Giuseppe Di Piazza, Corriere della Sera 22/09/2012, 22 settembre 2012
DA CRAXI AL CAVALIERE. LA MANIA POLITICA DEL BOOK D’AUTORE
Il padre di tutti i book fotografici aveva un titolo piatto piatto, ma a suo modo efficace: «Una storia italiana». Giunse nella primavera del 2001 in venti milioni di case, molto più capillare di una distribuzione dannunziana dall’aereo. Nel libro fotografico si tessevano le lodi di Silvio Berlusconi, attraverso una gallery straordinaria che andava dall’infanzia al potere. L’operazione, pagata dal fondatore di Forza Italia, portò bene agli ideatori: Berlusconi stravinse le elezioni, e la storia italiana che ne seguì la ricordiamo in modo nitido. Altra è la caratura del book voluto dal presidente del consiglio regionale della Calabria, Francesco Talarico, costato ben 140 mila euro presi dai fondi (pubblici) di rappresentanza della Regione. Un opuscolo di 125 pagine che illustra le gesta del presidente e «il senso delle scelte compiute». Così come sono denaro pubblico i fondi con cui vengono remunerati i fotografi che seguono minuziosamente l’attività dei presidenti della Camera: Enrico Para, votato a Gianfanco Fini, e il suo predecessore Umberto Battaglia, dedicatosi a Pier Ferdinando Casini. Trecentomila euro di fatturato per il primo, titolare di uno studio dal nome programmatico, Impero, e 140 mila per il secondo. Ma che cosa fa scattare nella testa di un politico il desiderio irrefrenabile di essere ritratto in ogni sua azione? «Semplice culto della personalità», risponde Roberto Koch, fotoreporter di fama e fondatore dell’agenzia Contrasto. Nei primi anni Novanta, Koch seguì — professionalmente parlando — Massimo D’Alema. Poi, quando il segretario dell’allora Pds divenne nel ’98 presidente del Consiglio, l’agenzia di Koch fornì un fotografo che ritrasse giorno dopo giorno le attività del premier. «Il lavoro fu affidato ad Antonio Scattolon», racconta il presidente di Contrasto, «ma da Palazzo Chigi ricevevamo solo il rimborso spese per le stampe. Una decina di milioni di lire all’anno. Le foto erano di nostra proprietà e le distribuivamo noi». Nel caso della presidenza della Camera o nel caso della governatrice del Lazio, Renata Polverini, invece, la committenza compra le foto, tant’è che le fatture di Edmondo Zanini, ritrattista di fiducia della governatrice fin dai tempi del sindacato Ugl, sono ben più alte: 75 mila euro in un anno. Al Quirinale, invece, le cose sono differenti: c’è un fotografo di staff, Paolo Giandotti, che viene aiutato nel suo lavoro dal maresciallo a riposo De Gennaro. A Palazzo Chigi ancora meno: non c’è più fotografo da quando il presidente Mario Monti ha deciso di fare a meno di Enrico Para (al lavoro per Fini e per il ministro degli Esteri, Terzi). Alla base di questa decisione, l’imbarazzo provocato da un adesivo con l’effige del Duce che Para teneva sulla carrozzeria della sua Audi nera con cui andava alle manifestazioni ufficiali, comprese quelle in memoria dei partigiani. Foto in nero, le sue, più che in bianco e nero. Berlusconi, il padre di tutti i book, continua invece a prestare massima attenzione alla materia. C’è sempre il suo fotografo di fiducia, Livio Anticoli, e aleggiano ancora gli aneddoti su Miti Simonetto, che per vent’anni ha curato l’immagine del Cavaliere. «Un giorno venne da noi», racconta Enrica Scalfari, amministratore dell’agenzia Agf, «e venne ricevuta da mia madre, che non la conosceva. Voleva comprare tutte le foto di Berlusconi. Mia mamma era entusiasta. Poi la signora Simonetto spiegò che voleva comprare tutto, negativi, stampe, dia, per non farle più circolare. Non se ne fece nulla». Ma lei, signora Scalfari, accetterebbe di ritrarre giorno dopo giorno un presidente della Regione? «Magari! È solo una questione di impegno professionale». Quanto costerebbe? «Otto ore al giorno, circa 3.500 euro al mese. Ma se l’impegno fosse più lungo, la cifra potrebbe raddoppiare». Ha mai fatto book per politici? «No, ma ho seguito in cento città la campagna elettorale di Veltroni. Gratuitamente». Dietro a un book c’è di sicuro vanità mischiata a voglia di lasciare traccia di sé. Un’ossessione antica, nella politica. Volendo giocare con il passato, potremmo trovare nel duca di Urbino, Federico da Montefeltro, un antesignano. Solo che lui non chiamò un fotografo con il Duce sul parafango, ma Piero della Francesca. Lasciando da parte alcuni binomi storici (Hitler/Hoffman, Fidel Castro/Korda), nel dopoguerra l’apripista del rapporto privilegiato con un fotografo, incaricato di immortalare ogni gesto, fu certamente Bettino Craxi. Scelse un bravo professionista di Ostia, Umberto Cicconi, e a lui affidò la propria immagine. Andò talmente bene che le due famiglie si imparentarono: Bobo sposò la bellissima Scintilla, detta Scilla, figlia di Umberto. Ne scaturì, ovviamente, un ottimo album di matrimonio.
Giuseppe Di Piazza