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 2012  settembre 21 Venerdì calendario

SOTTO IL REGIME ESPLODE IL GENIO IL FASCISMO NON SOFFOCA L’ARTE

27 gennaio 1982: nella Milano del craxiano Carlo Tognoli, si inaugura la «Mostra Anni Trenta: Arte e Cultura in Italia». L’imponente rassegna si snoda tra la Galleria e Palazzo Reale, richiamando per mesi e mesi un flusso ininterrotto di visitatori. Per i più giovani, tutto quel che vedono è davvero una scoperta. Ma come? Non ci hanno detto che l’Italia fascista era brutta, sporca, cattiva, rozza e ignorante? Ma qui tutto quello che si vede - opere d’arte, oggetti, manifesti pubblicitari, fotografie, bozzetti ecc.- ci parla non solo di una realtà culturale vivace e di un dibattito costante, irrequieto, fecondo, ma anche di un Paese laborioso e concorde. Apologia del Fascismo? Quasi, quasi...
22 settembre 2012: nella Firenze di Matteo Renzi, si inaugura la Mostra «Anni Trenta: Arti in Italia oltre il Fascismo» (a cura di Antonello Negri, con Silvia Bignami, Paolo Rusconi, Giorgio Zanchetti e Susanna Ragionieri), aperta fino al 27 gennaio 2013. La sede che la ospita è prestigiosa: Palazzo Strozzi. Sette sezioni, novantasei dipinti, diciassette sculture, venti oggetti di design, e filmati, cicli di conferenze e tante altre iniziative collaterali, per tornare felicemente su un argomento che per tanti continua ad essere scomodo: l’Italia tra le due guerre. Ed è scomodo perché non si tratta di quell’Italia vessata da una bieca tirannide, ignorante ed ignara del mondo, che gli antifascisti vogliono tramandare di generazione in generazione come un confortante santino, ma di una nazione che tumultuosamente cresce: e il dibattito tra gli artisti, i contatti tra gruppi italiani e gruppi europei, le polemiche, i viaggi, gli scambi, la comunicazione di massa, la radio, il cinema, i rotocalchi, il disegno industriale ecc. sono la testimonianza di una profonda trasformazione e di una modernizzazione che il Regime non frena. Anzi, accelera.
Apologia del Fascismo? La parola ai critici e soprattutto al pubblico che si prevede nuovamente curioso e numeroso.
Eccoci, ottanta anni fa, di fronte a un’abbondante seminagione di creatività. Una vera e propria febbre che percorre i centri intellettuali più vivi della Penisola: il gruppo di Milano, con Sironi, Martini, Carrà, e i novecentisti Wildt, Tosi, Funi; quello di Firenze, con Soffici, Rosai, Lega e Viani; quello di Roma,diviso tra realisti e classicisti (Donghi, Carena, Ceracchini); quello di Torino, con Casorati - una scoperta di Gobetti, che, in poesia, aveva battezzato gli Ossi di seppia di Montale - lanciato verso prospettive d’Oltralpe.
Si tratta di fascisti? Spesso sì, qualche volta no: in ogni caso al regime - per lo meno fino alle leggi razziali del ’38 - non dà noia questa effervescenza e anzi le intemperanze giovanili, illustrate nella sezione dedicata alle forze emergenti, trovano spesso sostegno nel Duce o in questo o quel gerarca ansioso di far bella figura come acculturato mecenate e promotore di Premi.
Dunque, libero corso - finché si può - alle irrequietezze antiaccademiche, alle cromie accese, alle simpatie primitiviste ed espressioniste, alle avanguardie futuriste e astrattiste, alle saldature da un capo all’altro dell’Italia. Per cui Roma, con Scipione, Mafai, Pirandello, Gentilizi e Cagli, guarda alla Milano di Birilli, Sassu, Fontana, Marini, Melotti, alla Sicilia di Guttuso, al Friuli dei fratelli Basaldella.
E poi si viaggia. Gli artisti italiani vanno a Parigi e a Berlino, capitali dell’arte e centri cosmopoliti (e se la Germania nel ’33 diventa nazista, il cosmopolitismo comincia a piacere un po’meno e si attacca violentemente la cosiddetta «arte degenerata » di espressionisti e surrealisti, è comunque vero che l’ex pittore e poi Führer Adolf Hitler ci tiene a circondarsi di artisti e architetti che diano una forma al Reich), mentre dalle capitali europee si rinnova l’abitudine al Grand Tour nella Penisola per ammirare i capolavori del passato e confrontarsi con le nuove tendenze.
Ed è indubbiamente una nuova tendenza quella che coniuga l’arte con la politica o, se si preferisce, che fa, con l’arte pubblica, comunicazione politico-ideologica di massa. Alla grande, però. Stiamo infatti parlando di quel Mario Sironi che, nel dopoguerra, pagò con l’emarginazione le sue scelte di fascista militante, autore di affreschi monumentali di intonazione celebrativa per stazioni, uffici postali, palazzi di giustizia. Ma come si fa a raccontare il Novecento, passando sotto silenzio l’opera straordinaria di Sironi? Recuperato negli ultimi decenni, riceve il suo tributo nella mostra fiorentina che ne presenta al pubblico bozzetti e disegni preparatori (ma ci sono anche Severini e Carrà).
C’è davvero da gustarsela quest’arte del/nel fascismo e oltre il fascismo. Più che mai se non abbiamo pregiudizi, ma ci teniamo, invece, a capire e a giudicare un fenomeno nella sua complessità, evitando di rinserrarlo in uno schema. Ad esempio, non è mirabile la fioritura del design italiano, con le invenzioni di irregolari di genio come i fratelli Thayaht e Ram, che si cimentavamo con ogni sorta di soggetto pittorico e oggetto di arredamento (ma Thayaht disegnò anche il modello della tuta operaia)?
Infine, non lasciatevi sfuggire le curiosità. Una su tutte, I quattro elementi, una sorta di polemica risposta all’arte degenerata da parte di Adolf Ziegler, pittore e consigliere artistico di Hitler. L’opera, per la prima volta presente in una mostra, con i suoi quattro nudi femminili, colpì molto la fantasia, tanto da essere riprodotta perfino sulle scatole dei fiammiferi.
Dimenticavamo: il Fuhrer la teneva appesa sul suo caminetto nella residenza ufficiale di Monaco.