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 2012  settembre 23 Domenica calendario

LA PAZZIA DI ISABELLA ANDREINI IL PRIMO STRIP-TEASE A TEATRO

Era una bellissima donna Isabella Andreini. Dotata di sex appeal, osò l’inosabile, e cioè il primo strip-tease nella storia del teatro. Quando? Nel 1589 con la commedia La pazzia di Isabella . Ma le faremmo un gravissimo torto se la ricordassimo soltanto per l’abbagliante femminilità che la rese celebre e richiestissima da tutte le corti d’Europa. E di sicuro non si è soffermato sugli aspetti più «glamour» della sua persona il convegno con cui nei giorni scorsi Padova ha ricordato i 450 anni dalla nascita della sua grande attrice. Ha ideato l’omaggio Carlo Manfio, infaticabile studioso di teatro veneto, e vi hanno partecipano i cattedratici delle principali università italiane. Sono stati passati al vaglio tutti i volti della Andreini: l’attrice, ovvio, che già i contemporanei chiamarono «diva», ma anche la commediografa (la prima nella storia), l’amica dei letterati e dei regnanti, la poetessa petrarchesca lodata da Torquato Tasso, Gabriello Chiabrera, Giovan Battista Marino.

È nel teatro però che la Andreini (Cornaro alla nascita) fece la sua rivoluzione e lasciò il suo segno. Vi entrò giovanissima, pare a tredici anni, e militò sempre nella stessa compagnia: l’Accademia dei Gelosi diretta da Flaminio Scala, nella quale recitava il pistoiese Francesco Andreini che Isabella sposerà e dal quale avrà sette figli. Non si sa quasi nulla della sua infanzia e dell’adolescenza. Si cominciano ad avere sue notizie quando è già ben inserita fra i Gelosi, che all’epoca costituivano un vertice dell’attività teatrale e possono essere ragionevolmente indicati fra i fondatori del teatro moderno.

Quelli della Andreini erano tempi odorosi di stoffa, legno, mastice, olio da lumi, cera di candela che sgocciolava sullo scartafaccio del suggeritore. La Commedia dell’Arte creava figure illusorie, antichi prototipi della sentimentalità e della buffoneria umane, alcuni dei quali celavano a metà o per intero il volto dietro una maschera. Erano gli anni dei canovacci scritti sul vivo con ampi vuoti da colmare «a soggetto», rischiando alti tassi di scurrilità e licenziosità (il trash non è nato oggi). Per arginare le cadute di un mestiere, che cercando il successo facile scivolava fatalmente verso il rango dei ciarlatani, sorsero le Accademie: i Gelosi, gli Accesi, i Fedeli, i Confidenti ecc. Con una novità: per reagire alle diffidenze e alle ostilità dei colti e della Chiesa, per sfuggire ai fulmini delle scomuniche morali, questi «dramaturg» consegnavano ai comici copioni quanto più completi, lasciavano sempre meno spazio all’imp r o v v i s a z i o n e , producevano scenari che, muovendo un enorme materiale fantastico, erano destinati ad anticipare secoli di teatro.

Nel nuovo contesto di invenzione e professionismo Isabella non ebbe rivali. Ai lazzi preferì sempre i concetti, recitare Tasso era per lei un motivo d’orgoglio, ma non voleva passare per un’algida intellettuale. Come farà Sarah Bernhardt tre secoli dopo di lei, diventerà la «promoter» di se stessa, curerà la propria immagine pubblica in modo da far vibrare d’attesa per ogni suo debutto e trasformerà in «evento» ogni sua recita. Si capisce allora perché le Corti di Francia, Spagna, Germania se la contendessero e perché i più rinomati poeti delirassero per lei.

Isabella metteva nella recitazione lampi d’avventura e di eros, agiva all’interno di una cornice meravigliosa che era già la macchineria barocca, con finte lune che sorgevano e declinavano, «una bellissima nave», «un terramoto», «una cappa marina che nasca». Dopo avere portato al successo Le burle di Isabella , La fortunata Isabella , La gelosa Isabella , Isabella astrologa , raggiunse l’apice della popolarità con La pazzia d’Isabella , che non era soltanto uno degli scenari più noti di Flaminio Scala, ma anche una irresistibile esplosione di fiabesco, a cui non erano estranei lampi di nonsense . È la commedia nella quale Isabella, colta da follia per la morte di Orazio, reclama la vita dell’uccisore, la pretende fino al delirio, finendo per stracciarsi «tutte le vestimenta d’attorno» nello stupefatto brusio degli spettatori.

Nel 1604 la Andreini si trovava a Parigi. Era incinta per l’ottava volta e desideravarientrare in Italia. A Lione si sentì male, ebbe un aborto e morì. La sua scomparsa lasciò un senso di attonita incredulità e indusse molti poeti - gli amici poeti - a lasciarle un segno d’affetto e di ammirazione. Come il Marino, che scrisse un sonetto i cui primi versi dicono: «Piangete, orbi Teatri: invan s’attende / più la vostra tra voi bella Sirena...». Aveva 42 anni la diva, e si trasformava in leggenda.