Federico Pistone, Corriere della Sera 23/09/2012, 23 settembre 2012
BRIGHENTI, IL GIRO DEL CALCIO IN 80 ANNI: «HO AVUTO TUTTO E NON E’ FINITA QUI»
Il giro del calcio in ottant’anni. Giocatore, bomber da record, nazionale, allenatore, opinionista, dirigente: Sergio Brighenti non si è fatto mancare niente e non è ancora stanco. Ieri, da presidente onorario del Modena, era al «Braglia per assistere alla gara contro il Livorno. E ha avuto due regali di compleanno con dedica: la vittoria per 1-0 e una maglia canarino con il suo nome e il numero 80 accompagnata da un applauso durato fino alla commozione.
La sua storia comincia proprio qui, il 23 settembre 1932. Era appena nato e aveva già padre e fratello in campo, in quel Modena dove anche lui esordì, diciassettenne, per diventare uno dei centravanti più spietati del nostro calcio. «Nel 1948 avevo cominciato da regista — rivela — ma segnavo così tanto che l’allenatore decise di spostarmi davanti». Buona idea perché a vent’anni se lo prese l’Inter con cui vinse due scudetti (1953 e 1954) e lui riuscì a fare venti gol nonostante la concorrenza stellare di Nyers, Skoglund, Lorenzi, Armano: «Dovevo tacere e portare le valigie; a quei tempi non c’era la panchina, o eri in campo oppure andavi in tribuna. E il secondo anno in campo ci andavo io». Un infortunio all’inguine rimandò il suo esordio in nazionale e la partenza annunciata per i Mondiali del 1954.
Ritrovò la condizione nella Triestina e poi fu Padova e fu Rocco: il catenaccio era perfetto per Brighenti, centravanti moderno che tornava, chiudeva, era parte del gioco e poi via in contropiede: cinquanta gol coi biancoscudati compreso il capolavoro del 5 giugno 1960. «Giocavamo a Bologna. Ero a venti metri dalla porta quando vidi arrivare il pallone. Mi coordinai e venne fuori una rovesciata che finì proprio all’incrocio dei pali. Il portiere Santarelli mi venne incontro e si congratulò. Fu il mio gol più bello». Brighenti era già diventato una pedina della nazionale. Ce l’aveva con l’Inghilterra: le segnò due gol, compreso il primo della storia azzurra a Wembley. Nel 1960 finì alla Sampdoria di Vicini e Skoglund, allenata da Monzeglio: Sergio Brighenti firmò 28 reti, due più di Sivori e 5 più di Altafini, trascinando la Samp al quarto posto, dietro Juve, Milan e Inter. Agli ex compagni nerazzurri allenati da Herrera Brighenti rifilò quattro reti in una sola partita, quella del 2 aprile 1961, finita 4-2 a Marassi.
Ma quella stagione fu paradossalmente la più amara nei ricordi di Brighenti: «Per un’ingiustizia persi in un colpo premio sportsman dell’anno, nazionale e ritorno all’Inter». Il riferimento è alla sfida Juve-Inter, prima archiviata con il 2-0 ai nerazzurri per invasione di campo, poi fatta rigiocare con Herrera che per protesta schierò i ragazzini. «Così Sivori — ricorda Brighenti — realizzò 6 gol, giusto quelli che gli servivano per soffiare a me il trofeo d’oro per il miglior rapporto presenze-reti. Per sicurezza cercarono anche di togliermi un gol sostenendo che era un’autorete di Tumburus, versione smentita dalla tv». Poi Umberto Agnelli, che allora era presidente della Federazione e anche della Juve, cercò di risarcire Brighenti consegnandogli una coppa d’oro identica a quella vinta da Sivori. «Perfino Boniperti mi disse: "Sivori doveva restituirtela". Ma ormai ero depresso, i dissapori tra Samp e federazione congelarono anche la convocazione in azzurro mia e di altri due blucerchiati e alla fine dovetti rinunciare al ritorno all’Inter perché non avevo il coraggio di lasciare Genova».
Dopo il ritorno al Modena e la chiusura da calciatore al Toro, Brighenti diventò allenatore portando soluzioni ardite («Per la prima volta in Italia, al Lecco, schierai il finto centravanti, una formula utilizzata solo in Ungheria ai tempi di Puskas») e diventando vice di Azeglio Vicini al Mondiale 1990: «Dovevamo vincerlo: grande nazionale, cinque vittorie, un pareggio, nessuna sconfitta. L’Argentina fu aiutata dagli arbitri». L’antica grinta di Brighenti sembra non finire mai.
Federico Pistone