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 2012  settembre 20 Giovedì calendario

COM’È DIFFICILE LIBERARSI DA PASOLINI


Dal 1952, ogni dieci anni la rivista inglese Sight &Sound, emanazione del British Film Institute, chiede a una banda internazionale di cinefili di votare i loro film preteriti. Ogni volta arriva primo Quarto Potere. Quest’estate c’è stato un sorpasso: La donna che visse due volte di Hitchcock è arrivato primo, Welles secondo. Al terzo posto c’è Viaggio a Tokyo di Ozu. 846 tra operatori del settore, critici, accademici hanno inviato la propria top-ten, citando in totale 2.045 film. La classifica è stata resa nota fino al 250esimo posto. Gli italiani: Fellini arriva decimo (Otto e mezzo), 39esimo (La dolce vita), 117esimo (Amarcord). C’è Antonioni al 21esimo (L’avventura), 73esimo (L’eclisse), 110imo (Professione: reporter), 144esimo (Blow Up), 202esimo (Deserto rosso). Molto amato anche Rossellini, di cui compare Viaggio in Italia al 41, Roma città aperta al 183, Germania anno zero al 202. C’è La battaglia di Algeri di Pontecorvo al 48, Il gattopardo di Visconti al 57, Il conformista di Bertolucci al 102.
Trascrivo questo lungo elenco solo per dire che arriva tardissimo, e con un solo film, Pier Paolo Pasolini: a pari merito con altri 32 film prende otto voti per Salò, al 202esimo posto.
La scoperta che un campione di ottocento critici non ha nella propria memoria i film di Pasolini ha messo in crisi una convinzione che ho sempre avuto: che fosse un regista significativo. Questa lista è molto varia, non ha l’aria tendenziosa: ci sono film impossibili e film amati, cose sperimentali come L’uomo con la macchina da presa di Vertov (perfino ottavo) e cose popolari come Il padrino (21esimo). Perché accademici e critici non hanno la passione per Pasolini?
È proprio la domanda di un italiano: come giovane italiano di sinistra io tutti i padri potevo rifiutare tranne PPP. Crescere nel Paese di Pasolini è una sfida difficile, la si porta avanti tutta la vita, come un complesso, una fonte costante di insicurezza: PPP è il sommo bene e il sommo male, non puoi essere più buono di lui (difendere i poliziotti e criticare gli hipster), non puoi essere più cattivo (a partire da Petrolio e da Salò, tutto l’aspetto di ricerca dell’estremo di cui tratta Emanuele Trevi in Qualcosa di scritto). È bastata una sua recensione violenta a impedirmi per sempre di stimare la scrittura a suo dire sciatta di Fenoglio. Ma i Racconti di Canterbury e il Decameron sono stati il primo esempio di cinema della felicità e dell’allegria a cui sono riuscito a credere.
Tra il liceo e l’inizio dell’università, il vero film che stabiliva se eri un borghese irrimediabilmente perso o meno era Teorema: la storia del giovane bello sensuale e messianico che sconvolge una casa altoborghese col sorriso richiedeva, ricordo, che si approvasse il teorema del film - noi borghesi non sappiamo vivere né amare - senza battere ciglio; ricordo anche che il cinema di poesia era impossibile da criticare, perché non offriva appigli. Ma io pensavo che andasse forte, che fosse dato per scontato nell’intero Occidente che Teorema fosse il tazebao definitivo antiborghese.
Passo un viaggio in treno a rivedere Teorema per cercare di ricordare cosa ne pensai quando lo vidi a vent’anni. Rivedo la grande apertura, con i capannoni della fabbrica che è stata donata agli operai e il giornalista con la voce puntuta: «Il vostro padrone vi ha donato una fabbrica, lei cosa ne pensa di questo gesto? Il vero protagonista di questa storia resta il vostro padrone... E non vi toglie in questo modo la possibilità di una rivoluzione?».
Ma le scenate dei quattro membri della famiglia borghese, che vogliono e non vogliono rompere l’ordine borghese che li soffoca danno "vita" a scene compiaciute che ora trovo soltanto ingenue. Il figlio bamboccio che si scopre gay e poi cattivo artista, dice a Terence Stamp: «Io non riesco più a riconoscere me stesso. Perché quello che mi faceva uguale agli altri è distrutto. Ero come tutti gli altri... con molti difetti, forse, miei, del mio mondo, tu mi hai reso diverso, togliendomi al naturale ordine delle cose...». Terence che guarda comprensivo è irritantissimo, questo messia amico e ragazzetto, che tutto comprende, pronto ad accontentare, pronto a sconvolgere.
La borghesia di Teorema, tutta precisa, priva delle molto note paraculaggini della borghesia italiana che hanno fatto la storia della letteratura (Svevo, Gadda, Arbasino) e della commedia in generale: la rivedo a 35 anni e non ci trovo niente di familiare (di vero). Eppure, perché PPP è un padre molto più di qualunque altro artista o intellettuale italiano, mi vergogno ancora a dire che Teorema mi sembra un raggiro inflitto alla persona che fui durante la mia formazione, quando cercavo qualcuno che fustigasse la mia appartenenza borghese e mi dissero che quella era la maniera più stilisticamente e moralmente impeccabile per farlo.