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 2012  settembre 22 Sabato calendario

L’INDOTTO RESTA CON IL FIATO SOSPESO

Il settore della componentistica auto guarda con preoccupazione alla crisi del mercato e alle prossime mosse della Fiat. Nonostante i fornitori abbiano nel tempo diversificato in misura consistente i propri sbocchi di mercato, le vendite agli stabilimenti italiani del Lingotto pesavano nel 2011 per il 30% sul fatturato del settore, secondo i dati dell’Osservatorio della filiera autoveicolare italiana nel 2012 promosso dall’Anfia, l’associazione di settore che fa parte di Confindustria (e da cui Fiat è uscita nel 2011).
La dipendenza varia a seconda del tipo di azienda. Quelle più grosse – i cosiddetti fornitori di primo livello – sono da tempo avviati sulla strada della globalizzazione. «Per noi di Brembo il peso di Fiat Auto è inferiore al 10%» dice il presidente dell’Anfia, Roberto Vavassori. Se si escludono le aziende piemontesi, ormai quasi metà della filiera non ha più alcun rapporto con il gruppo torinese. I piccoli, magari con un solo stabilimento, sono invece ancora più legati al mondo Fiat e pagano quindi le conseguenze della crisi.
Secondo i dati dell’Osservatorio dell’Anfia il grosso delle aziende di componenti – circa mille su 2.800 – sono basate in Piemonte; altre mille sono in Lombardia, Emilia (soprattutto il distretto dell’auto sportiva con Ferrari, Maserati e Lamborghini) e Veneto; il grosso delle altre sono nelle regioni dei quattro stabilimenti del sud (e nella Puglia confinante).
In caso di chiusura di uno degli stabilimenti di Fiat Auto in Italia, l’impatto sui fornitori sarebbe purtroppo più forte che non nel caso di Termini Imerese, dove l’indotto locale era estremamente limitato. Nuclei di fornitura sono sorti intorno ai poli produttivi di Cassino, Val di Sangro, Melfi e Pomigliano. La stessa Magneti Marelli, del gruppo Fiat, dispone di 22 insediamenti produttivi di cui 6 nel torinese, 2 in Lombardia, 2 in Emilia e da 2 a 4 attorno a ciascuno degli stabilimenti Fiat Auto nel Sud: Cassino, Val di Sangro, Pomigliano e Melfi. Per quanto riguarda lo stabilimento Sevel di Val di Sangro, che produce il Ducato, per ora ha resistito meglio degli altri, anche se è di questa settimana la notizia di un periodo di cassa integrazione; ma Sevel è una joint venture 50/50 con il gruppo francese Peugeot, e dopo lo scioglimento della partnership nella francese Sevelnord, il suo futuro a medio termine è meno garantito. Il forte calo della produzione di auto, non va dimenticato, è andato di pari passo con il calo di quella di camion e l’azzeramento o quasi di quella di autobus (con la chiusura dell’ultimo stabilimento Fiat Industrial, la Irisbus).
L’impatto della crisi sull’occupazione si è già fatto sentire: secondo il citato rapporto Anfia, tra il 2010 e il 2011 l’occupazione è scesa di circa 8mila unità a 179mila, con un calo più forte in Piemonte (-5,1%) che nel resto d’Italia (-3,4%).
Qualora Fiat ottenesse una cassa integrazione in deroga per far fronte al perdurare della crisi, «in quel caso chiederemmo naturalmente l’estensione del provvedimento anche alle imprese dell’indotto» dice ancora Vavassori. «Non dimentichiamo, infatti – ricorda – che per ogni posto di lavoro diretto nel settore auto ce ne sono quattro o cinque presso i fornitori». Vavassori lancia anche un altro allarme: «Con la produzione di automobili in Italia scesa ormai sotto il mezzo milione di unità, per le grandi multinazionali come Bosch, Valeo, Lear, diventa sempre meno conveniente mantenere una fabbrica nel nostro Paese: il mercato potrebbe essere coperto anche dall’estero». Il problema degli investimenti e della difficoltà di programmare vale naturalmente anche per le aziende di casa nostra: «Nel nostro budget per i prossimi anni la voce relativa agli stabilimenti europei della Fiat è pari a zero: c’è troppo poca visibilità» spiega un fornitore che lavora per il Lingotto anche in altre aree del mondo e che, come Brembo, ha visto progressivamente calare il peso del Lingotto sul fatturato.
La soluzione? «L’obiettivo dovrebbe essere di riportare la produzione ai livelli di qualche anno fa», dice Vavassori. Il Governo dovrebbe predisporre – dice – una sorta di «contratto di insediamento» per favorire lo sbarco di aziende straniere. Un compito non facile anche se non impossibile, come dimostra l’interessamento del gruppo Volkswagen per l’Alfa Romeo. Il settore della componentistica potrebbe giovarsi anche alcune delle possibili misure di cui si parla in questi giorni – come la defiscalizzazione delle spese di ricerca. Nel frattempo, le aziende più forti e diversificate sono riuscite ad aumentare l’export del 16% a 19,1 miliardi di euro – un record assoluto.