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 2012  settembre 23 Domenica calendario

CSI: CRIME SCENE INVESTIGATION POLIZIA 2.0, ADDIO DELITTO PERFDETTO

Il futuro per lei sarà noioso, caro Sherlock Holmes. Quell’artededuttivadiinterpretareleorme di cui tanto è fornito sarà sempre meno arte e sempre più scienza esatta, alla portata di tutti gli Watson del mondo. Tra qualche anno, prima di quanto si immagini, le impronte digitali rinvenute sugli oggetti saranno databili, le telecamere di sorveglianza vedranno quello che non vedono, il dna parlerà ai detective. Dalla più minuscola traccia biologica sapremo se l’assassino ha il naso lungo o piccolo, gli occhi chiari o i capelli scuri. Nella cassetta degli attrezzi del poliziotto spunteranno misteriosi algoritmi per simulare la mente criminale. E il delitto perfetto diventerà una specie a rischio estinzione.
L’investigatore di domani sarà così: logico, digitale, un po’ scienziato e molto hacker, in grado di trovare il bandolo della smisurata matassa di informazioni che si troverà a gestire. La prima
rivoluzione è già in corso e ruota attorno all’impronta genetica, il dna.
Spesso risolutivo, a volte ingannevole.
Oggi si estrae anche da microscopiche molecole
rinvenute a distanza di anni. Ma è inutile se non lo si riesce a confrontare con il dna di un altro individuo. Un team di ricercatori olandesi però ha messo a punto Irisplex, un kit che permette di determinare dal campione biologico il colore degli occhi o dei capelli della persona, con una accuratezza del 94 per cento. Non ancora sufficiente per diventare prova davanti a una corte d’Assise italiana ma utilissimo come spunto per le indagini. L’Fbi lo sta già usando, nelle forme sperimentate con la Georgetown University. Arriverà anche in Italia. «Sapere che l’assassino ha gli occhi azzurri — ragiona il colonnello Luigi Ripani, comandante del Ris dei Carabinieri di Roma — quando la maggior parte degli italiani li ha marrone è un bell’aiuto. Col tempo avremo altri dettagli sulla morfologia facciale, la
forma del naso, della bocca e delle orecchie. Ma guai a lasciare da parte l’intuito».
Un altro bel vantaggio per i detective sarà l’istituzione, nel 2013, della prima banca nazionale del dna presso il Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria del ministero della Giustizia. La prevede il Trattato di Prun, firmato nel 2005 con Germania, Spagna, Francia, Paesi Bassi e Austria. Saranno raccolti con tamponi buccali i profili genetici di tutta la popolazione carceraria (più di 60 mila individui), dei soggetti arrestati in flagranza o fermati, di chi è stato condannato in via definitiva e anche degli indagati sottoposti a custodia cautelare nelle indagini per omicidio, terrorismo, mafia. Un archivio enorme che diventerà patrimonio comune dei paesi aderenti al Trattato. Anche un’arma a doppio taglio, a ben vedere, da maneggiare con cura. Può sì aiutare a individuare un assassino in poche ore attraverso il confronto dei campioni, ma deve essere gestito con le più solide garanzie
a salvaguardia della privacy perché si tratta di dati sensibili, utilizzabili esclusivamente a fini identificativi. «La vera sfida per noi sarà proprio questa — spiega Rosanna Colonna, direttore della Prima Divisione del Servizio di Polizia Scientifica — coniugare le tecniche classiche d’indagine con quelle scientifiche di ultima generazione, il pedinamento e l’interrogatorio vecchio stile con l’uso delle banche dati mondiali. Del resto tutto quello che vedevamo nei film di James Bond vent’anni fa si è avverato. La sfida per le istituzioni sarà ampliare i database rispettando la privacy dei cittadini».
La tentazione di riempire gli archivi digitali con quante più informazioni si riesce a reperire sulla popolazione è sempre stata forte per i cacciatori di ombre, per chi cioè è chiamato a trovare assassini senza nome e senza volto. E non solo per loro. Al dottor José Lorente, genetista forense, è venuto in mente nel 2004 di creare a Granada la Dna-Prokids, una fondazione che raccoglie
il dna dei genitori di bambini scomparsi. Ha convinto 16 paesi a partecipare, tra cui India, Perù e Brasile. Con la Dna-Prokids è riuscito a restituire 550 ragazzi alle famiglie e a bloccare 200 adozioni illegali. Ma il futuro più suggestivo si incontra ancora una volta là, nell’universo parallelo delle realtà digitali. Esperti di mezzo mondo sono chini sulle tastiere per tradurre in formula matematica l’istinto criminale, così da prevederne le mosse. Il
è una lama che si affila giorno dopo giorno. Si basa sull’algoritmo Rossmo, dal nome del suo inventore, il criminologo canadese Kim Rossmo. Inserendo centinaia di dati sulle caratteristiche di un luogo e sulle zone dove ha colpito il violentatore o l’omicida seriale, il computer indica con una grado di precisione arrivato oggi al 30-40 per cento dove risiede, quale vie di fuga utilizza, dove potrebbe agire ancora. In Italia è servito per catturare lo stupratore di Genova, nel 2006.
I software dunque rappresentano una frontiera.
La Polizia di Stato usa il Sesc, programma che trova le analogie nelle scene di delitti. Il nucleo investigativo dei Carabinieri utilizza il Laser scanner per ricostruirle in 3D. E tutti sperano che si sviluppi (ma qualcosa è già in fase di sperimentazione) un’applicazione per creare pixel dove non ci sono. Si potrebbe così aumentare la definizione dei filmati girati da milioni di telecamere sparse nelle strade e addirittura completare i volti che non si vedono. Potenza occulta degli algoritmi. «Internet sarà sempre di più il terreno dove si rincorreranno guardie e ladri — profetizza Gerardo Costabile, presidente dell’Iisfa, prima associazione in Italia sulla informatica forense — le intercettazioni telematiche bucheranno le residue aree anonime della rete, come ad esempio Tor. E con il web 3.0 ogni oggetto avrà un ip in rete, seguendo quello sarà facilmente rintracciabile dovunque esso sia. E così il suo proprietario». Elementare, Holmes.