Paolo Griseri, Affari&Finanza, La Repubblica 24/9/2012, 24 settembre 2012
INCENTIVI, AIUTI E AGEVOLAZIONI QUANDO GLI STATI FANNO MERCATO
Il 10 febbraio 2009, cinque mesi dopo il fallimento di Lehman Brothers e quattordici mesi prima del lancio del piano Fabbrica Italia, il governo francese decideva un piano di aiuti alle due case automobilistiche nazionali. Parigi, sotto la regia del centrodestra di Nicolas Sarkozy, stabiliva di erogare 6 miliardi di euro equamente ripartiti tra Renault e Psa. Una generosissima donazione a vantaggio dei due gruppi nazionali (uno privato e uno in parte pubblico) che prendeva la forma di prestiti a tasso agevolato da restituire in cinque anni. Un’entrata a gamba tesa nel gioco della libera concorrenza ma un efficace sistema per vincolare le aziende nazionali a investire in Francia e a non trasferire all’estero la produzione. Un meccanismo tanto efficace che nei mesi scorsi, quando i costruttori francesi hanno provato a trasferire una parte della produzione in Nordafrica, sono stati costretti a una rapida marcia indietro. La poderosa iniezione di denaro pubblico non ha impedito che proprio nelle scorse settimane il vertice di Psa annunciasse un piano di lacrime e sangue con il taglio di 8.000 posti di lavoro. Ma anche in questo caso il governo Hollande ha immediatamente convocato la casa automobilistica e ha incaricato un advisor esterno per verificare se effettivamente quel sacrificio occupazionale fosse necessario o se invece l’azienda stesse esagerando la crisi per aumentare i profitti. Scene che fino ad oggi in Italia sarebbero impensabili. Se Palazzo Chigi nominasse un advisor per verificare la fondatezza di un piano industriale
del Lingotto, la Fiat griderebbe alla libertà d’impresa violata e con la Fiat buona parte del centrodestra e una quota significativa del centrosinistra. In Francia questo non è accaduto proprio perché, avendo versato generosamente denaro nelle casse delle aziende private, lo Stato può permettersi il lusso di vincolarne le scelte. Ciò che forse non è così strano quando c’è di mezzo la sopravvivenza di settori industriali strategici. Che infatti vanno dove gli Stati li tutelano e fuggono da quelli che si affidano al semplice libero mercato. Non dissimile la situazione tedesca, insieme alla Francia l’altro grande paese produttore di auto in Europa. In Germania una mano potente ai costruttori locali la danno i laender. Quello della Sassonia, ad esempio, ha speso 44 milioni di denaro pubblico per favorire l’insediamento di un impianto della Porsche che realizzerà il nuovo modello Macan. Nel luglio scorso Bruxelles ha aperto sulla vicenda «un’indagine approfondita» per verificare se l’aiutino del governo regionale potesse essere considerato una violazione delle regole della concorrenza nell’Unione europea. Regole che, come si è visto, vengono bellamente aggirate quando la necessità lo richiede. Perché i principi del libero mercato funzionano quando le cose vanno bene, ma diventano un lusso quando arriva la crisi. La situazione tedesca è caratterizzata dal grande peso che i governi regionali hanno sulle scelte strategiche delle aziende nazionali. Una situazione che farà certamente storcere il naso ai liberisti puri. Ma che ha avuto effetti concreti nel 2009 quando tutti i pretendenti all’acquisto della Opel sono stati costretti a fare il giro dei laender per convincere i governi regionali che mai e poi mai avrebbero chiuso gli stabilimenti del loro territorio. Al termine tutti i potenziali acquirenti concordarono sul fatto che lo stabilimento da chiudere era quello di Anversa che aveva il vantaggio di trovarsi in Belgio. Meno vistosi ma altrettanto decisivi nelle scelte dei costruttori sono gli aiuti ai paesi che si trovano ai confini dell’Ue. Il caso clamoroso è quello della Serbia dove la Nato aveva bombardato lo stabilimento della Zastava di Kagujevac. Finita la guerra la Banca europea degli investimenti e lo stesso governo di Belgrado hanno investito nella ricostruzione della fabbrica rendendo molto conveniente per la Fiat trasferire in Serbia la produzione della 500 L, quella che in questi giorni viene lanciata sul mercato dai concessionari e che nei piani originari avrebbe dovuto essere costruita in Italia, a Mirafiori. Di fronte a questo scenario parlare di libero mercato è abbastanza incongruo. Il rischio è anzi che un atteggiamento liberista da parte di un governo finisca per penalizzare sul mercato i costruttori nazionali che si trovano nel Paese. L’iperlibeismo di Berlusconi prima e del governo Monti poi (seguiti a decenni in cui invece le casse pubbliche avevano generosamente versato in quelle di Torino) hanno dunque favorito i costruttori francesi e tedeschi che dagli aiuti di Stato in questi anni hanno avuto una poderosa mano. E hanno concesso a Marchionne di avere le mani libere nelle scelte sugli insediamenti italiani. L’unico intervento deciso da Roma in questi anni a favore del settore auto è stato quello degli incentivi all’acquisto. Una scelta che ha favorito ancora una volta francesi e tedeschi, ormai padroni di oltre il 50 per cento del mercato italiano contro il 30 scarso della Fiat.