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 2012  settembre 21 Venerdì calendario

Se vuoi capire le crisi, studia l’atlante - «Se volete conoscere le prossime mosse di Russia, Cina o Iran non leggete i giornali, consultate piuttosto una mappa»,scrive Robert D

Se vuoi capire le crisi, studia l’atlante - «Se volete conoscere le prossime mosse di Russia, Cina o Iran non leggete i giornali, consultate piuttosto una mappa»,scrive Robert D.Kaplan in The Revenge of Geography: What the Map Tells Us About Coming Conflicts and the Battle Against Fa­te (Random House). Bene ha fatto il Foglio a pubblicarne stralci, ripre­si dal Wall Street Journal . Anche perché questo analista di fama ha dato una buona chiave interpretati­va sull’agguato omicida compiuto da al Qaida contro Chris Stevens: «L’errore di Washington è stato pensare che Tripoli potesse con­trollare Bengasi. Invece, la capitale della Cirenaica è storicamente lega­ta all’Egitto e neanche un dittatore comeGheddafiriuscivaadominar­la sino in fondo». Insomma studiate la geografia! Spiega Revenge : «Se il cyberspazio e i mercati finanziari non conosco­no confini, i Carpazi continuano a separare l’Europa centrale dai Bal­cani, creando così due modelli di sviluppo assai diversi,e l’Himalaya si trova ancora tra India e Cina, tor­reggiante memento di due civiltà incredibilmente diverse». E così l’orografia foggia le nazioni:la Rus­sia tende a essere imperialista per­ché non ha barriere naturali a pro­teggerla. Il nord montagnoso e i grandi fiumi hanno sempre favori­to regimi dittatoriali nella regione oggi irakena. I Balcani sono fonte di guai, non perché etnicamente catti­vi ma perché disegnati così: pieni di montagne. «La geografia è buon senso, ma non è fato - precisa poi- . La scelta individuale opera nell’am­bito di un dato contesto geografico e storico, che ha un impatto sulle decisioni, ma lascia aperte molte possibilità». Nell’ottobre 2010,Kaplan ha illu­strato concretamente questa tesi con Monsoon: the Indian Ocean and the future of American power (Random House). Descrivendo un suo viaggio, illustrava anche la poli­ticaattuale- inparticolarel’egemo­nismo cinese - leggendo luoghi ed edifici disseminati lungo l’Oceano Indiano: dal Madagascar al sulta­nato di Oman, da Karachi a Mum­bai, da Calcutta a Chittagong al Dec­can, fino allo stretto di Malacca. E al centro di tutto c’era questo vento caldo, il monsone, che va dalla co­sta orientale africana all’Indone­sia. È la costanza del vento che sof­fia sei mesi in un senso e sei mesi nell’altro che ha determinato un’autostrada naturale di collega­mento, divenuta anche la base do­po il ’ 500 per l’espansione colonia­le portoghese, poi olandese e infi­ne inglese. Certo, questa impostazione non è originale: da Erodoto a Strabone, da Plinio a Montaigne, fino alla sto­ria «materiale»degli Annales ,il nes­so tra condizioni climatico- geologi­che e sviluppo delle civiltà è descrit­to in lungo e in largo. L’interesse per The Revenge of Geography na­sce anche da quel che un analista ascoltato sulla politica estera ame­ricana ci rivela sui temi all’attenzio­ne di Washington. Se si dà un’oc­chiata a libri storico- geografici con impostazione per certi versi analo­ga a quella di Kaplan ci si imbatte spessoinsaggisullaRomaimperia­le. Tra gli ultimi usciti The rise of Ro­me: the making of the world’s big­gest empire del britannico Anthony Everitt (Random House) che parte dai romani agricoltori-piccoli pro­prietari- soldati come fondamenta dell’impero.Quello del piccolo pro­prietario perno della forza propulsi­va americana è mito fondativo de­gli Usa: pensate ai western. Altri sag­gi approfondiscono il tema: da The legions of Rome di Stephen Dando­ Collins (Thomas Dunne Books) fi­no a all’esigenza di abbattere il ne­mico Chartage must be destroyed di Richard Miles (Viking Adult, 2011). La storia di Roma diventa metafora per la riflessione d’Oltreoceano. Altro tema di moda è l’Asia cen­tral­e con l’Afghanistan già protago­nista del grande gioco tra russi e bri­tannici che Rudyard Kipling rac­conta in Kim (1901). E appunto Gre­at games, local rules, the new power context in Central Asia ( Oxford Uni­versity Press) si intitola il saggio di Alexander Cooley, studioso di rela­zioni internazionali. Per capire co­me in Afghanistan oggi il «gioco»ri­guardi non più russi e inglesi ma ci­nesi e americani, si legga The chine­se question in Central Asia: dome­stic order, social change and the chi­nese factor di Marine Laruelle (Hurst&Co, 2011) per non parlare del connesso tema della Via della Seta trattato da Valerie Hansen in The Silk road. A new history (Oxford University Press). Da se­gnalare pure From the ruins of the empire: the intellectuals who rema­de Asia (Farrar, Straus and Giroux) di Pankaj Mishra, che offre un origi­nale punto di vista «indiano» sulla storia dell’Asia centrale. È assai utile che Kaplan e altri spieghino la geografia (e la storia) per leggere l’attualità, però in que­sta impostazione non manca un’ispirazione politica.Certe sotto­lineature del fattore «geografia» ri­flettono posizioni sulle scelte inter­nazionali attente ora a spinte isola­zioniste­protezioniste, ora a ten­denze multipolariste, ora a quelle «realiste» alla Henry Kissinger. Po­sizioni che tendendo a distanziarsi sia dall’idealismo internazionali­sta di certi democratici sia dal neo­conservatorismo repubblicano, cioè da tutti quelli che chiedono agli Stati Uniti leadership più salda e orientata dall’obiettivo di far cre­scere la libertà su scala globale. Non a caso il saggio recente di un neocon come Robert Kagan si inti­tola The world that America made (Knopf): quasi una ribellione con­tro una «geografia» troppo statica.