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 2012  settembre 20 Giovedì calendario

INTERVISTA MELINDA GATES

Immaginate per un istante di essere la moglie di uno degli uomini più ricchi del pianeta. Avete tre splendidi figli e una casa da 95 milioni di euro, completa di piscina coperta, equipaggiata con altoparlanti subacquei, e di un grande cinema interno. Come vorreste trascorrere le giornate? Facendo shopping? Uscendo a pranzo? Viaggiando? Oppure trascorrereste il vostro tempo nei più poveri e polverosi villaggi del Bangladesh, o frequentando gli squallidi slum dell’India? O, ancora, facendo visita ai sanatori e agli ospedali per malati di aids, o magari al capezzale di moribondi e di emarginati?
Melinda Gates, moglie di Bill, il magnate del colosso dell’informatica Microsoft, è appena rientrata in aereo dopo una visita in Niger e Senegal. L’indomani era già in piedi alle 4.30: come copresidente della Bill & Melinda Gates Foundation, ha in programma un vertice a Londra con Andrew Mitchell, segretario di Stato americano per lo Sviluppo internazionale, cui parteciperanno alcuni grandi della Terra. Tema: la pianificazione familiare. I due hanno deciso di lanciare una raccolta di fondi da 4 miliardi di dollari per offrire contraccezione sicura a 120 milioni di donne nei paesi in via di sviluppo.
«Tutte le vite hanno pari valore» afferm Melinda, con disarmante semplicità. «Le gravidanze indesiderate provocano la morte di oltre 200 mila tra donne e ragazze, e quella di quasi 3 milioni di neonati entro il primo anno di vita. È una realtà sconvolgente, che dobbiamo, possiamo e vogliamo cambiare». La signora Gates è vestita in modo discreto, un completo a pantalone grigio, e la sua cascata di capelli è come sempre in ordine. Dev’essere esausta, ma non lo dà a vedere. Suo marito Bill è rimasto a casa con le due figlie, Jennifer e Phoebe, rispettivamente 16 e 10 anni, e con il figlio Rory, di 13. La coppia cerca di fare il possibile affinché il suo correre in lungo e in largo per il mondo non interferisca troppo con la vita familiare, e da quando Melinda e Bill hanno iniziato a lavorare a tempo pieno per la fondazione è diventato più semplice sincronizzare i loro impegni e condividere la cura dei figli.
«Metto tutta me stessa in quello che faccio » afferma la donna, con un sorriso ironico. «Ogni anno vado a conoscere i nuovi insegnanti dei miei figli e dico loro di avvisarmi se dovessi comportarmi da madre iperprotettiva, perché è l’ultima cosa che voglio. E, devo ammetterlo, qualche volta hanno avuto il coraggio di dirmelo».
La fondazione, creata da Melinda e Bill oltre 12 anni fa, dispone di quasi 34 miliardi di dollari (26 miliardi di euro): una cifra che supera il pil di molti paesi. È per seguirne i progetti in giro per il mondo che l’agenda di Melinda spesso prevede colloqui durante la prima colazione, anche prima dell’alba, e discussioni strategiche alle 10 di sera.
Ma perché questo correre senza sosta? Perché non limitarsi a firmare assegni, sorridere davanti alle telecamere, consegnare denaro a un ente benefico già esistente e arrivare in tempo per godersi l’ultimo atto della Traviata? «Noi non distribuiamo sussidi» risponde Melinda. «Noi diamo alle persone gli strumenti di cui hanno bisogno per migliorare le loro vite: semi che possono piantare, l’accesso a un’assistenza sanitaria migliore. E per essere efficaci occorre capire i problemi a un livello molto profondo».
Mentre gli interessi di suo marito oggi puntano all’innovazione e alla scienza, soprattutto per sviluppare vaccini contro l’aids e la malaria, Melinda vorrebbe dare un migliore controllo sanitario alle donne del mondo. In molte culture maschiliste i bambini sono considerati indice della virilità del padre, senza preoccuparsi se poi si sia in grado di nutrirli tutti. «Spezza il cuore vedere una madre che ti tende il suo bambino, implorandoti di portarlo a casa con te perché altrimenti morirà» afferma.
Fu il filantropo Andrew Carnegie a pronunciare la frase: «È una vergogna morire ricchi». Ecco, i Gates avrebbero potuto usare le loro infinite ricchezze per scopi più futili: orchestre sinfoniche, istituzioni culturali, gallerie d’arte dall’architettura audace. Invece sono decisi a finanziare le cause più disperate. «Sono molto più interessata a salvare le vite di madri e bambini che non a occuparmi di uno stravagante museo» dichiara Melinda. «Sapere di avere avviato una famiglia all’autosufficienza economica, questa sì che è una soddisfazione. In Occidente abbiamo una falsa percezione sull’Africa: pensiamo che là le donne non amino i loro figli quanto noi; che non siano straziate dalla loro perdita come lo saremmo noi. È un falso atroce. Le africane hanno il cuore spezzato, esattamente come lo avrebbe una di noi. È per questo che devono avere accesso alla contraccezione, a un reddito e a un livello di salute che permetta loro di allattare tutti i figli e di garantire loro un buon ingresso nella vita, senza affrontare immediatamente una nuova gravidanza».
Melinda s’infervora: «Una volta ho incontrato una donna in uno slum alle porte di Nairobi. Mi ha detto: “Voglio dare a mio figlio tutto quello di cui ha bisogno, prima di averne un altro”. Non è proprio quello che vogliamo tutte noi, anche in Occidente?».
C’è qualcosa di assolutamente (e ammirevolmente) ostinato nell’insistenza con cui la coppia cerca di spingere il mondo a rivolgere lo sguardo al dramma dell’aids, alle morti di parto e alla mortalità infantile. La Gates Foundation ha pompato denaro nel sistema scolastico americano e nello sviluppo globale sotto forma di microfinanziamenti all’agricoltura e alla salute, a livello mondiale. Al cuore della loro impresa, però, la fondazione ha posto inderogabili regole di business: se i risultati non sono buoni come dovrebbero, nell’ipotesi migliore va modificata la strategia, nella peggiore non si rinnova l’investimento. Il motto è: massima efficacia.
Il miliardario Warren Buffett, da tempo amico di Bill, ha già versato una somma considerevole alla fondazione e ha disposto che, dopo la sua morte, nel giro di 10 anni le venga trasferita la sua fortuna, stimata sui 44,1 miliardi di dollari (oltre 33,6 miliardi di euro).
La coscienza filantropica di Melinda Gates ha mosso i primi passi quando lei ancora era bambina. Diversamente dal marito, che non ha completato gli studi a Harvard ed era nato in un ambiente privilegiato di Seattle, Melinda è cresciuta con altri tre fratelli in una famiglia texana di condizioni modeste, dove l’istruzione elevata era una meta non scontata. Sua madre, casalinga, rimpiangeva di non avere potuto frequentare il college. Il padre, ingegnere, creò un’impresa di pulizie proprio per mettere da parte il denaro necessario all’istruzione dei figli.
Da ragazza, Melinda lo aiutava spazzando e lavando pavimenti. Poi si è diplomata col massimo dei voti dalle orsoline di Dallas. Proprio il fatto che la sua educazione sia stata cattolica ha indotto alcuni conservatori cristiani a criticare il sostegno di Melinda ai progetti per il controllo delle nascite. «In troppi estremizzano il problema» risponde, scuotendo la testa. «Negli Stati Uniti l’82 per cento dei cattolici ritiene la contraccezione moralmente accettabile. Io sono certa che apporti enormi benefici alle donne che lottano per dare ai figli l’opportunità di emergere dalla povertà». Melinda ha studiato informatica alla Duke University, in North Carolina. Poi è entrata alla Microsoft, dove si è occupata dello sviluppo di prodotti come Encarta ed Expedia. Qui è nata la relazione con Bill, anche se oggi nega il mitologico pettegolezzo aziendale che vuole che i due comunicassero tra loro con note vergate sui post-it. Melinda ha sposato Bill alle Hawaii, nel 1996, e ha lasciato la società per crescere i figli nella residenza sulle rive del Lago Washington. La coppia si è impegnata a donare in filantropia il 95 per cento del suo patrimonio (circa 58 miliardi di dollari, cioè 44 miliardi di euro): Jennifer, Phoebe e Rory, come ha efficacemente commentato Buffet, avranno comunque «abbastanza per fare qualsiasi cosa, ma non tanto da non fare nulla».
La domanda è inevitabile: esiste mai un attimo di relax a casa Gates? «Per me» risponde Melinda «il massimo del lusso è trascorrere un venerdì sera a casa, a guardare un film davanti a una ciotola di popcorn non troppo salati». Probabilmente l’unica differenza con i comuni mortali è che i Gates hanno il cinema in casa. «Ci abbiamo messo dei divanetti a due posti, il che probabilmente non è stata una buona idea» ammette lei, ridendo. «Perché ogni volta insorgono infinite discussioni su chi deve sedersi con chi, su dove va messo il cane e su quante persone riescono a stiparsi su un’unica seduta extralarge: la risposta è che, con un po’ di pianificazione, ce ne stanno molte più di quanto si penserebbe».
Esattamente quello che, grazie agli incessanti sforzi della Bill & Melinda Gates Foundation, si potrebbe dire per il pianeta.