Dino Pesole, Il Sole 24 Ore 22/9/2012, 22 settembre 2012
PRESSIONE FISCALE RECORD NEL 2013
Ben 2,2 punti in più, dal 2011 al 2012. Un incremento che ha pochi precedenti: dal 42,5 al 44,7 per cento. E non è finita qui, poiché l’effetto delle strette fiscali imposte dalle manovre correttive dello scorso anno, concentrate per due terzi proprio su incrementi della tassazione, porterà nel 2013 la pressione fiscale complessiva al record del 45,3 per cento. Il quadro macroeconomico, con il Pil in caduta quest’anno del 2,4%, si conferma dunque obiettivamente critico. I dati non sono una sorpresa, commenta da Berlino il ministro dell’Economia, Wolfgang Schäuble, «e non mutano la piena fiducia del governo tedesco nei confronti di Mario Monti». «Ho la ferma speranza – ha aggiunto Schäuble – che il cammino efficace intrapreso da Monti proseguirà anche dopo le elezioni. E con chiunque si candiderà e chiunque sarà scelto questo percorso dovrà proseguire».
La Nota di aggiornamento del Def, approvata due sere fa dal Consiglio dei ministri, aggiorna insieme al quadro macroeconomico anche le principali variabili di finanza pubblica, con qualche variazione rispetto alle stime formulate lo scorso aprile. Va un po’ meglio quest’anno, poiché la precedente stima per quel che riguarda la pressione fiscale era del 45,1%, mentre per il 2013 la variazione è minima (dal 45,4% al 45,3%). La lenta riduzione partirà solo dal 2014 (44,8%), mentre per il 2015 è previsto che si raggiunga quota 44,6 per cento. Un quadro che sconta l’impennata della spesa per interessi, effetto inevitabile dell’andamento dello spread almeno da aprile a oggi: quest’anno si raggiungeranno gli 86,1 miliardi (pari al 5,5% del Pil), 8 miliardi in più rispetto allo scorso anno. Nuovo aumento nel 2013 a quota 89,2 miliardi (5,6% del Pil) e nel 2014 (96,9 miliardi pari al 6% del Pil). Nel 2015 si sfonderà il tetto dei 105,3 miliardi (6,3%).
Con la spesa delle famiglie che crollerà quest’anno del 3,3% per effetto della recessione, e con la disoccupazione che salirà all’11,4%, la sostenibilità di medio periodo dei conti pubblici sarà garantita dall’avanzo primario: 44,9 miliardi quest’anno (il 2,9% del Pil), 63,8 miliardi nel 2013 (il 4%), 71,8 miliardi nel 2014 (4,4%). È la strada obbligata per far fronte al macigno del debito pubblico, ma lastricata di incertezze legate soprattutto all’andamento della spesa per interessi, che potrebbe porre in discussione l’obiettivo del pareggio di bilancio in termini strutturali nel 2013. Da questo punto di vista, la Nota di variazione registra un obiettivo rallentamento nel percorso di discesa del debito. Se in aprile si era ipotizzato che la riduzione avrebbe preso avvio dal prossimo anno, in realtà non vi saranno variazioni tra il 2012 e il 2013: 123,3% del Pil, al netto degli aiuti finanziari concessi ai paesi in difficoltà, che pesano per altri 3 punti. Solo nel 2015, si potrà scendere a quota 119,1 per cento. Quali le cause? Ovviamente il peggioramento del ciclo, che incide sul denominatore, ma anche – fa sapere il ministero dell’Economia – alla recente revisione operata dalla Banca d’Italia relativamente al 2010 e 2011. Si tratta dello 0,6% per ciascun anno, e per lo 0,5% lo scostamento è da attribuire alla recente riclassificazione di Eurostat, con la quale si stabilisce che i debiti commerciali delle amministrazioni pubbliche, ceduti con clausola «pro-soluto» a istituzioni finanziarie non bancarie, devono essere inclusi nel debito degli Stati membri. Ad alleviare, seppur parzialmente, il peso del debito interverrà tra breve la privatizzazione di Sace, Fintecna e Simest (pari a circa 0,6 punti di Pil), mentre il ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, ha confermato che dalla valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico sarà possibile ottenere un risparmio in conto interessi tra i 15 e i 20 miliardi.