Oscar Giannino e Gian Primo Quagliano, Panorama 20/9/2012, 20 settembre 2012
I SUOI ERRORI (POCHI)... E QUELLI DEL GOVERNO (TANTI)
MARCHIONNE HA SALVATO LA FIAT, HA INVESTITO IN ITALIA, MA HA COMUNICATO MALE –
È passato un anno dacché Sergio Marchionne aveva fatto capire che un paio degli stabilimenti Fiat in Italia, a questi tassi di calo del mercato italiano ed europeo, sono di troppo. Perciò sa di commedia cadere dal pero come hanno fatto politici e sindacalisti. Marchionne ha rotto la continuità secolare della Fiat nel godere dei sussidi e incentivi, rivendica la libertà di produrre dove c’è margine e si vende di più. Si deve a questo se la Fiat è ancora viva e fa utili, visto che era tecnicamente semifallita sia nel 2004 sia di nuovo nel 2008. Mentre ora è insediata stabilmente negli Usa e tenta di recuperare (tardivamente) lo spazio perso in Cina e Russia. Da 15 anni gli stabilimenti italiani erano in perdita, si reggevano solo sugli utili di Brasile e Polonia. Per questo continuo a difendere il manager che sindacalisti e politici considerano con ira un «non italiano». Come non cambio idea sulla battaglia per la produttività negli stabilimenti che ha portato all’intesa aziendale sostitutiva del contratto nazionale, sostenuta da Cisl e Uil e approvata nelle urne. Detto ciò, la Fiat ha sbagliato e di grosso nel lasciare aperto da due anni l’equivoco dei famosi 20 miliardi di investimento, che in realtà non sono mai esistiti e di cui finora si è visto 1 miliardo per la Bertone-Maserati e 800 milioni a Pomigliano. Per effetto di questo errore grave è assai concreto il rischio che ora l’effetto sindacale sia di un potente freno a nuovi accordi di produttività in altre aziende italiane, accordi di cui ci sarebbe gran bisogno. Anche la polemica tra imprenditori aiuta poco, perché più gli imprenditori si dividono meno credibili saranno complessivamente. In politica acquisterà più forza chi chiede che sia lo Stato a intervenire, come in Usa e Francia. Mario Monti, ex consigliere d’amministrazione della Fiat per anni, da premier non ha preso alcuna iniziativa. Un errore. Per evitare che l’Italia torni a sognare auto di stato, bisogna aprire le porte della produzione in Italia a concorrenti di Fiat. A cominciare dalla Volkswagen. Su questo la penso da tempo come Giorgio Airaudo, il responsabile auto della Fiom.
DI Oscar Giannino
L’ESECUTIVO HA CONTRIBUITO AD AFFOSSARE IL MERCATO. ORA FACCIA QUALCOSA –
La Fiat non vuole incentivi dallo Stato. Ma, al di là di quello che vuole il gruppo torinese, il governo ha una politica per l’auto? Domanda lecita, visto che nel 2012 le immatricolazioni scenderanno a 1,37 milioni di vetture, con una perdita di gettito per l’erario, solo di mancata iva, di quasi 3,5 miliardi. E ciò mentre il mercato dell’auto sta tirando in tutto il mondo (+6,7 per cento nel primo semestre sui livelli record del 2011) tranne che nell’area euro, dove i problemi sono concentrati nei paesi a cui è stata imposta una ferrea politica di bilancio, tra cui ovviamente l’Italia. Che cosa ha fatto fin qui il governo per l’auto? Ha fortemente aumentato la fiscalità specifica (accise sulla benzina, aumento delle tasse sul passaggio di proprietà, aumento delle tasse sull’Rc auto) e con la riforma Fornero ha anche ridotto la deducibilità dei costi delle auto aziendali che era già la più restrittiva in Europa. Con il decreto sviluppo ha però varato anche una minirottamazione per favorire le auto ecologiche che entrerà in vigore dal 2013. Sfortunatamente il provvedimento è tecnicamente sbagliato e sarà praticamente inefficace, perché la gamma delle vetture incentivabili è troppo ristretta, perché ha uno stanziamento poco più che simbolico e perché riguarda per la prima volta l’auto aziendale ma con una condizione irrealizzabile per la quasi totalità delle aziende: la rottamazione di un’auto di 10 o più anni. Se vuole proseguire su questa strada il governo deve, dunque, rivedere il provvedimento e deve farlo subito. La gravità della crisi dell’auto è figlia essenzialmente della crisi dell’euro e del modo in cui il nostro governo l’ha affrontata. Gli effetti sull’economia reale della stangata inflitta per direttissima con l’arma fiscale non sono stati compensati con provvedimenti altrettanto immediati per sostenere i consumi, quelli automobilistici in particolare. D’altra parte, tornando alla Fiat, una politica congiunturale di sostegno della domanda di auto è certamente necessaria per il settore e per l’economia. Per sviluppare la produzione di autoveicoli in Italia occorre anche altro: la politica industriale che oggi manca al Paese. E non solo per l’auto.
Di Gian Primo Quagliano