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 2012  settembre 25 Martedì calendario

IL FALLIMENTO DEL FEDERALISMO

Le Regioni e le autonomie locali che emergono dalle cronache quotidiane sono sempre più l’immagine di un sistema sull’orlo del baratro. Eppure negli ultimi vent’anni a dominare il dibattito pubblico c’è stato il mantra federalista, quel decentramento in salsa leghista che ha dato un carattere ideologico alla discussione. L’autonomia regionale doveva essere salvifica. Ma all’ombra di questo cappello è aumentato il dissesto finanziario di regioni ed enti locali, una cifra compresa a seconda dei calcoli tra i 30 e i 70 miliardi di euro. E non è soltanto un problema di corruzione, di ruberie, di malcostume politico, o di scarsa competenza amministrativa. C’è un malinteso senso dell’autonomia che sta alla base di questo sfascio. Le assunzioni pubbliche nelle amministrazioni regionali come forma di ammortizzatore sociale ne sono un piccolo esempio.
Molti pensavano che la vicinanza tra amministratori e cittadini sarebbe stata una garanzia di buon governo, o comunque di migliori prestazioni da parte della politica. Così non è stato. Alle divisioni trasversali di una società molto corporativa come quella italiana, scarsamente orientata verso il mercato, tendenzialmente in cerca di scambi con il potere pubblico, si è sovrapposta la sciatteria localista. Municipi, comunità montane, province e regioni, tutti a interpretare e a difendere sub-identità opportunisticamente superiori a quella nazionale. È stato certamente decisivo il contributo del dio Po, delle sue ampolle, l’iniziativa politica leghista che dava voce a una forma di ribellismo della provincia del nord, stanca - vent’anni fa - della incapacità dei partiti tradizionali di cogliere le trasformazioni sociali ed economiche della parte più ricca del Paese.
Ma ha giocato anche una forma di subalternità culturale di quasi tutto il sistema politico della seconda repubblica rispetto al federalismo che si imponeva da destra (Lega più Forza Italia) come nuovo che avanzava. Il risultato è stato una riforma inefficiente come quella del Titolo V della Costituzione varata non dalla Lega, ma paradossalmente da un governo di centrosinistra in piena zona Cesarini della XIII legislatura, e poi confermato da un referendum popolare. Oggi, dopo quarant’anni di discussioni sulle autonomie, è tempo di riflettere su forme di bilanciamento centralista, che ripristinino più controlli sulla spesa pubblica, decoro e identità delle classi dirigenti e un maggiore e condiviso senso dello Stato da parte di tutti.
Lo stile di vita del consigliere Franco Fiorito detto er Batman, la modestia soggettiva della classe dirigente dei partiti che emerge dalle cronache locali non solo nel Lazio (basta vedere i casi Lombardia e Campania), il superficiale senso di sé di questo ceto politico intermedio che popola le Regioni, rimasto a metà strada tra l’apprendistato locale e la ribalta nazionale ci deve interrogare su che cosa sono state le Regioni negli ultimi quarant’anni. Sono state un grande problema amministrativo e istituzionale: fatto di funzioni duplicate, di competenze sempre più invasive e di materie riservate.
E sono state anche un problema economico. Nel 1951 la spesa pubblica gestita dalle amministrazioni locali era il 18 per cento del totale della spesa. Trent’anni dopo, nel 1980, era il 26,8 per cento del totale. Nel 2008 era il 31,6 per cento. Dopo la riforma del 1978, è la spesa sanitaria la voce che assorbe la maggior parte delle risorse. Ma quello che conta è che quelle risorse diventano una greppia di sprechi. Si stima che la spesa per l’acquisto di beni e servizi - che è in buona parte gestita da regioni ed enti locali - per il 25% è frutto di sperperi e consumi inutili.
Con le dovute eccezioni, la spesa regionale si è rivelata complessivamente come un fenomeno non controllabile. Ed è tempo di rimettersi a ragionare sul ruolo delle regioni, e i limiti delle autonomie locali. Le spese pazze di Batman, la gestione dei precari in Sicilia, la disinvoltura della sanità lombarda, sono questioni diverse ovviamente, ma che vivono tutte fuori dal controllo del potere centrale.