Giovanni Caprara, Sette 21/9/2012, 21 settembre 2012
LO SCIENZIATO CHE VIVE SU MARTE
«Quando ho davanti una strada, sento un’irresistibile attrazione. Subito si accende in me la voglia di andare, di esplorare. Non posso proprio farne a meno». Per Paolo Bellutta il desiderio di viaggiare è stato così forte da portarlo su Marte. Siamo seduti tra gli alberi del Jet Propulsion Laboratory (JPL) della Nasa, a Pasadena, tempio dell’esplorazione interplanetaria. L’atmosfera è quella di un campus universitario. La vegetazione è rigogliosa e piena di colori sotto il sole della California. Ai tavolini, nell’ombra, c’è chi legge, chi scrive, chi lavora col portatile: il wi-fi è dovunque. Sullo sfondo le San Gabriel Mountains aride e grigie. «Qui siamo tutti un po’ extraterrestri», dice e, sorridendo, indica dei colleghi che transitano nei vialetti: «Lui si occupa di Saturno, quello segue gli asteroidi, quell’altro il Sole. Io, praticamente, vivo su Marte. Tutti con il cervello altrove, su un altro corpo celeste».
Poco distante dalle chiome degli alberi, spunta un palazzo quasi senza finestre. «Lì ci troviamo e, senza smettere un secondo, seguiamo quello che sta facendo Curiosity sul Pianeta Rosso, distante 250 milioni di chilometri».
Un laboratorio su due ruote. Paolo Bellutta è uno dei “magnifici sette” che pilotano il grande rover, della taglia di un Suv, sbarcato nel cratere Gale, nell’equatore marziano, il 5 agosto scorso (data americana). Qui gli scienziati preferiscono chiamarlo con il nome che gli fu dato alla nascita del programma, Mars Science Laboratory, sbrigativamente “Emesel” dalle iniziali, per far capire che non si tratta del solito rover spedito lassù, ma è qualcosa di diverso e “straordinario”, un vero laboratorio su ruote. Il suo sbarco è stato da fantascienza e ora lavorerà giorno e notte perché un generatore nucleare lo alimenta in continuazione senza aspettare il sorgere del Sole come accadeva con i predecessori Spirit e Opportunity, dotati di pannelli solari. Paolo pilotava anche quelli. «Ma quando mi hanno proposto di entrare nel gruppo di Curiosity non ho esitato», aggiunge; «era una sfida da affrontare e così ho cambiato panorama. Ora ho davanti il monte Sharp che si alza dal cuore del cratere, ma ci arriveremo fra un anno».
Come si può essere scelti dalla Nasa, unico italiano tra i sette selezionati, gli altri sono tutti americani, per governare un complicatissimo gioiello marziano?
«Nell’estate del ’99 scoprii un annuncio del JPL su Internet, inviai il curriculum, ma senza sperarci granché. Ero negli Stati Uniti da sette anni, dove avevo iniziato occupandomi (con uno stipendio da fame) di elaborazioni di immagini mediche alla Oregon Health Sciences University; un lavoro che proseguii prima in una società privata della Florida, a West Palm Beach, e poi a Pittsburgh. Ed è lì che ho visto la richiesta della Nasa: quando ho ricevuto la risposta positiva mi è parso un sogno».
Come muoversi nelle sabbie rosse. Paolo Bellutta, 55 anni, di Rovereto, è uno specialista di computer science. Laureato al Politecnico Milano in Scienze dell’informazione, appena entrato nelle stanze della Nasa ha partecipato a progetti in collaborazione con la Darpa, l’agenzia di ricerca del Pentagono. Inutile chiedergli quali: top secret. Ma la svolta avviene nel 2004, quando su Marte arrivano Spirit e Opportunity. I due rover potevano viaggiare a lungo e quindi bisognava studiare le immagini del terreno, dell’ambiente circostante e scegliere i percorsi migliori per avvicinarsi agli obiettivi indicati dagli scienziati; pietre o pareti rocciose avvistate nelle fotografie, giudicate interessanti da indagare. «Mi proposero di studiare le mappe per stabilire dove muoversi sulle sabbie rosse. E poco dopo entrai tra i piloti», racconta. Così ha potuto personalizzare la targa della sua automobile aggiungendo la scritta “rovrdrv”, rover driver.
«Da allora Marte è entrato nella mia vita, quasi un’abitudine», continua; «esco di casa e penso a dove orientarmi in quell’affascinante vuoto dove tutto è da scoprire e quando ho finito il mio turno mi stacco con difficoltà; anzi, talvolta rimango perché è stimolante condividere le soluzioni che una macchina così sofisticata richiede per assolvere i suoi compiti. Su di me prevale il fascino dell’esplorazione e anche se non sono uno scienziato impegnato direttamente nel decifrare i segreti della geologia marziana e il suo remoto passato, condivido il lavoro dei miei colleghi ricercatori».
Da quasi dieci anni Paolo ha gli occhi più su Marte che sulla Terra. Ai nostri sguardi molti panorami inviati dai robot sembrano, pur nella loro eccezionalità, ripetitivi. «Impossibile», ribatte lui, «i paesaggi marziani sono sempre unici. Ogni fotogramma mostra qualcosa di nuovo. Anzi, sento una tale attrazione che spesso quando soffro d’insonnia, mi rivedo di notte le fotografie che Curiosity ci ha trasmesso».
Paolo abita in una casa in collina, a 15 minuti di strada dal Jet Propulsion Laboratory. La moglie Paola è italiana, trentina, e i due ragazzi Marco e Daniele vogliono tornare in Italia. «Anch’io lo vorrei, nonostante il mio fantastico impegno qui alla Nasa. E se riuscissi a trasferire le mie competenze, prenderei subito l’aereo. Non per nostalgia, ma perché non ho mai pensato di cancellare la mia terra d’origine, tagliare definitivamente i ponti per sentirmi americano».
Adesso Curiosity comincia a muovere i primi passi. «È in rodaggio», prosegue Bellutta, «stiamo collaudando tutte le sue parti, ruote, motori, braccio robotizzato, strumenti scientifici. Pilotare Curiosity è più complicato rispetto a Spirit e Opportunity. Il software di bordo è più flessibile e capace, ma ci vuole più tempo per abituarcisi. Il terreno dove ci troviamo è molto facile; guardando le mie mappe non ci sono ostacoli nel giro di alcuni chilometri. Comunque noi impartiamo al robot degli ordini e poi agisce lui, autonomamente, decidendo come arrivare a destinazione e in che modo aggirare eventuali difficoltà».
La passione per Asimov. Ma con i pensieri sempre in mondi alieni come può reagire la mente? «Ho perso il senso dei confini, anche quando guardo le mappe della Terra». E quando Marte e il sistema solare rimangono alle spalle, dopo il lavoro compiuto in una giornata, che cosa fa? « Non leggo molto», ammette lo scienziato, «anche se mi appassionano talvolta la fantascienza marziana di Bradbury o i racconti sui robot di Asimov: già durante la giornata sono immerso in pesanti manuali. Amo, comunque, il jazz, tirare con l’arco e viaggiare, soprattutto; un imprinting regalatomi da mio padre che mi portava sempre con sé. Uno dei miei passatempi preferiti è, però, navigare con Google Earth in luoghi della Terra dove non andrò mai; così li esploro, almeno virtualmente».
Il discorso torna a Marte dove è concentrata ogni attenzione. «Sì, Curiosity è diventato un’estensione di me stesso, quasi una protesi dei miei neuroni. Con grande orgoglio misto a preoccupazione. Mi hanno affidato la migliore e più intelligente macchina che l’America abbia saputo costruire. Costa 2 miliardi e mezzo di dollari e ho fatto un calcolo molto pratico: se la danneggio, mi occorreranno trent’anni per ripagarla. Spero di tornare prima in Italia».