Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  settembre 23 Domenica calendario

THOMAS KUHN E IL GRANDE SUCCESSO DI UNA TEORIA SBAGLIATA

Nel 1962 il mondo sfiorava la guerra nucleare con la crisi dei missili a Cuba. I Beatles incidevano il primo disco, James Bond arrivava per la prima volta al cinema, Marilyn Monroe lasciava tragicamente le scene. In quello stesso anno Watson e Crick ricevevano il premio Nobel per la scoperta della doppia elica. Fra tanti avvenimenti da prima pagina, il 1962 vanta anche un altro primato. La pubblicazione di un libro tra i più citati al mondo: La struttura delle rivoluzioni scientifiche di Thomas Kuhn (in Italia c’è l’edizione 2009, presso Einaudi). Molti commentatori l’hanno inserito fra i testi più influenti del Novecento e non c’è dubbio che abbia cambiato per sempre l’immagine della scienza. Eppure, quando cinquant’anni fa la University of Chicago Press diede il «si stampi», era soltanto il tomo secondo del secondo volume dell’International Encyclopedia of Unified Science, scritto da uno storico di Berkeley con interessi filosofici e studi fisici alle spalle. Nessuno, dentro o fuori la casa editrice americana, tanto meno Kuhn, poteva immaginare che sarebbe diventato un bestseller. In effetti all’inizio le vendite furono modestissime, poi però il libro ha cominciato a volare e non si è più fermato. Ad oggi ha venduto quasi un milione e mezzo di copie, una cifra straordinaria per un saggio accademico. E ora, per celebrare il cinquantenario, la University of Chicago Press lo ha riproposto in edizione speciale, con una prefazione del filosofo canadese Ian Hacking, che aiuta a rileggerlo in un contesto storico completamente cambiato.
Oggi la fisica non è più la regina incontrastata delle scienze e i computer hanno invaso i laboratori. È ancora vero quel che sosteneva Kuhn? Ovvero che la scienza è costituita dall’alternarsi di brevi periodi rivoluzionari, in cui si passa da un paradigma vecchio a uno nuovo, intervallati da lunghi periodi in cui la scienza è «normale» e gli scienziati non fanno che aggiungere dettagli al paradigma dominante?
Nel 1962, ricorda Hacking, i fisici delle alte energie sembravano collezionare particelle come farfalle, a rimetterle in ordine è stato il «modello standard». In cosmologia si affrontavano due visioni opposte, il «big bang» e lo «stato stazionario», ma nel giro di pochi anni la scoperta della radiazione di fondo avrebbe decretato la vittoria del primo. Nel frattempo nuovi mattoni hanno rafforzato l’edificio teorico della fisica fondamentale, da ultimo il bosone di Higgs che, in senso kuhniano, è decisamente «normale». I problemi da risolvere sono ancora molti e il futuro riserverà delle sorprese, scrive Hacking, ma «forse non avremo un’altra rivoluzione». Game over.
Se così sarà, possiamo essere soddisfatti di aver raggiunto conoscenze tanto solide da somigliare al nucleo della verità. Oppure possiamo pensare insieme all’autore di La fine della scienza, il giornalista John Horgan, che questa sia una prospettiva reale ma deprimente. Se invece Kuhn avesse ragione, prima o poi insorgerebbe qualche anomalia, che alimenterebbe nuovi dubbi e aprirebbe le porte a nuove rivelazioni, in un alternarsi di ehmm… e ahhh! senza fine. Ma no, Kuhn non ha più ragione e forse non l’ha mai avuta. Secondo la sua idea dell’«incommensurabilità», quando si vive dentro un paradigma non si capisce più il vecchio, perché persino la stessa parola acquista significati diversi. Come ha scritto il Nobel per la fisica Steven Weinberg, però, non è vero che Einstein ha scalzato Newton, e non è vero che i due paradigmi siano «incommensurabili». Impegnandosi abbastanza, gli studenti sono perfettamente in grado di capire sia l’uno che l’altro. Quanto alle scienze della vita, l’idea dei salti di paradigma è ancora meno convincente: Watson e Crick non hanno soppiantato Darwin, l’hanno completato. Nella biologia evoluzionistica — ha notato il grande naturalista Ernst Mayr — non si scorge alcun andamento kuhniano.

È evidente che l’eredità della Struttura è controversa, qualcuno potrebbe persino dire avvelenata, ma troppo ingombrante per decidere di non farci i conti. Kuhn ha contribuito in modo sostanziale a diffondere l’idea che gli scienziati non siano in grado di capire la verità, influenzati come sono dalla cultura e dalla società circostante, e che addirittura non siano capaci di capirsi tra loro. Non è stato l’unico filosofo che si sia dedicato a instillare il dubbio nella scienza, e le ripercussioni della sua opera sono andate abbondantemente oltre le sue intenzioni. Fatto sta che è riuscito nel capolavoro di farsi citare a ogni piè sospinto sia dagli oppositori della scienza che dagli scienziati, fino a contaminare il linguaggio comune con espressioni che sono diventate virali.
Prima di lui la parola paradigma veniva usata più che altro per la coniugazione dei verbi: ricordate amo, amas, amavi, amatum, amare? Dopo di lui è diventata un’espressione passepartout per indicare un cambiamento del nostro modo di concepire qualcosa. L’iPhone5? Non è un salto di paradigma, è troppo simile al 4. La crisi finanziaria? Quella sì che è un cambio di paradigma, secondo Tremonti. E l’elenco potrebbe continuare. A Kuhn è stato rimproverato di aver usato la parola in una ventina di accezioni diverse e lui, sconcertato dal crescente abuso, ha cercato di sostituirla con espressioni meno ambigue. Ma non c’è stato niente da fare: non si può rimettere il genio nella lampada dopo che è uscito. Nelle scienze umane l’idea dei salti di paradigma ha fatto breccia, perché è servita a liberarsi del complesso di inferiorità nei confronti delle scienze dure, che smettono di essere una via di conoscenza privilegiata. Nelle scienze naturali viene usata dagli scienziati stessi come specchietto per le allodole nei confronti di media e finanziatori, per far apparire straordinari anche contributi scientifici modesti.
Citare Kuhn è diventato un topos giornalistico, un fregio per aspiranti intellettuali e un ritornello per sedicenti innovatori. Kuhn, in definitiva, si è fatto paradigma, ed è così radicato che per scalzarlo ci vorrebbe una rivoluzione.
Anna Meldolesi