Angela Frenda, Sette 21/9/2012, 21 settembre 2012
«MIO PADRE, CHE FORSE SI RICANDIDA... I RAPPORTI CON MIA SORELLA MARINA. IL MILAN. E A RENZI SUGGERISCO...»
Il segnale è stato quel rosso scelto per tingersi i capelli. Serviva uno spartiacque, anche visivo, tra il “prima” e il “dopo”. «All’inizio pensavo di farmeli rossoneri, poi ho valutato che il rosso, da solo, fosse più sobrio…». Barbara Berlusconi, 28 anni compiuti il 30 luglio, è seduta su un divano bianco della sua casa di Macherio. Dal 2011 la vita della primogenita di Veronica Lario e Silvio Berlusconi è cambiata. Si è separata dal suo compagno storico, Giorgio Valaguzza, padre dei suoi due bambini, Alessandro ed Edoardo. Poi è arrivata al Milan, dove siede nel Consiglio di amministrazione. In mezzo, la separazione burrascosa dei genitori, Veronica Lario e Silvio Berlusconi, con tutti gli strascichi mediatici che ne sono seguiti.
Barbara parla, in questa lunga intervista, della sua famiglia, del suo futuro, ma anche di politica, di economia e di Milan. Così, alla domanda se crede di essere maturata, risponde: «Direi che sono cambiata. Certo, però mi preoccuperei del contrario. Poi, si sa: chi è che non va avanti per obiettivi? Sono una ragazza con una famiglia e un lavoro nuovo in un mondo che non conoscevo, il calcio. Mi sento diversa dal punto di vista personale perché nella mia vita, in questo anno e mezzo, è indubbio che siano accadute tante cose. Tra queste, sicuramente il lavoro ha assunto un ruolo centrale».
A proposito, è vero che nei primi giorni di agosto ha trascorso un weekend di lavoro con suo padre e sua sorella Marina?
«Sì, siamo stati alcuni giorni insieme a Valbonne, in Provenza: un modo per stare in famiglia ma anche parlare di lavoro».
Tra lei e Marina in passato i rapporti non sono stati proprio idilliaci.
«Come famiglia, al di là dei retroscena giornalistici, siamo sempre stati uniti. E con Marina andiamo d’accordo, sì. Parliamo tantissimo. I nostri rapporti sono sempre stati quelli di due sorelle che si vogliono bene. Poi, come in tutte le famiglie, spesso si hanno idee diverse dovute anche alle età diverse. Lei da donna sa quanto sia difficile operare in questo settore e mi ha sempre sostenuto dandomi consigli e aiutandomi. So di stupirla ma oggi, lavorando insieme, noi cinque figli abbiamo trovato un linguaggio comune. Riusciamo a integrarci. E anche con nostro padre abbiamo nuovi terreni comuni di dialogo».
Va meglio anche tra suo padre e sua madre?
«Hanno rapporti buoni. I miei hanno deciso di rivedersi soprattutto per poter condividere alcuni momenti tutti insieme».
L’accordo di separazione tra i suoi genitori a che punto è?
«È tutto in corso, così come hanno detto gli avvocati nel comunicato congiunto di quest’estate. Anche se gli scenari riportati dai media negli ultimi mesi sono stati imprecisi e addirittura fantasiosi, ribadisco: i rapporti sono certamente più distesi, e il merito è soprattutto dei nipotini. Sia mia madre che mio padre sono legatissimi ad Alessandro e a Edoardo e proprio per stare con loro sono tornati a rivedersi».
È vero che lei, con i suoi fratelli Luigi ed Eleonora, sta investendo nel settore internet, in aziende come Groupon e Facile?
«Sì, stiamo esplorando nuove strade di business. E con buoni risultati. Il merito, comunque, va soprattutto a mio fratello Luigi, che si occupa di finanza».
Suo padre sta meditando di ricandidarsi. Lei che ne pensa?
«Questa eventualità sarà giudicata, non da me e non da qualche analista politico, ma dagli elettori, come accade in tutte le democrazie. Quello che posso affermare con certezza è che in questi venti anni la mia famiglia ha molto risentito della sua lontananza».
In che senso?
«Dal ’94 a oggi il gruppo si è privato delle qualità di Silvio Berlusconi imprenditore. Con lui alla guida saremmo stati in grado di affrontare con ancor più successo le nuove sfide del mercato».
Beh, lei lo sa che c’è un’altra versione dei fatti, diciamo meno romantica: Silvio Berlusconi entra in politica nel ’94 proprio per salvarle, le sue aziende.
«Rupert Murdoch, che mi risulta non avere idee esattamente progressiste, ha stretto un patto di ferro con l’allora neopremier Tony Blair che gli ha consentito di far crescere enormemente fatturato e influenza delle proprie reti nel mercato britannico. Poteva procedere così anche mio padre e trovare, in Italia, un accordo con il fronte progressista che era dato per favorito. Ma per lui era inaccettabile consegnare la guida del Paese a forze politiche che riteneva illiberali, contrarie al libero mercato e troppo legate al vecchio Pci e a una sinistra radicale».
Sta usando toni che a suo padre non dispiacerebbero. Ma passiamo dalle cause agli effetti: promuove Silvio Berlusconi anche per i risultati dei suoi governi? Niente da rimproverargli, davvero?
«Ha certamente il merito di aver inventato il bipolarismo e di aver svecchiato il linguaggio paludato della politica italiana. Altri obiettivi invece, come ha ammesso lui stesso, non sono stati ancora raggiunti: per responsabilità a volte anche sue, molto più spesso della maggioranza che rappresentava. Ma soprattutto perché in Italia, però questo vale sia per la destra che per la sinistra, c’è sempre qualcuno in grado di bloccare o depotenziare qualsiasi tentativo di riforma».
Non vorrà anche lei dare la colpa al sistema...
«Dico semplicemente che il potere esecutivo, per essere veramente tale, deve essere messo nelle condizioni di operare con provvedimenti rapidi ed efficaci. Il bicameralismo perfetto rallenta l’adozione di qualsiasi decisione. E, anche a causa della crisi economica internazionale, non ce lo possiamo più permettere. Il presidente del Consiglio in Italia non ha alcun potere. Le sue volontà possono essere tranquillamente disattese. Le faccio un esempio: il ministero dell’Economia, per legge, è chiamato ad autorizzare ogni provvedimento. Di conseguenza, se un presidente del Consiglio vuole adottare un’iniziativa, ma il suo ministro è di parere opposto, quella decisione non viene autorizzata. Le pare normale? La democrazia, ormai in tutte le nazioni occidentali, si caratterizza per un mandato fiduciario preciso tra gli elettori e una personalità politica che poi, alcuni anni dopo, è chiamata a rispondere del proprio operato. Solo in Italia questa personalità è ostaggio delle maggioranze parlamentari».
Sembra di nuovo di sentire suo padre.
«Il mio è un discorso generale. Non si può valutare l’operato di un capo del governo, se non gli vengono conferiti poteri veri che gli consentono di governare».
Concretamente: una cosa giusta e una sbagliata fatta dal governo Berlusconi?
«Mi è piaciuta la riforma dell’università».
E cosa non le è piaciuto?
«Non ha ridotto la pressione fiscale e il debito pubblico. Non ha realizzato, poi, la tanto auspicata riforma istituzionale».
In particolare?
«Il presidenzialismo».
Vecchio pallino...
«Ed è proprio per raggiungere questi obiettivi lasciati in sospeso che mio padre sta valutando di ricandidarsi».
Passiamo alle inchieste giudiziarie.
«Non vorrei pronunciarmi nel merito. Ma è chiaro che mio padre, candidandosi, si è posizionato nell’occhio del ciclone».
C’è qualche leader emergente che le piace?
«Non mi pare che vi siano negli schieramenti personalità portatrici di idee innovative».
Neanche Matteo Renzi? Lei lo aveva elogiato.
«Il sindaco di Firenze secondo me commette un errore strategico. Non dovrebbe puntare alla guida del Pd ma a quella del Paese. Dovrebbe dimettersi da sindaco, costruirsi una squadra e candidarsi a premier. Rompendo tutti gli schemi».
Potrebbe vincere?
«Questo non lo so. Ma aprirebbe una questione generazionale interessante».
Gli darebbe il suo voto?
«Non credo. Se non ha il coraggio, come mi pare, di sparigliare veramente. Per restare al tema generazionale, i giovani, in Parlamento, ci sono. Il punto è che a volte parlano ancora un linguaggio vecchio della politica da Prima Repubblica».
Come giudica Alfano?
«Mi aspettavo, anche da lui, un po’ più di coraggio e di modernità. Più idee e meno riunioni di partito».
E le ex ministre? Ne ricandiderebbe qualcuna?
«Ma scusi… c’è un nuovo governo. Mi chieda di quelle attuali» (sorriso ironico).
Elsa Fornero?
«È una donna determinata. Non ho condiviso le critiche quando è scoppiata a piangere: dietro un politico c’è sempre una persona. La sua riforma però, al di là delle nobili intenzioni sul tema della lotta alla precarizzazione, rischia di far perdere il lavoro a tantissimi giovani che non saranno confermati dalle aziende. Oggi il pericolo è quello di voler imporre regole troppo rigide al mercato. Ottenendo così il risultato opposto rispetto alle intenzioni».
Chi salva tra le donne del Pdl?
«Mi piace Fiamma Nirenstein: una persona che stimo per integrità e per come porta avanti le sue idee, anche se più conservatrici delle mie».
Cosa pensa del governo Monti?
«Ha raccolto una difficile situazione di emergenza internazionale. Ha fatto buone riforme strutturali, come quella delle pensioni. Mentre è stato più timido sulla spending review. Ha tagliato 26 miliardi di costi per lo Stato e contemporaneamente ha introdotto 22 miliardi di nuove spese. È chiaro che si tratta di un “cambia spese” e non di un “taglia spese”. Paesi come Inghilterra e Spagna hanno avuto più coraggio nella lotta ad alcuni sprechi della spesa pubblica. Quanto a Monti, penso sia un tecnico che si preparava da molti anni a fare il politico».
Per le donne, in generale, è più dura entrare nel mondo del lavoro?
«È innegabile che per loro gli stipendi siano più bassi. Che soprattutto al Sud si realizzi con fatica una vera parità. E che per la donna non sia semplice conciliare i figli con il lavoro...».
Le quote rosa la convincono?
«Io veramente sarei per le quote grigie, quelle del cervello. I posti importanti devono essere ricoperti dalle migliori personalità, indipendentemente dal sesso. Soltanto così si realizza la vera meritocrazia. Non si può stabilire tutto per legge. Poi, certo, vista la situazione, le quote rosa possono essere utilizzate come stimolo, in un momento di transizione, per promuovere il cambiamento. Ma non devono essere la soluzione. Anche noi ci adegueremo ovviamente alla nuova normativa e modificheremo i nostri Cda. Però il vero successo sarà determinato dalle sanzioni: dovranno essere così forti da impedire qualunque tentativo di non rispettare le nuove normative».
Certo, lei delle quote rosa non ha avuto bisogno.
«Lo so bene. Io sono una privilegiata. Ma questo non vuol dire che non veda la condizione di tante donne italiane. La parità da noi è ancora un miraggio, però il problema è soprattutto culturale. Ma i mali italiani sono anche altri: tasse e debito pubblico. Con troppe tasse non si cresce, il peso del debito pubblico aumenta e di conseguenza la spesa pubblica sale per far fronte alla mancata crescita. È un sistema che si avvita su se stesso e che genera impoverimento per tutti».
Siamo in piena crisi. Fininvest?
«Anche Fininvest, come tutti, risente in questo momento della crisi economica internazionale. Ma il gruppo è solido».
C’è qualche imprenditore che stima particolarmente?
«Ce ne sono tanti: Alessandro Benetton, Renzo Rosso, Giorgio Armani. E poi Ennio Doris, di Mediolanum: è un grandissimo motivatore».
Torniamo al suo lavoro: il Milan. I tifosi sono molto preoccupati…
«È finito il calcio degli Anni 90. Quel modello non può più reggere. Il calcio è cambiato. E le squadre oggi maggiormente competitive sono quelle che 15 anni fa sono riuscite a comprendere meglio questo cambiamento, anticipando gli scenari».
Come è andata veramente la vicenda della vendita di Ibra e Thiago Silva?
«Mio padre e Adriano Galliani avevano deciso di tenere Thiago. Poi il Paris Saint Germain ha avanzato un’offerta per entrambi i giocatori che è stata giudicata irrinunciabile per mettere in sicurezza i conti del Milan per i prossimi anni ed essere pronti alle nuove norme del Financial Fair Play».
Ma i tifosi si sono sentiti presi in giro.
«Per i milanisti sono state settimane difficili. Io per prima ne sono dispiaciuta. Ma è andata così, non ci permetteremmo mai di prenderli in giro».
Però senza soldi non si va da nessuna parte…
«I club, oggi, devono cambiare prospettiva, aumentare il grado di progettualità. La grande squadra deve essere costruita in casa, attraverso un settore giovanile forte e una rete di osservatori che vada a caccia dei migliori talenti del mondo. E poi, è chiaro, alcune scelte strategiche non possono più essere rimandate».
Quali?
«I club devono strutturarsi per competere sui mercati internazionali, attrarre nuovi partner commerciali, guardare ai Paesi emergenti, far crescere la notorietà del brand, rinnovare le strutture e gestire il marchio a 360 gradi. Tutto questo per aumentare i ricavi».
Sarà, ma gli altri team sembrano non sentire la crisi e investono cifre folli...
«I più importanti club oggi operano con prudenza. Come dimostra l’ultimo calciomercato. Spagna, Inghilterra e Italia non hanno fatto spese pazzesche. Solo un numero limitatissimo di squadre, come il Manchester City, la squadra russa dell’Anzhi e il Paris Saint Germain, di proprietà soprattutto araba e quindi fuori dal sistema economico europeo, stanno effettivamente spendendo molto. Il Milan ha deciso invece di operare scelte responsabili. I tifosi devono avere fiducia nella società e nella proprietà. Questo è un anno di transizione. Dobbiamo stringere i denti. Non sarà una cosa semplice o veloce, ma l’obiettivo è aprire un nuovo ciclo».
Come vanno i suoi investimenti nell’arte?
«La galleria di cui sono socia, la Cardi Black Box, nasce per realizzare più obiettivi. Anzitutto quello di sostenere l’arte contemporanea che fatica ad affermarsi in Italia. Poi la voglia di fare qualcosa per Milano e per consentire a tanti giovani artisti italiani di avere uno spazio per esporre le loro opere. Inoltre sta ottenendo ottimi risultati economici».
Lei non si è mai sposata, finora. È favorevole ai pacs?
«Sì, sono favorevole».
E i matrimoni gay?
«Favorevole. Contraria, invece, alle adozioni per le coppie omosessuali. Io ho un animo e una sensibilità liberal, ma certe scelte le trovo non naturali».
Che libro ha sul suo comodino in questo momento?
«Leggo più libri contemporaneamente. Poi, a seconda dell’umore, ne scelgo uno piuttosto che un altro. Oggi sto leggendo High & Dry di Banana Yoshimoto e L’inverno di Monti di Giulio Sapelli. Ma soprattutto Il pallone non entra mai per caso, di Ferran Soriano» (ride).
E di cosa parla?
«Ferran Soriano, ex vicepresidente del Barcellona e da pochi giorni ceo del Manchester City, ai tempi della gestione Laporta spiega come il Barcellona abbia costruito, attraverso una strategia mirata, una squadra capace di conseguire un successo non occasionale, ma destinato a durare negli anni».
Non mi pare un tema epocale...
«Come costruirsi la propria fortuna, perché nulla capita mai per caso. Come imparare a non accontentarsi mai. Come capire che nella vita è meglio sbagliare che decidere di non scegliere... Non le sembrano anche metafore della vita?».
L’intervista finisce qui. Di Pato non vuole proprio parlare. Anzi, no, prima di salutare, una cosa la dice: «Quest’estate ho letto molte ricostruzioni fantasiose, ma è la mia vita privata». E fa capire che stanno ancora insieme.