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 2012  settembre 23 Domenica calendario

MODELLO MEDIOBANCA E GRANDE CRISI

Attorno a Mediobanca e ad Alberto Nagel si era alzato un polverone. Ma in pratica non è accaduto nulla. Il consiglio straordinario del 5 settembre, secondo fonti rimaste anonime, avrebbe dovuto crocifiggere il banchiere al «papello» ligrestiano che aveva siglato. E invece il consiglio gli ha rinnovato la fiducia, come avevano già promesso i grandi azionisti Unicredit e Bolloré. L’imprudenza c’è stata, ma è prevalsa la gratitudine verso chi aveva salvato 1,2 miliardi di crediti verso Premafin-Fonsai. D’altra parte, dato il suo «garantismo storico», il mondo bancario non avrebbe mai potuto espellere un semplice indagato per ipotesi di reato tutte da verificare.
Il consiglio ordinario del 20 settembre ha approvato i conti senza polemiche. È vero, l’utile netto crolla da 369 a 81 milioni di euro, ma era previsto. Mediobanca patisce il ribasso delle sue partecipazioni, Generali in primis, e poi Telco e Rcs, entrambe svalutate. D’altra parte, i bilanci di Intesa Sanpaolo e Unicredit non autorizzano nessun banchiere a farsi giudice dei colleghi. E tuttavia, ai confini di Piazzetta Cuccia, restano l’irritazione delle fondazioni per una ricerca di Mediobanca Securities sui loro bilanci, interessante ma discutibile, e le riserve di Intesa Sanpaolo sull’affare Fonsai, interessanti ma discutibili anch’esse.
Ciò detto, il modello Mediobanca non può resistere tal quale alle ingiurie del tempo. Negli anni 90, Enrico Cuccia e il suo delfino, Vincenzo Maranghi, avevano fronteggiato la riforma bancaria e le privatizzazioni portando ai massimi statutari i pacchetti Generali e Montedison che, con le storiche presenze in Fiat, Pirelli, Fondiaria e Rcs, le davano una presa tentacolare sulla finanza. Metà consigli, metà denari, era il motto. Negli anni dell’influenza geronziana, Mediobanca ha cambiato governance, ceduto Fondiaria e divorziato da Fiat, ma il modello è rimasto. Adesso, la Grande Crisi morde il modello. Fatti salvi i consigli, il costo della provvista impone di centellinare e mirare il credito finanziario, mentre le regole di Basilea suggeriscono di tagliare le partecipazioni. Qualcuno suggerisce addirittura di scorporarle in una holding separata, ma poi Mediobanca dovrebbe chiedere 3 miliardi ai soci per ricostituire il capitale. Non son tempi.
Alleggerire il carico, invece, si può. Mediobanca può tornare al 5% delle Generali dov’è stata per decenni, un po’ vendendo e un po’ diluendosi quando Trieste facesse una grande fusione. Per Pirelli, che rende ma è minata dalla tensione tra Tronchetti e Malacalza, non c’è fretta. La Telco, invece, potrebbe essere sciolta subito restituendo a Telecom Italia lo status di public company contendibile. Ma saranno tutti felici se una tale svolta fosse repentina e a tappeto? Probabilmente, no. E questo riguarda anche la quota Rcs. Monetizzare si può, ma con giudizio.
Lo stesso sindacato di Mediobanca tende a ridursi a mero scudo contro scalate furbette. Meglio scioglierlo, allora? Forse no, forse sì, purché la predica liberista non venga dalla cima delle piramidi societarie che sono peggio dei patti, perché permettono di comandare con i soldi degli altri.
Massimo Mucchetti