Christian Rocca, IL 20/9/2012, 20 settembre 2012
IL PARTITO CHE NON C’È
Da dieci anni l’Atlantic Monthly, ineguagliabile magazine americano di idee, dedica un numero speciale allo Stato dell’Unione, un’analisi nitida delle condizioni di salute dell’America capace di individuare i paralleli storici con il passato e di indicare gli strumenti adeguati per affrontare le sfide del futuro. Quest’anno, se è lecito paragonare le cose piccole alle grandi (Virgilio, Le Georgiche), ci abbiamo provato anche noi, coinvolgendo i migliori centri studi, scrittori brillanti e perfino il grande Jovanotti che ci ha regalato un fantastico “Sonetto rap per la crescita”. Nelle pagine seguenti troverete di che leggere e di che discutere sullo Stato dell’Italia, ma ancora prima di macinare i numeri, di digerire le tabelle e di valutare le ragioni del nostro rating così basso nelle classifiche internazionali, c’è da segnalare una cosa che ci caratterizza negativamente: alle elezioni le democrazie avanzate scelgono tra una proposta politica liberale e una socialdemocratica (in Europa) oppure tra un’offerta liberal conservatrice e una liberal progressista (in un contesto radicalmente liberale come gli Stati Uniti). A noi tutto questo non è consentito. Crollata per manifesta incapacità la seconda Repubblica, la tendenza è tornare indietro, invece che andare avanti. Le forze politiche, peraltro animate dagli stessi protagonisti delle due fasi precedenti, si stanno organizzando secondo i modelli ideologici di 20 anni fa: un variegato agglomerato di lotta e di Governo a sinistra, un grande centro neodemocristiano e un imbarazzante vuoto di idee a destra temporaneamente occupato da un populismo giustizialista e becero che attraversa tutto l’arco costituzionale (e lo supera). Poi uno si chiede perché lo spread non scende.
L’offerta politica è soltanto per i neo, ex, post comunisti, per i neo, ex, post fascisti e per i neo, ex post democristiani. Gli altri non esistono, non hanno rappresentanza. Poco male, se fossero minoranza. Ma non è più così. Una volta si diceva che il liberalismo italiano fosse un affare privato della famiglia Croce-Carandini e che i liberali si potessero riunire comodamente in una cabina del telefono. Ma oggi le cabine del telefono non esistono più, il mondo è cambiato, sono trascorsi 23 anni dalla fine della tragica illusione comunista, 20 anni dal ripudio di ogni paccottiglia ideologica fascista, 18 anni dallo scioglimento del Partito-Stato Democrazia Cristiana. Da allora sono nati, e già votano, generazioni di italiani che per Berlinguer, Almirante e Andreotti provano lo stesso distacco politico, sentimentale e temporale che avvertono nei confronti di D’Azeglio, Badoglio o De Gasperi.
C’è stata, inoltre, la grande illusione berlusconiana di una rivoluzione liberale ed è addirittura nato un partito, il Pd, sulla scia delle esperienze liberal di Clinton e di Blair, con l’obiettivo di interpretare l’anima di sinistra del liberalismo moderno. Il berlusconismo è crollato sotto il peso delle sue stesse contraddizioni e velleità e il Pd sta prendendo una legittima ma inesorabile piega socialdemocratica, a meno che alle primarie non prevalga la piattaforma del sindaco Matteo Renzi.
Il risultato è che per i leader europei, per le istituzioni sovranazionali e per i mercati gli unici interlocutori italiani credibili sono i tecnici scelti da Mario Monti e da Giorgio Napolitano, cui già le nuove coalizioni pensano di rivolgersi ancora una volta dopo il prevedibile impasse delle elezioni. Ma c’è chi non si accontenta. C’è chi crede che sia necessario liberarsi delle categorie del passato, rimboccarsi le maniche e lavorare senza schematismi al futuro del Paese. Destra, sinistra, centro. Non importa. Il punto non è la formula, non è il contenitore, non può essere il passato. Le cose da fare sono davanti agli occhi di tutti e con le infografiche di questo numero proviamo a darvi una visualizzazione ancora più evidente. Ci sono i liberali del Pd e quelli del centrodestra, c’è la credibilità dell’esperienza Monti, ci sono le proposte di Fermare il declino e di Italia Futura, ci sono i paper dei centri studi, c’è la sfida politica di Renzi. Se ci pensate, il famoso «partito che non c’è» in realtà c’è da 20 anni ed e stato fondato dagli italiani, da persone normali, che da allora hanno favorito ogni possibile approccio o tentativo liberale, anche il più scalcagnato e il meno credibile, salvo poi assistere inesorabilmente all’inadeguatezza di chi l’aveva maldestramente guidato. Gli italiani sono già liberali. Detta in un altro modo: gli italiani sono già persone normali, senza alcuna voglia di combattere battaglie ideologiche di retroguardia. Lo stato dell’Italia è buono: fatti i liberali, ora bisogna fare un Paese normale.