Alberto Statera, il Venerdì 21/9/2012, 21 settembre 2012
LA TERZA REPUBBLICA? IL RANCORE, I ROTTAMATORI E LA CASTA IMMORTALE_
«Ci fu una grande battaglia di idee e alla fine non ci furono né vincitori, né vinti, né idee». Dopo il grande inganno sotto il cielo celeste del berlusconismo, durato diciassette anni, e gli ultimi dieci mesi di sobriamente aspro rigore del governo dei tecnici montiani, l’aforisma di Stefano Benni può ben descrivere le fallimentari prove tecniche di Terza Repubblica, nel Big Bang dei partiti e nel deserto dei leader, come lo ha definito Giuseppe De Rita. O senza scomodare modelli cosmologici, nella maledizione di un cantiere caotico e senza fine come quello dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria.
Cattolici puri, cattolici spuri, liberalcattolici, cattosindacalisti, cattocapitalisti, cattolici di base, pezzi di gerarchie della Chiesa, e qualche massone che non guasta mai, tentano un allungo della mitica Cosa Bianca quasi un ventennio dopo la disgregazione della Diccì nel girone di Tangentopoli. «Servi in livrea», si sono definiti alcuni di loro, presenti ovunque, ma inefficaci dappertutto.
Ex comunisti, postdemocristiani, ex ulivisti, liberal, rottamatori, ex azionisti e anche qui, qualche massone in cerca di un’anima da dare al Piddì, che Edmondo Berselli chiamò un partito ipotetico. Promessi sposi ipotetici, Pier Ferdinando e Pier Luigi, che prima dell’ipotetico «sì» già si scannano sul colore della cucina. Poi le macerie dell’Italia liftata, puttaniera e tangentara, che ha portato alla decadenza del Paese, con il berlusconismo en attendant dell’ormai letargico, grasso e indeciso a tutto ex uomo della provvidenza e del suo popolo in fuga sotto lo sguardo del berlusco-trotzkista-piduista Cicchitto e del segretarino Angelino, perdente e impotente per gli stessi residui pidiellini. E la ex Lega, dispersa tra i ladroni, che in un solo colpo con Bossi ha dismesso la sacra ampolla alle sorgenti del Po, gli elmi con le corna e i baffoni verdi, in cammino verso la prospettiva borghese di Maroni, come la immagina e racconta Giovanni Cerruti.
Infine, la vera novità: l’Italia del rancore montante e talvolta della ferocia, quella che non sopporta più i classici veicoli di rappresentanza politica, leader, partiti, sindacati, banche, Confindustria, giornali, televisioni, euro ed eurocrati; che non perdona più nulla ai castigiani e lancia una domanda rumorosa di radicalità. «La sensazione» reputa il presidente di Swg Trieste, il sondaggista Roberto Weber, che lavora per il Piddì, ma conserva libertà di giudizio, «è che la domanda di radicalità sconvolga a destra come a sinistra i classici paradigmi e il lessico che li ha accompagnati. Cosicché i termini come moderato o riformista perdono gran parte del loro senso».
Questa è l’acqua di coltura di Beppe Grillo e del suo partito-non-parttto, nato sull’invettiva becera e sulle ricette economiche da bar sport, che ormai sembrano catturare persino un popolo acculturato e avvelenato. Non più moderati, ma incazzati.
COSA O NON COSA.
Casini il federalore ce la mette tutta, non si può negare, ma proprio perché i moderati sembrano un genere in via di estinzione, il suo progetto può apparire velleitario, una missione impossibile nell’arcipelago cattolico, che non gode più del cemento unificante dell’anticomunismo, che consentì per mezzo secolo l’unita politica della Diccì, pur percorsa da mille-correnti. Lo scontro emerso nelle sacre stanze papali con gli scandali spionistici e finanziari rende l’impresa ancora più ardua. Bella kermesse, comunque, a Chianciano ai primi di settembre: Passera, Riccardi, Ornaghi, Clini, Patroni Griffi, Catania. Ma questi non sono i ministri che anima e corpo dovrebbero stare incollati alle sedie per pochi mesi per salvare il Paese dal default, insensibili alle sirene della politica? Eccoli invece qui, tutti gioiosi a schermirsi sul loro futuro e a omaggiare Pier, presunto futuro ago della bilancia delle possibili alleanze, una specie di Ghino di Tacco alla Craxi, risorto vent’anni dopo. Del resto, tra i volti che sorridono a Pier s’intravede persino Stefania Craxi, per la serie: La Cosa federa tutti. Francesco Gaetano Caltagirone, neocattocapitalista, ex uomo più liquido d’Italia e suocero del leader federatore maturato alla scuola democristiana di Arnaldo Forlani, pare che per delicatezza sia un po’ più nascosto tra la folla. Ma la star, incredibile dictu, è Emma Marcegaglia, che Rocco Buttiglione, forse dopo abbondanti free drinks, definisce «il nostro Monti donna». E Montezemolo? Lui, che per anni ha litigato con la Marcegaglia, che prese il suo posto alla presidenza della Confindustria, lo vedete col loro «Monti donna»? Luca Cordero è un caso a sé, ormai quasi da psicanalisi. Sono anni che lancia i suoi penultimatum: «Scendo in politica, forse, ma...». Risultato: cominciarono a testarlo, come si dice, tre anni fa. Era molto gradito, faceva l’8-12 per cento di voti moderati, quando c’erano ancora. Poi cominciò addirittura un test montezemoliano bimestrale. Arrivato Monti, Luca non c’è più, non rileva. C’è Gianfranco Fini come ruotino piccolo piccolo, quasi di scorta, e una pattuglia di banchieri e capitalisti, come Capaldo e l’aretino Beppe Fornasari, Abete e Della Valle, che Pier vende come quasi sul suo uscio. Quasi. Rutelli scomparso, Tabacci alle primarie del Pd. La nuova balenottera bianca vale oggi, a essere ottimisti per loro, meno del 10 per cento. Garantisce Weber, ma gli altri sondaggisti non sono più larghi di manica. Mentre Montezemolo, per ora, attacca Casini e Passera: «Ci sono solo idee confuse nell’Udc».
PARTITO IPOTETICO.
«Ragassi, non siamo qui mica a pettinare le bambole». Eppure, se i riformisti non esistono più come i moderati, a favore dell’Italia del rancore di Beppe Grillo, Pier Luigi Bersani a quella bisogna può persino essere destinato, mentre rivendica il diritto di governare, se vincerà. Il contrario di quel che dice (per ora) il suo presunto socio Casini, che proclama Monti forever. Ma fatica come Sisifo, il segretario del Piddì, senza più un elettorato coeso che risponde a solide strutture di partito come una volta, con il prezzo non indifferente da pagare alla crisi epocale e al rigore del governo Monti. Fa fatica Bersani a mettere insieme le anime di un partito che Marco Damilano definì in un suo libro di qualche anno fa - ma il giudizio è ancora valido - all inclusive e perciò incapace di prendere una posizione netta su qualsiasi argomento: la politica estera, la politica economica, le questioni etiche, su cui, stretto tra cattolici democratici, clerico-moderati, agnostici, laici e laicisti, sbanda continuamente, inventando ogni volta la posizione prevalente. Ora sta per includere Nichi Vendola. Sono le culture stesse del centro-sinistra a reggere con fatica alla sfida grillina, che pure risponde con maggiore vigore della destra a quegli elettori presunti moderati che scelgono ormai la radicalità, rifiutando l’offerta politica più o meno tradizionale. Altro che new coalition dei moderati. Bersaniani, Montiani, Giovani Turchi, Cattolici, un altro arcipelago non meno affollato di quello casiniano. E se poi i rottamatori del giovanotto-sindaco Matteo Renzi vincessero le primarie, come lui le vinse a Firenze (si disse, malignamente, con l’appoggio delle truppe cammellate di Denis Verdini)? Improbabile per i massimi sondaggisti, categoria nella quale purtroppo prosperano tuttavia superbi ciarlatani.
IL COMICO E RASPUTIN.
Un comico tira l’altro. Dopo il puttaniere sognatore a spese del Paese e a suo vantaggio, il moralista da Bar Sport. Possibile davvero che nel Paese del nuovo rancore, delle piazze vuote, dei salotti televisivi pieni e del web mito a Cinque stelle, Beppe Grillo, in uggia ai soliti noti nomenclati, che con la sua ferocia annulla quasi Tonino Di Pietro, possa prendere tutti i voti che dicono gli ultimi sondaggi? Allora il rancore sarebbe proprio alle stelle. Tanto più che il Rasputin che lo ispirerebbe, l’uomo d’affari Gianroberto Casaleggio, ha quell’allure di potere forte versato al business (i poteri forti veri si sono dissolti con Mediobanca), che il popolo del web odia sopra ogni cosa. Dice 18,5 per cento l’ultima rilevazione in nostro possesso. Se il fuoco di paglia non brucia di qui ad aprile, come pure è possibile, ne vedremo di brutte.
MODERATI IMMAGINARI.
Paradossalmente, il padrone d’Italia per quattro lustri non rileva più molto nei futuri assetti, nonostante sia accreditato ancora di un buon 20 per cento, pur in disfacimento, perché i presunti moderati che credettero alle sue sirene sono pochi e gli incazzati molti. Salvo che Berlusconi, con il solito colpo di genio comunicativo - l’unico di cui è capace - non sia in grado e non voglia rivoltare il tavolo del montismo responsabile, con un nuovo, improbabile sogno. Ma ormai sembra vivere il suo declino tra i cani sciolti. Difficile da credere, ma non solo Giulio Tremonti, persino Emilio Fede annuncia un suo movimento e una sua lista elettorale. Si chiamerà «Vogliamo vivere», supponiamo nel senso che all’invocazione diede Totò: «A proposito di politica, ci sarebbe qualche cosarellina da mangiare?...».
Alberto Statera