Antonella Baccaro, Corriere della Sera 22/09/2012, 22 settembre 2012
PER LE FABBRICHE L’IPOTESI PREPENSIONAMENTI — A
Palazzo Chigi le chiamano «condizioni di contesto», espressione che nel linguaggio dei tecnici equivale agli aiuti possibili allo sviluppo o, in questo caso, al mantenimento in vita di un’attività imprenditoriale. Proprio sulle condizioni di contesto che potrebbero essere offerte alla Fiat in cambio, sia ben chiaro, di qualche impegno più preciso sulle fabbriche italiane, hanno lavorato in questi giorni le squadre tecniche di Palazzo Chigi, ministero dello Sviluppo economico e Lavoro.
Se ne parlerà oggi nell’incontro con la Fiat non prima di aver strappato all’amministratore Sergio Marchionne qualche anticipazione sul piano che sarà presentato il 30 ottobre, con il consueto impegno alla riservatezza.
Capire le reali intenzioni della Fiat è necessario prima di squadernare l’armamentario possibile degli aiuti, nessuno dei quali per il governo è di facile gestione. A cominciare dagli ammortizzatori sociali: i quattro principali stabilimenti Fiat sono oggi in cassa integrazione ordinaria, pagata da azienda e lavoratori. Ma l’ipotesi di lasciarli in vita con una produzione ridotta già all’osso fino alla ripresa, che Marchionne non colloca prima del 2014, richiede l’utilizzo di nuova cassa. In ballo c’è quella in deroga, finanziata dallo Stato, a Mirafiori, Pomigliano e alla ex Bertone, quando sarà esaurita quella straordinaria. E poi forse anche i prepensionamenti per i lavoratori che oggi non arrivano a 60 anni. Può il governo impegnarsi su questo fronte? Il problema non è solo economico ma anche sociale: le situazioni come quella di Fiat sono tantissime, soprattutto tra le medio-piccole imprese, che bramerebbero di poter superare il periodo di crisi con una qualche forma di aiuto. L’effetto a catena è scontato.
L’altra condizione di contesto che può essere messa sul tavolo sono gli incentivi fiscali di cui proprio ieri ha parlato Marchionne citando in positivo il caso Brasile. Far calare le accise sul carburante, alleggerire la presa del redditometro, rendere meno onerosa l’Rc auto o la tassazione sulle auto sono interventi che potrebbero rianimare il mercato domestico ma nessuno è a costo zero. Le entrate fiscali del Paese sono blindate se si vuole mantenere la promessa di non aumentare l’Iva.
E infine c’è la questione europea che Marchionne ieri ha brandito incalzando il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera. L’idea del manager è che Monti sfrutti il suo appeal in Europa per ottenere quello che lui stesso ha proposto inutilmente all’Acea, l’associazione europea delle case d’auto: una politica comune che consenta gli aiuti e coordini le chiusure delle fabbriche. Vorrà Monti, alfiere della concorrenza europea, intestarsi questa battaglia? Si vedrà, intanto per il premier sarà più agevole garantire l’impegno a facilitare l’ottenimento dei prestiti della Bei o a semplificare le norme societarie. Così come è prevedibile che Monti ricordi a Marchionne che il Paese è impegnato in uno sforzo riformatore che il manager, da italiano, farebbe bene a riconoscere confermando i suoi impegni.
Antonella Baccaro