirigenza del partito e Franco Fiorito, il capogruppo Pdl al Consiglio regionale, indagato per peculato. "Sono pronto a un patto: non ricandidare nessun consigliere del Lazio. Di nessun partito. Ma non lo chiedano solo a noi", annuncia Alfano al termine della riunione con i capigruppi Pdl di tutte le regioni in via dell’Umiltà. Il segretario sottolinea che "il Pdl non è fatto di tanti Fiorito, noi siamo di un’altra pasta" e parla in termini positivi della riunione. "Da oggi - garantisce - i nostri gruppi consiliari in Regione avranno i conti certificati da una società esterna". "Poi - aggiunge Alfano - proporremo in ogni assemblea regionale una legge che sancisca questa regola. Avvieremo una spending review e metteremo su internet bilanci e spese dei gruppi". Di certo, si dice certo Alfano, "la vicenda del Lazio non inciderà sulla eventuale candidatura di Silvio Berlusconi: "Farà la scelta più opportuna per il bene del Paese e del partito". In prospettiva elezioni, Alfano sfoggia ottimismo: "Non abbiamo notizia né avvisaglie di alcuna scissione e non la incentiviamo. Il Pdl può tornare ad essere il primo partito italiano. I sondaggi ci dicono che ci sono tanti indecisi e pensiamo di recuperarli perchè gli altri non stanno dando prova di meritare il consenso dei moderati". Alfano che propone di non ricandidare i consiglieri regionali uscenti "fa le sue scelte...spero che siano migliori che in passato" commenta Pier Ferdinando Casini, che nel frattempo ha meditato la sua risposta al passaggio dell’intervista rilasciata da Berlusconi al Huffington Post 2, in cui il Cavaliere paventa il pericolo di un’Italia "governata da un’armata Brancaleone che comprende Vendola e Casini, Bersani, la Bindi e Di Pietro". "Silvio vive da tempo una realtà immaginaria - la replice del leader Udc via twitter -. Solo cosi si spiega la sua dichiarazione di questa mattina dove denuncia un’alleanza Pd, Udc, Idv e Sel, che è frutto solo della sua speranza. Mi dispiace deluderlo ancora una volta: noi saremo in campo con i moderati italiani delusi dalle sue promesse mancate". Contributi ai gruppi, Camera vota modifica al regolamento. La Giunta per il regolamento della Camera ha approvato all’unanimità la proposta di modifica degli articoli 14, 15, 15-ter e 153-quater del regolamento di Montecitorio, relativa alla disciplina che regolamenta i contributi ai Gruppi parlamentari. La proposta di modifica, che l’Aula si appresta a votare, prevede che a ciascun gruppo "è assicurato annualmente" un "contributo finanziario a carico del bilancio della Camera, unico e onnicomprensivo, a copertura di tutte le spese", incluse quelle per il personale. "Il contributo è determinato avendo riguardo alla consistenza di ciascun gruppo". Per garantire la trasparenza, i gruppi parlamentari di Montecitorio si avvarranno di società di revisione esterne per certificare i propri bilanci. Dichiarato inammissibile un emendamento dei Radicali, che mirava ad affidare alla sola Corte dei Conti il controllo della regolarità dei bilanci dei gruppi. Non è stata accolta neanche la modifica proposta da Salvatore Vassallo del Pd, che avrebbe portato a un ridimensionamento dei contributi. Gruppo Pd al Senato: "Subito certificazione esterna". "L’Assemblea dei senatori del Gruppo del Partito Democratico ha approvato all’unanimità il bilancio del gruppo consuntivo 2011 e preventivo 2012. A questo punto, senza aspettare delibere formali del Senato in attuazione di un odg approvato dall’Aula prima della pausa estiva, il gruppo del Pd si rivolgerà a una società esterna per ottenere la certificazione dei propri bilanci. Vidmer Mercatali, Tesoriere del Gruppo Pd di Palazzo Madama, ritiene "opportuno che anche gli altri Gruppi facciano altrettanto". "Il Gruppo del Pd - aggiunge Mercatali -, solleciterà gli organi del Senato ad adottare rapidamente formali delibere che vadano in questa direzione". (25 settembre 2012) REPUBBLICA.IT - SCANDALI IN ALTRE REGIONI La Procura della Repubblica di Palermo ha aperto un fascicolo sulle spese dei gruppi parlamentari dell’Assemblea regionale siciliana, per verificare eventuali sprechi e irregolarità nella spesa. Del fascicolo sono titolari il procuratore aggiunto Leonardo Agueci e i sostituti Maurizio Agnello e Sergio Demontis. I magistrati vogliono verificare il sistema di contribuzione che vede la Sicilia al primo posto fra le regioni italiane per finanziamenti ai gruppi parlamentari della Regione. La procura scaverà nelle spese dei gruppi negli ultimi anni chiedendo le documentazioni ma, in questo momento, quello aperto dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci, è un fascicolo a carico di ignoti e non è ipotizzato alcun reato. Il cosiddetto "modello 45": registro degli atti non costituenti notizie di reato. La Procura di Palermo si muove per capire se ci possano essere state "spese pazze" e ingiustificate come successo alla Regione Lazio. Non è un’indagine facile, perché la Sicilia gode di un regime autonomistico che potrebbe restringere di molto l’ambito di intervento della magistratura. In questa prima fase, i pubblici ministeri stanno approfondendo anche questo aspetto giuridico, per capire gli spazi di manovra. "Procederemo comunque a un’acquisizione ponderata, attenta, e a largo raggio", dice il procuratore aggiunto Leonardo Agueci, che coordina il pool di indagine sui reati contro la pubblica amministrazione (25 settembre 2012) REPUBBLICA.IT - POLVERINI La giornata dell’ormai ex governatrice è iniziata di buon mattino. "Ho dormito bene, ma adesso lasciatemi in pace" ha detto alla folla di cronisti che la attendeva sotto casa, a Roma. Vestita di blu e bianco, maniche corte e pantaloni, è salita in macchina senza fermarsi e si è recata in Regione per una riunione con il suo staff e i fedelissimi: l’assessore al bilancio Cetica, il segretario generale Ronghi e il capo di gabinetto Zoroddu. I PROGETTI FUTURI. Poi a SkyTg24 è intervenuta a ruota libera. Spero di "tornare presto a una vita più normale di quella che ho vissuto nell’ultimo mese" ha detto. "Non sono più interessata a governare il Lazio". E sull’ipotesi di un seggio in Parlamento: "Addirittura..non lo so. Il mio futuro, semmai, lo vorrò condividere prima con me stessa poi con le persone che mi sono vicine". Nessun impegno politico al momento? "Chissà, nei giorni successivi alla mia operazione ho fatto molti dolci a casa per gli amici che mi venivano a trovare, magari tornerò a fare quelli. Poi vedremo se vale la pena continuare un impegno politico in questo paese. Qualcuno dice di sì, vedremo". La Polverini ha poi difeso la sua giunta: "Questa giunta non ha avuto comportamenti immorali, è qualcosa che si è consumato in consiglio. La giunta esce pulita, non ha commesso alcuna colpa tantomeno reati". "Noi deliberavamo per le spese del Consiglio - ha spiegato ancora una volta - che poi però nella sua assoluta autonomia li dava ai gruppi che li utilizzavano. Ero cosciente che fossero troppi e questo l’ho anche scritto al presidente del Consiglio regionale, ma non sapevo cosa ci facessero. Se poi si vuole fare di tutta l’erba un fascio...". IL CONTO A NOME DI MARRAZZO. E ha attaccato il suo predecessore, Piero Marrazzo: "Prima di me - racconta la Polverini - c’era un presidente di giunta, Marrazzo, che aveva a disposizione una carta di credito. Invito tutti a venire qui per capire". Giovedì scorso, la regione Lazio, in una nota, aveva dichiarato: "Esisteva un conto corrente acceso a nome di Piero Marrazzo, con uno stanziamento iniziale di 50mila euro, integrato dall’economo in base alle necessità nel corso dell’ anno. Su questo conto regolavano gli utilizzi di 4 cart, a spese del contribuente, per centinaia di migliaia di euro. Il personale dello staff della presidenza, sempre secondo quanto dichiarato dalla Regione, "godeva di assoluta discrezionalità nella gestione dei fondi che utilizzava per spese ingenti nei migliori ristoranti e alberghi della Capitale e non solo". IL RAPPORTO CON BERLUSCONI. Ha ribadito che dello scandalo delle spese folli non era a conoscenza: "Potevo sapere? E’ come dire che Monti sapeva di Lusi". E poi parlando sempre del presidente del Consiglio: "Monti non mi doveva consigliare nulla, infatti non lo ha fatto. Gli ho detto che avevo preso una decisione che avevo comunicato al Capo dello Stato. Avevo il dovere di informare, prima della mia coalizione, chi rappresenta il Paese’’. Polverini ha ricordato però che negli ultimi giorni "ho sentito Berlusconi, mi ha sempre incoraggiato non solo ad andare avanti, ma a decidere quello che ritenevo più giusto per i miei comportamenti e la onorabilità di questa istituzione". Uno dei primi a vederla oggi è stato Francesco Storace, leader della Destra, che sul suo blog ha scritto: "Sono arrabbiato da pazzi per le dimissioni. A Renata dico comunque grazie". "Domenica a Catania - aggiunge nel suo messaggio pieno di amarezza - c’è il Comitato centrale della Destra. Questa storia incredibile mi ha segnato troppo e non so se rimane la voglia di andare avanti. Non sono adatto a una politica così cinica che mette sullo stesso piano persone perbene e ladri". L’INCHIESTA: AUMENTANO LE CIFRE. Sospetti su sette milioni transitati sui conti del gruppo Pdl alla Regione Lazo in appena due anni, dal 2010 al luglio del 2012. E’ su questo flusso di denaro che si concentra l’attenzione degli inquirenti che indagano sul caso Fiorito. I soldi sarebbero transitati sui due conti correnti Unicredit del gruppo consiliare. Le voci di spesa a carattere "politico" continuano a non essere, comunque, al centro dell’attenzione degli inquirenti. Per i pm l’unico profilo di interesse resta quello su ipotesi di "arricchimento personale". Le spese pazze, seppure moralmente censurabili, restano fuori dall’inchiesta che ha portato il presidente Renata Polverini alle dimissioni. VERSO LE ELEZIONI. Sul voto però si ragiona già ad alta voce. "Non posso ancora esprimere un giudizio - dice il sindaco di Roma Gianni Alemanno, il cui mandato scadrà a sua volta in primavera - ma stiamo studiando le procedure per l’election day visto che ci sono elezioni politiche, comunali e regionali". Ma come scegliere i candidati? Per Alemanno non ci sono dubbi: l’unica via sono le primarie. La stessa strada che indica l’onorevole di parte opposta Roberto Morassut. "Credo nelle primarie come strumento globale. Come ho indetto le primarie per il Comune, credo ci debbano essere anche per scegliere il candidato della Regione" ha spiegato il primo cittadino della capitale. "Il fatto che dopo pochi minuti dalle dimissioni di Renata Polverini fiocchino già - con un tempismo degno di miglior causa - i nomi dei possibili candidati o auto-candidati del centrosinistra alla presidenza della Regione Lazio è parte del male che stiamo vivendo" attacca Morassut in una nota. "Chiedo al mio partito nel Lazio - prosegue . di convocare nei prossimi giorni una grande assemblea regionale dei propri iscritti e di promuovere una campagna di discussione e partecipazione città per città e circolo per circolo, per vagliare idee e proposte come premessa di un programma di governo. Per la presidenza della Regione Lazio si facciano le primarie, forse le uniche in questo momento ad avere un effettivo senso e valore decisionale". (25 settembre 2012) MASSIMO GIANNINI - REPUBBLICA.IT LE DIMISSIONI di Renata Polverini, forse le più lunghe della storia repubblicana, non sono solo l’ultimo atto di una gigantesca ruberia regionale. Nell’uscita di scena della governatrice c’è il tramonto di una carriera personale. C’è il tracollo di un sistema di potere fondato sul saccheggio del denaro pubblico. C’è la tragedia di una destra italiana che consuma la fase terminale della sua balcanizzazione, e di un Pdl che di fatto cessa di esistere come soggetto politico. Sono tutti colpevoli, in questo pecoreccio lupanare romano, metafora solo più rozza e plebea di un verminaio che è anche italiano. Colpevole è la Polverini. Se non sul piano giudiziario (almeno fino a prova contraria) sicuramente sul piano politico. Ha avuto bisogno di una settimana per capire ciò che era chiaro fin dall’inizio. Di fronte all’enormità dello scandalo che ha travolto la sua Regione, il suo partito e la sua lista, resistere non era solo impossibile. Era prima di tutto irresponsabile. Lei l’ha fatto. Per sette giorni ha tentato di difendere l’indifendibile. La Grande Abbuffata della Pisana e i Toga party alla vaccinara, gli stipendi gonfiati fino a 50 mila euro al mese e gli "ad personam" da 200 mila euro all’anno dei consiglieri, il Suv del Batman di Anagni e le ostriche dei Battistoni e degli Abruzzese. Davanti alle tre delibere regionali che hanno fatto lievitare da 1 a 14 milioni i fondi pubblici "rubati" dai partiti nel corso dei tre anni della sua consiliatura, non ha capito che non avrebbe potuto recitare (anche lei, come a suo tempo Scajola e poi persino Bossi) la parte della governatrice "a sua insaputa". O forse lo ha capito, ma proprio per questo non ha voluto e potuto fare altrimenti, cioè scaricare su altri colpe che, se non erano sue dal punto di vista soggettivo, lo erano senz’altro dal punto vista oggettivo. Ora parla di "consiglio indegno". Dice di aver aspettato proprio per vedere "fino a che punto il consiglio era vile". La verità è un’altra. Si è illusa che quella patetica sforbiciata ai trasferimenti e alle auto blu, votata in tutta fretta sabato scorso, fosse il colpetto di spugna sufficiente a mondare la Regione di tutti i suoi peccati. Si è lasciata addomesticare da Berlusconi, che le ha chiesto di restare al suo posto per non aprire nel Lazio una faglia che avrebbe finito per inghiottire quel che resta del Popolo delle Libertà. In ogni caso, lei non poteva e non può tuttora chiamarsi fuori, perché è stata ed è parte di quel "consiglio indegno". Perché dal 2010 ne ha di fatto coperto gli atti e i misfatti. Per colpa (non ha vigilato). O per dolo (ha condiviso). Il risultato politico non cambia. Le sue dimissioni non sanano niente. Al contrario, amplificano lo scandalo. Colpevoli, sia pure in forma e in misura totalmente diverse, sono i partiti dell’opposizione. In questi anni sono stati testimoni dello scempio, e invece di farlo esplodere lo hanno silenziato, mettendo anche la loro firma sulle delibere spartitorie della maggioranza. Certo (anche qui, fino a prova contraria) non hanno usato quei soldi dei contribuenti per festini in maschera e scorpacciate pantagrueliche da Pepenero. Giurano di averli impiegati per stampare manifesti e organizzare convegni. Insomma, per fare normale attività politica. Ma la quantità anomala di denaro che hanno comunque contribuito a drenare, mentre la Regione triplicava la sovrattassa Irpef e tagliava i posti letto negli ospedali, meritava un altro impiego. E comunque una denuncia pubblica, indignata e fragorosa, che invece non c’è stata. O è arrivata troppo tardi, con le dimissioni in massa annunciate dai consiglieri Pd, Idv e Sel. O è arrivata in modo ambiguo e omertoso, come nel caso dell’Udc. Ma il vero colpevole di questa devastante catastrofe etica e politica è la destra italiana. Una destra che dà il peggio di sé, da Belsito a Fiorito. Che va in frantumi, da Palermo a Milano. E lascia deflagrare, al centro e in periferia, l’inevitabile diaspora tra le sue "culture" mai fuse perché inconciliabili o inesistenti: il populismo autocratico del Cavaliere, il moderatismo irenico degli ex democristiani, l’affarismo famelico dei cacicchi post-missini. Persi per strada prima Casini, poi Fini e da ultimo Bossi, Silvio Berlusconi non ha riunito queste "anime perse" sotto le insegne del conservatorismo europeo, ma le ha impastate con il fango dei rispettivi interessi (economici e affaristici). Le ha plasmate a sua immagine e somiglianza, secondo i "principi" dell’azzardo morale, dell’arricchimento individuale, dell’impunità penale. Le ha indottrinate di ideologismi demagogici su scala nazionale, ma gli ha lasciato mani libere scala locale. Il risultato è questo. Oggi, con l’ammaina bandiera nel Lazio, il Pdl viaggia a grandi passi verso la dissoluzione finale. Un destino irreversibile, per un partito "personale" che è nato e che morirà insieme all’improbabile maieuta che l’ha creato in pochi mesi e con molti miliardi. Che l’ha dotato di cuore, l’ha nutrito di pancia ma non ha voluto o saputo dargli una testa e due gambe per camminare. Non ha voluto o saputo dargli un’identità e una struttura. Sono penosi, in questi giorni, i conciliaboli a Palazzo Grazioli tra il Cavaliere e Angelino Alfano, i soliti coordinatori e gli impresentabili capigruppo. Ed è ancora più penoso sentire Gianni Letta che sdottoreggia alla Luiss contro "i gruppi di interessi particolari che frenano il sistema" (lui, che di quei "gruppi" è da vent’anni il garante supremo) o Gianni Alemanno che invoca "l’azzeramento totale e la rifondazione del centrodestra" (lui, che da sindaco della Capitale ha assunto plotoni di famigli e di ex picchiatori fascisti all’Ama e all’Atac. C’è questa destra italiana, oggi, sotto le macerie fumanti della Pisana. Ma i miasmi spurgano ovunque. Per una Polverini che fa un passo indietro nel Lazio, c’è uno Scopelliti che resiste in Calabria, un Caldoro che resiste in Campania. E soprattutto c’è un Formigoni che continua inopinatamente a "regnare" in Lombardia. La sua Vacanzopoli ambrosiana può apparire forse un po’ più raffinata nella forma, ma nella sostanza non è meno grave della Sprecopoli ciociara. Sarebbe ora che anche il Celeste ne prendesse atto. m.giannini@repubblica.it (25 settembre 2012) SI DIMETTONO ANCHE I CONSIGLIERI LOMBARDI? - REPUBBLICA.IT "Noi anche qui siamo pronti a fare il passo delle dimissioni come il Pd del Lazio, ma chiedo alla maggioranza di Pdl e Lega di battere un colpo perché la responsabilità è loro, i numeri sono numeri". Lo ha affermato il segretario regionale del Pd Maurizio Martina, a margine dei lavori al Pirellone, commentando quanto successo nella Regione Lazio. Il segnale al quale Martina si riferisce tiene conto del fatto che le dimissioni dei 21 esponenti del Pd non sarebbero sufficienti a provocare la caduta del Consiglio regionale. Caduta che potrebbe avvenire solo se anche la Lega, oltre alle opposizioni, decidesse di lasciare la maggioranza. "Nel Lazio se ne è andato giustamente un pezzo della maggioranza, l’Udc", ha sottolineato Martina aggiungendo che "con la vicenda del Lazio alle nostre spalle se oggi mi dicono che pezzi della maggioranza stanno valutando un cambio di passo noi ci siamo subito, ma loro dicano cosa vogliono fare". Lapidaria e sarcastica la replica di Formigoni: "Chi è questa signora Martina? Non la conosco". Ha risposto così il governatore lombardo a chi gli chiedeva un commento su quanto annunciato dal segretario regionale del Pd. Se arriveranno le dimissioni, dice Formigoni, "credo che ci saranno delle surroghe e subentreranno i secondi degli eletti". Tornando al fronte dell’opposizione a Martina arriva una prima risposta dall’Idv con il capogruppo Stefano Zamponi che dichiara: "Noi eravamo già pronti a dimetterci tre mesi fa. Quando noi lo abbiamo proposto agli altri, a tutti i consiglieri onesti in Lombardia, dov’era Martina? Il Pd allora non c’era, oggi sì...". Pronti a lasciare il Pirellone anche gli altri esponenti del centrosinistra. "Siamo sempre pronti a dimetterci ma l’opposizione da sola non può far cadere Formigoni, è la Lega Nord che dovrebbe dare un segnale di moralità e fare un passo indietro". Lo ha detto il consigliere regionale di Sel Giulio Cavalli, arrivando in Consiglio. (25 settembre 2012) LA CARRIERA DEI DIRIGENTI POLVERINI - REPUBBLICA.IT di ALBERTO CUSTODERO ROMA - Dimessa la Polverini, il "cerchio magico" dei suoi più stretti e fidati collaboratori - ex sindacalisti Ugl piazzati ai vertici regionali - resta. Con qualche dubbio, però, sulla legittimità dei loro titoli. È il caso del segretario generale della Giunta, Salvatore Ronghi, del capo ufficio gabinetto del presidente regionale, Giovanni Zoroddu, e del direttore della direzione regionale personale, demanio e patrimonio, Raffaele Marra. Sui primi due c’è il sospetto - sollevato peraltro da un’interrogazione dalla consigliera idv Giulia Rodano - che non abbiano i titoli. La nomina del terzo è stata addirittura annullata due volte dal Tar. Nonostante la Regione Lazio abbia recepito la legge Brunetta che prevede la pubblicazione online dei curricula dei dirigenti, sul sito del massimo dirigente regionale, Ronghi appunto (quello che dovrebbe dare il buon esempio), si legge "curriculum vitae non disponibile". Leggendolo (Repubblica ne è entrata in possesso), si capisce, forse, il motivo di tanta riservatezza: Ronghi (190 mila euro l’anno, dipendente dell’azienda trasporti di Napoli), non possiede i requisiti previsti dall’articolo 10 del regolamento regionale 1/2002. Non è laureato, ha la "maturità tecnico commerciale". Non ha mai fatto il dirigente nel pubblico o nel privato, ad eccezione di una esperienza da dirigente, quando aveva appena 20 anni, nella società "Ro. An. di Melito" di cui non c’è traccia da nessuna parte. Gli altri suoi titoli sono una lunga militanza nel sindacato Cisnal e Ugl (quello della Polverini), e tre mandati da consigliere regionale in Campania. Inutile dire che sindacato e consiglio regionale non sono né pubblica amministrazione, né settore privato. Alla Regione Lazio è stata assunta anche la sua fidanzata, Gabriella Peluso, 120mila euro l’anno. "Di lei - ha spiegato Ronghi - ho piena fiducia". Il curriculum di Ronghi Discorso simile riguarda Zoroddu: lui è laureato, ma non presenta alcuna esperienza da dirigente, a parte, ovviamente, la carriera Cisnal-Ugl dal 1994. Per Marra, ex ufficiale della gdf, ex capo dipartimento casa della giunta Alemanno, il discorso è più complesso. Nonostante quattro lauree e un curriculum di 12 pagine, secondo la commissione che ha esaminato i titoli dei 22 candidati esterni (i 180 dirigenti regionali erano stati messi fuori gioco da un cavillo del bando), quindici candidati avevano requisiti migliori. Marra non aveva alcuna "capacità specifica relativa alle competenze proprie della struttura da assegnare" (direzione Personale), come "l’esperienza di gestione delle risorse umane". Il Tar ha annullato due volte la sua nomina, ma la Polverini l’ha nominato direttore in regime di prorogatio fino a domani. (25 settembre 2012) CORRIERE.IT - CRONACA «No, non siamo allo sbaraglio». Così Silvio Berlusconi risponde ai cronisti che lo attendono alla stazione Termini, a chi gli chiede cosa pensi di fare con il suo partito. La dichiarazione dell’ex premier arriva dopo le dimissioni del presidente della Regione Lazio Renata Polverini e i dubbi sollevati da più sull’attuale tenuta del centrodestra. REGIONE LAZIO - Sul caso Lazio, Berlusconi è anche entrato più in dettaglio in una nota nel corso della giornata. «La Presidente del Lazio, Renata Polverini, si è assunta personalmente responsabilità che sono di sistema e riguardano tutte le classi dirigenti in ogni partito. Un gesto libero e di consapevolezza morale» ha detto l’ex premier. «Ora è necessario intervenire con estrema decisione, con coraggio e severità - ha aggiunto -: la politica in Italia rischia di morire nel discredito in conseguenza di comportamenti collettivi e individuali intollerabili al senso comune e alla coscienza pubblica. Nessuno può chiamarsi fuori. Tutti i gruppi nel Consiglio regionale del Lazio erano corresponsabili: maggioranza e opposizione». RINNOVAMENTO - L’ex premier ha proseguito sottolineando che ora «bisogna abrogare il sistema di finanziamento di gruppi e partiti così come l’abbiamo conosciuto. Si sono fatti dei passi in questa direzione, a livello centrale, ma non basta. Le finanze pubbliche regionali e locali - ha spiegato - devono subire un esame senza indulgenze, e si deve procedere all’abrogazione di ogni erogazione impropria e alla messa in opera di controlli indipendenti che nessuna norma legislativa a tutela dell’indipendenza delle istituzioni può ostacolare. L’autonomia della politica è una cosa seria, non si difende consentendo comportamenti indecenti. Su questo garantisco, a nome mio personale e della squadra che entrò in politica nel 1994 per cambiare l’Italia, un impegno di risanamento senza incertezze. Occorre un forte rinnovamento - ha concluso - per tornare alla politica come servizio e non come fonte di guadagno per i singoli». ARRIVO IN TRENO - Berlusconi era arrivato a Roma in treno. «Sono due cose diverse, ma posso dire che il treno è comodissimo» ha risposto a chi gli chiedeva se fosse meglio viaggiare su rotaie o in aereo. Ma la «svolta» del Cavaliere di utilizzare le ferrovie potrebbe essere solo una parentesi. L’ex premier, infatti, ha deciso di usare il treno visto che l’aeroporto di Ciampino è chiuso per lavori e lo slot per atterrare a Fiumicino era disponibile solo nel tardo pomeriggio. Ha poi parlato anche del sindaco di Firenze Matteo Renzi. Ai cronisti che gli chiedevano un commento su chi dice che il suo endorsement sia da considerare «un bacio della morte» ha replicato: «Allora vorrà dire che non lo bacerò più». Berlusconi era accompagnato dalle sue guardie del corpo e da Maria Rosaria Rossi, deputata del Pdl, e Francesca Pascale, già consigliere del Pdl in Campania. ALFANO: CONTROLLI INTERNI - In conferenza stampa il segretario del Pdl ha annunciato una nuova stagione di serietà nel controllo delle attività e delle spese dei propri rappresentanti politici: «La riunione di oggi ha avuto un esito assolutamente positivo: da oggi i nostri gruppi consiliari in Regione avranno i conti certificati da una società esterna». In via dell’Umiltà, il segretario ha aggiunto che «in ogni assemblea regionale sarà una legge che sancisca questa regola. Avvieremo una spending review e metteremo su internet bilanci e spese dei gruppi». Infine, Alfano ha concluso: «Speriamo che queste iniziative possano rappresentare per il futuro la prova di quanto si possa risparmiare facendo sana e buona amministrazione. Il Pdl non è fatto di tanti Fiorito, noi siamo di un’altra pasta». Alfano ha quindi tagliato corto sulle speranze di ricandidatura ventilate da Fiorito: «Fino a quando sarò segretario, con me non verrà ricandidato». PARLANO I PROTAGONISTI - CORRIERE.IT ROMA - Arriva la notizia che Renata Polverini ha davvero deciso di dimettersi. Sta andando ad annunciarlo in conferenza stampa. È il momento di cercare gli altri indimenticabili protagonisti di questi giorni. I suoi consiglieri regionali che, con i nostri soldi, se la sono spassata alla grande. Cosa faranno, adesso? Cosa pensano? Cosa dicono? (Il telefonino di Carlo De Romanis, meglio conosciuto ormai come «Ulisse», quello che per ringraziare i suoi elettori e le sue elettrici di Roma Nord organizzò il festone in maschera sull’antica Grecia, con le ancelle che servivano champagne e gli amici pariolini con le teste di toro in cartapesta, è però un telefonino già staccato. Va bene, provare più tardi). Ecco invece Chiara Colosimo, 26 anni, ex cubista del Gilda e nuova capogruppo del Pdl da nemmeno quattro giorni, succeduta a Francesco Battistoni, che a sua volta era succeduto a Francone Batman Fiorito (personaggi pazzeschi, su questa storia ci faranno un film, è sicuro). Lunedì la Colosimo era finita di nuovo sui giornali per quella foto in cui è ritratta con alle spalle l’effigie di Corneliu Zelea Codreanu, fondatore della «Guardia di ferro», movimento legionario rumeno degli anni Trenta, antisemita e ultra nazionalista. Ti aspetti una ragazza mortificata, preoccupata, attenta alle parole: e invece, mettendo su un’aria furbetta, lascia intuire che sta già cercando di capire dove tirerà il nuovo vento della politica nel Lazio. Ha intenzione di ricandidarsi? «Embé... sì, per forza!». Non è scontato. «Come sarebbe a dire? È il mio lavoro, ormai!». Certo, è il suo lavoro. E con chi si ricandiderà? Con il Pdl? «Ah, boh! Sì, per ora con il Pdl...». (Ma domani chissà, visto che il suo padrino politico è Fabio Rampelli, uno degli ex di An che sta progettando insieme a La Russa una scissione proprio dal Pdl). Sono magnifici. Batman esce dalla Procura di Viterbo e annuncia: «Aho’! Pure io me ricandido!». Il microfono trema nella mano della cronista di Viterbo Tv: scusi, non ho capito... «Me-ri-can-di-do! Capito? D’altra parte, perché nun dovrei? Nun so’ mica un ladro, io!» (ricorderete: con i soldi del Pdl, quindi i nostri, non solo s’è comprato un Suv costato 88 mila euro, ma ci andava pure regolarmente in Costa Smeralda). Ora il cellulare di De Romanis, 33 anni, ex portaborse di Antonio Tajani a Bruxelles, squilla libero. «Ehm ehm!... Sì, sono io... ma con lei non dovrei proprio parlare, lo sa?». Coraggio. «Eh, coraggio... se lo viene a sapere il mio avvocato che sto parlando con lei, mi taglia la lingua...». Una domanda, solo una. «Mi avete linciato, con la storia del festone. Avete fantasticato e...». No, aspetti: era lei quello vestito da Ulisse, no? «Sì, certo che ero io!». Ecco, appunto. «Accidenti... lei mi sta fregando di nuovo... Io non dovrei parlare, capito?». Una domanda: si ricandiderà? «Intanto, dev’esserci qualcuno disposto a ricandidarmi... e poi comunque sì, se solo potessi parlare con lei, ma non lo sto facendo, perché il mio avvocato non vuole, solo potessi le direi di sì, certo che mi vorrei ricandidare.... è il mio lavoro, la politica, no?». È (era?) il lavoro di tutti. Anche di Veronica Cappellaro, 31 anni, dai Parioli con sobrio giubbino jeans e polsini in visone, già sposata con il nipote di Donna Assunta Almirante e cugina dell’ex segretario personale del potente Denis Verdini: nel 2011 si sottopose, a spese dei cittadini, a una serie di ritratti fotografici (costo: 1.080 euro). E adesso cosa ci farà, signora, con quelle foto ricordo? «Mhmm...». Clic. Un po’ di nervosismo. Non è facile rinunciare a uno stipendio di 13 mila euro netti al mese. «Ma che stai a dì, oh?» (questa è la voce ruvida di Luciano Ciocchetti, ex democristiano, gran capo dell’Udc laziale e vice-presidente del Consiglio regionale). «Io lasciai Montecitorio per venire qui: io guadagno, anzi guadagnavo solo 8.500 euro netti al mese, sia chiaro...». Sono stanchi, hanno perso lucidità, qualcuno è commosso (come Mario Brozzi, ex medico della Roma e capogruppo della Lista Polverini), ormai è notte: ma, dicono, c’è Francesco Battistoni che già briga per diventare sindaco di Viterbo. «Me lo meriterei, diciamo la verità». Fabrizio Roncone ROMA - Il dopo Renata Polverini è già cominciato: nelle segrete stanze della politica, in modo trasversale, le dimissioni della governatrice del Lazio erano un fatto che in molti davano per scontato, al massimo rinviabile di qualche ora, o forse di qualche giorno, dopo lo scandalo dei fondi usati con «allegria» in Consiglio regionale. «Adesso rimarranno i vitalizi, i 70 consiglieri e i 16 assessori, il listino e non ci sarà l’anagrafe degli eletti - ricorda il vicepresidente della Giunta e assessore all’Urbanistica, Luciano Ciocchetti (Udc) -. Non si poteva più andare avanti, rischiavamo di finire tutti nel tritacarne e invece vanno accertate le responsabilità di chi ha sbagliato, ma c’è amarezza per un lavoro importante che abbiamo portato avanti in questi anni con risultati straordinari». «Il Consiglio - aggiunge Ciocchetti - potrà riunirsi e approvare solo provvedimenti straordinari». A rischio quindi una delle voci più importanti di risparmio, prevista dalla Spending review del Governo Monti, che riguarda la riduzione del numero di consiglieri e assessori. Giorgia Meloni (Imago)Giorgia Meloni (Imago) Dal momento in cui le dimissioni di Renata Polverini sono esecutive, scattano i 135 giorni previsti per legge: 90 giorni per indire le elezioni e 45 di campagna elettorale. Le elezioni regionali, a questo punto, si potrebbero svolgere a febbraio. È possibile però che il Governo monti, anche per risparmiare, opti per un election-day accorpando le regionali con le elezioni comunali e le politiche previste per la primavera. Ma chi saranno i candidati a scendere in campo in primavera per raccogliere la difficile eredità di Renata Polverini (che aspirerebbe a una poltrona alla Camera)? Nel toto presidente il centrodestra, ancora sotto choc, ha in pole position l’ex ministro e attuale deputato Giorgia Meloni, che secondo molti all’interno del Pdl, potrebbe rappresentare una figura con molte frecce al suo arco. È giovane, conosce bene Roma e il Lazio e durante la sua militanza politica (prima An, ora Pdl) non ha avuto problemi giudiziari. Un personaggio molto noto nella Capitale potrebbe essere anche l’ex capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, costretto alla dimissioni per la vicenda degli appalti in occasione del G8. Luisa Todini, attuale membro del Cda della Rai ed ex europarlamentare di Forza Italia è un outsider molto accreditato: il suo nome, del resto era tra quelli più credibili quando alla fine del 2009 il Pdl decise di puntare proprio su Renata Polverini nella corsa al dopo Marrazzo. Ma qualcuno vicino a via dell’Umiltà suggerisce anche di non sottovalutare eventuali candidati provenienti dalla società civile, magari con una comprovata esperienza nel mondo imprenditoriale. Da definire il ruolo e il peso che potrebbe recitare l’Udc: dopo la vicepresidenza sotto la Giunta Polverini, sostengono gli ex scudocrociati, un candidato centrista alla guida della Regione potrebbe riscuotere larghi consensi dal mondo cattolico e moderato. Ma i vertici del partito dovranno prima definire accordi e strategie a livello nazionale. Nel centrosinistra, invece, di candidati papabili ce ne sono già alcuni con un lungo curriculum alle spalle: tra loro figura di certo Enrico Gasbarra, attuale deputato (Pd) e segretario regionale del partito, che vanta una lunga militanze negli enti locali (ha ricoperto incarichi da vicesindaco della Capitale e presidente della Provincia di Roma) e è un cattolico ben visto anche Oltretevere. In serata circolava anche la voce di un possibile accordo tra Pd e centristi dell’Udc per mandare Zingaretti in Campidoglio e Andrea Riccardi, cofondatore della Comunità di Sant’Egidio e attuale ministro per la Cooperazione internazionale, alla Regione. Dall’europarlamento di Bruxelles, dove è stato eletto nel 2009, anche David Sassoli (Pd) ha qualche chance di entrare in lizza per la guida della Regione. Un volto nuovo nel centrosinistra potrebbe essere Jean-Leonard Touadì, congolese di Brazzaville, laureato in filosofia: parla 8 lingue, è cattolico e ha 3 figli. È stato nel 2006 il primo assessore romano con la pelle nera (con delega all’università e ai giovani) della Giunta Veltroni. È stato anche nel 2008 il primo deputato di colore eletto alla Camera. Francesco Di Frischia SARZANINI PER IL CORRIERE ROMA - Gli aumenti di fondi per i partiti hanno sempre ottenuto il via libera della giunta della Regione Lazio. E dunque Renata Polverini non poteva non sapere, come invece ha sostenuto in questi giorni, che gli stanziamenti destinati al funzionamento dei gruppi fossero lievitati da un milione di euro a quattordici milioni di euro in appena due anni. La prova è in due «determinazioni» che sono state approvate nel 2011 e hanno elargito complessivamente otto milioni e centomila euro. Quel fiume di denaro arrivato ai consiglieri era dunque il frutto di una procedura che vedeva marciare insieme la giunta e il consiglio guidato da Mario Abbruzzese, senza controlli e soprattutto senza che ci fossero obiezioni a fronte di una lievitazione di costi che stava prosciugando le casse. E non solo a loro. Tra i contributi concessi dalla giunta c’è anche quello a una società di Lorenzo Cesa, il segretario dell’Udc. I controlli affidati al Nucleo valutario fanno emergere i conteggi di quanto ogni consigliere aveva speso per soddisfare esigenze che poco o nulla avevano a che fare con l’attività politica. La prima relazione è stata consegnata ieri al procuratore aggiunto Alberto Caperna e al sostituto Alberto Pioletti che accusano di peculato l’ex capogruppo Franco Fiorito. Le loro verifiche procedono in parallelo con quelle disposte dai pubblici ministeri di Viterbo su una decina di fatture presentate da Francesco Battistoni e risultate contraffatte. Ieri Fiorito è stato interrogato come testimone e ha chiarito che «i soldi pagati sono quelli che risultavano nei documenti originali». Il doppio stanziamento La proposta numero 3729 porta la data del 24 febbraio 2011. Nella premessa firmata da Luca Fegatelli direttore del Dipartimento Istituzionale e Territorio, che dipende dalla governatrice, si ricorda come «il consiglio regionale comunica al presidente della giunta regionale i fabbisogni di spesa del consiglio». Si decide così che per il «funzionamento dei Gruppi siano necessari 5 milioni e 400 mila euro». E il 28 marzo successivo viene firmato il provvedimento per l’elargizione del denaro. Una somma evidentemente insufficiente, come si è visto in questi giorni. E infatti nove mesi dopo si decide di attingere nuovamente alle casse. La relazione predisposta da Fegatelli è la numero 23569 del 5 dicembre 2011. Questa volta nelle motivazioni si ricorda che «il consiglio regionale, nell’ambito della propria autonomia funzionale prevista dallo Statuto, ha un proprio bilancio la cui formazione, gestione e rendicontazione sono disciplinate dal regolamento interno». Ma viene anche sottolineata l’esistenza della legge regionale che prevede come «il consiglio regionale comunica al presidente della giunta i fabbisogni di spesa del consiglio». Ed è proprio a questa norma che evidentemente si fa ricorso per concedere altri soldi. Due settimane dopo, il 21 dicembre, viene così deciso di erogare ulteriori fondi per un totale di 2 milioni e 700 mila euro. L’accordo con Abbruzzese Come mai, nonostante il consiglio avesse già autonomamente provveduto a far lievitare gli stanziamenti previsti, la giunta autorizzò la concessione di quelle risorse? Appare evidente che, quando si trattava di ottenere più soldi per le proprie spese, fossero tutti d’accordo. E infatti le cinque delibere dell’ufficio di presidenza del consiglio sono state votate all’unanimità, dunque anche dal Partito democratico e dall’Italia dei valori che sono all’opposizione. Ma c’è di più: gli organi che avrebbero dovuto controllare le procedure non hanno mai avanzato alcuna obiezione o rilievo. E lo dimostra la relazione dal presidente Mario Abbruzzese di una settimana fa quando, nel tentativo di rimanere tutti in carica, è stata votata la delibera che «azzerava l’erogazione dei fondi ai gruppi». Scrive Abbruzzese: «C’è da evidenziare sia per il 2010 che per il 2011, che a fine anno l’ufficio di presidenza, con apposita deliberazione, approva la proposta di rendiconto del bilancio del consiglio. Tale proposta, dopo aver ottenuto il parere del «Co.re.co.co» (Comitato regionale di controllo dei conti) viene esaminata dalla Commissione Bilancio per il parere (che è stato positivo come quello del Co.re.co.co) e quindi approvata dal consiglio regionale con apposita delibera. Le relative risultanze confluiscono poi nel rendiconto generale di bilancio della Regione Lazio che è approvato con legge regionale. Dunque, con l’approvazione senza rilievi di entrambi i rendiconti - 2010 e 2011 - è confermata la regolarità della procedura di assegnazione ed erogazione». I 38 bonifici esteri Per i politici era dunque tutto regolare. Adesso sarà la magistratura a dover stabilire se sia davvero così. A Fiorito si contesta di aver sottratto illecitamente circa un milione e centomila euro. Una parte dei soldi era stata trasferita dai conti del Pdl ai suoi depositi personali aperti in Italia. Un’altra è finita all’estero. Secondo le ultime verifiche in appena tra mesi - dal 21 marzo 2012 al 2 luglio successivo - ha effettuato 38 bonifici verso la Spagna per un totale di 243.058 euro. «Non ho rubato nulla - ripete l’ex capogruppo - ma se ho sbagliato sono pronto a restituire i 400 mila euro che sono tuttora su banche straniere». Tra le operazioni "sospette" ci sono tre accrediti effettuati in favore di Mireille Lucy Rejior che dovrebbe essere la persona delegata a occuparsi delle due ville che il politico possiede a Tenerife. «Quando l’esame della documentazione contabile sarà terminato - spiega il legale Carlo Taormina -, si comprenderà che Fiorito ha sempre seguito le regole». L’Udc e l’Auditorium I primi soldi sono arrivati quando il presidente della giunta era Piero Marrazzo. E finora nulla è cambiato. Tra i destinatari dei contributi c’è la società «I Borghi srl» che gestisce le attività culturali dell’Auditorium della Conciliazione a Roma. Il segretario dell’Udc e suo figlio Matteo detengono la metà delle quote dell’azienda e sin dal 2006 hanno potuto contare sui soldi che arrivavano dalla Regione Lazio. Nel 2006 (giunta Marrazzo) arrivano 260 mila euro. Nel 2008, ancora col centrosinistra al governo regionale, altri 150 mila euro. Nel 2009 i finanziamenti sono due: 119 mila la prima volta e un milione e 80 mila euro quella successiva. Presidente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato della società è stato dal 2007 al 2010 il capogruppo Udc alla Pisana Francesco Carducci Artenisio, già assessore alle politiche del Turismo e ai grandi eventi con Francesco Rutelli sindaco della Capitale, che adesso dichiara: «Mi sono dimesso da ogni incarico e ho venduto le mie quote appena sono entrato in Regione. Svolgevo quel ruolo da privato cittadino. Abbiamo preso fondi dalla Regione come dal Comune, ma sono andati diminuendo negli anni». Fiorenza Sarzanini