Christine Ockrent, l’Espresso 21/9/2012, 21 settembre 2012
UNA DONNA PER BANCHIERE
È un privilegio accettato con naturalezza, che pochissime altre donne possono vantare: con l’età Christine Lagarde si fa più bella. Da oltre un anno la direttrice generale del Fondo monetario internazionale percorre da un capo all’altro un mondo in crisi. Ha un ruolo di crescente importanza nel salvataggio dell’Eurozona assieme alla Commissione europea e alla Bce di Mario Draghi, la cosiddetta troika chiamata a giudicare sul risanamento dei paesi in difficoltà.
A 56 anni - capelli bianchi con taglio corto, sguardo azzurro e diretto, portamento altero, eleganza sobria impreziosita da un pizzico di lusso alla francese (foulard e borsa di Hermès, una spilla, una collana, qualche tocco di femminilità accuratamente dosato per evitare ogni contrasto col suo ruolo) - non ha perduto nulla del suo fascino: appena qualche piccolo segno ad accentuare talvolta una piega della fronte, o l’ossatura della mascella. La vita per lei era più facile al tempo in cui era ministro dell’Economia e delle finanze di Nicolas Sarkozy? Che si parli inglese o francese, Christine Lagarde, bilingue perfetta, è troppo navigata per rispondere a una domanda del genere. Si accontenta di spiegare, con un ampio sorriso a sottolineare un argomentario ben collaudato, quanto il suo "job" sia appassionante. C’è da crederle sulla parola, ma si ha voglia di saperne di più.
Dopo il sisma provocato dalle intemperanze di Dominique Strauss-Kahn, nella primavera del 2011 la Francia riuscì per un soffio a imporre la propria candidata alla testa di un’istituzione in stato di choc, abituata da sempre a un classicismo di buona lega e ai costumi forbiti di prammatica a Washington. Chiamata a sostituire un predecessore che non esitava a posare nel suo ufficio a fianco di visitatrici qualificate, benché non necessariamente in fatto di finanza internazionale, Lagarde è riuscita a riportare la calma a livello interno, a instaurare metodi di lavoro più collegiali e a restituire progressivamente all’istituzione il suo ammaccato prestigio. Un’impresa non da poco, anche a fronte di alcuni malumori e porte sbattute in segno di disaccordo per la nomina di una donna, sospettata di essere stata scelta più a titolo di anestetico che per le sue competenze.
Il Fondo monetario internazionale non è mai stato popolare. A 68 anni dagli accordi di Bretton Woods, all’origine della sua istituzione, imbalsamato da regole di funzionamento oggi obsolete, è sempre stato oggetto di sarcasmi, sia che bacchetti gli alunni discoli del sistema internazionale, come prescrive il suo ruolo, sia che cerchi di regolare gli squilibri monetari o imponga pesanti sacrifici alle popolazioni nel tentativo di salvare le finanze di Paesi in difficoltà. Ma ecco che a fronte di un’Eurozona da mesi in crisi acuta Christine Lagarde, già ministro francese delle Finanze al momento del fallimento di Lehman Brothers nel 2008 e fino al 2011, redarguisce i suoi ex colleghi - e c’è chi ne sorride sotto i baffi - e taccia i Paesi colpevoli di lassismo. In particolare i greci, la scorsa primavera, non hanno gradito di sentirsi dire a muso duro che dovrebbero finalmente decidersi a pagare le tasse. Che lei stessa peraltro non paga, come ha notato severamente la stampa greca, fingendo di dimenticare che questa è la regola per tutti gli alti funzionari internazionali. Preso atto che anche qui c’era da usare il linguaggio della politica, la direttrice generale ha mormorato qualche parola di scusa.
Lagarde ci sa fare. Con quella sua aria di stangona per nulla sofisticata, figlia di borghesi di provincia con un passato di studi in America e un curriculum di giurista abituata a guardare ai fatti prima di affrontare il politichese con le sue approssimazioni e i suoi arcani, in tutto il suo percorso ha dato prova di un senso politico notevole, nonché di un’arte consumata nel curare la propria immagine.
Nata a Parigi, primogenita, con tre fratelli più piccoli, di una famiglia amorevole di insegnanti cattolici, avidi di cultura e di impegno condiviso e ricompensato, cresciuta a Le Havre dove ha praticato lo scoutismo e il nuoto sincronizzato, Christine non si è mai lasciata intimidire dalla falsa superiorità maschile. Orfana di padre a 17 anni, ammira la madre che lotta per crescere da sola i suoi figli. Studentessa modello, ottiene una borsa di studio per un anno a Washington; poi torna in Francia a studiare legge, ma non riesce a entrare all’Ena, la scuola degli alti funzionari pubblici, matrice della tecnocrazia alla francese. Sarà la sua fortuna: docente di diritto, nel 1981 entra a far parte dell’importante studio legale americano Baker & McKenzie, dove per 18 anni farà carriera, arrivando di grado in grado fino alla presidenza. È perfettamente a suo agio nell’ambiente della cultura americana delle élite dell’Est Coast: quel mix di semplicità apparente, efficienza, umorismo e autoironia accuratamente dosata sarà per lei una conquista e un segno di distinzione, da usare però con grande cautela nei rapporti con una classe politica francese uniformata e assai poco globalizzata. Cattolica praticante, sposata per un breve periodo, trova il tempo di mettere al mondo due figli, i quali a suo dire non le rimproverano il ritmo di lavoro infernale che si è imposta, tra Europa e Stati Uniti. Con convinzione e maestria, diventerà una delle francesi emblematiche di quella generazione di donne della fine del secolo scorso che hanno tentato, lavorando sodo, di conciliare tutto - famiglia, carriera, eleganza, felicità. E sostengono, a testa alta, di esserci riuscite.
Nel 2005, su invito dell’ex primo ministro Pierre Raffarin, Christine Lagarde cambia universo: entra a far parte del governo di Dominique de Villepin per occuparsi di commercio estero e quindi, per un breve periodo, di agricoltura. Poi, nel 2007, sarà Nicolas Sarkozy, alla ricerca di volti inediti e desideroso di innovare nominando per la prima volta una donna alla testa di un ministero importante come quello dell’Economia e delle finanze, a conferirle un ruolo di primissimo piano. All’inizio crede di poter dire ciò che pensa. Se la prende con gli intellettuali parigini e con la mania francese di preferire la retorica all’azione; e si attira i fulmini di uno sprezzante Bernard-Henri Lévy, che parla di discorsi da caffè del commercio. Si stupisce dell’ossessione francese per la difesa delle conquiste, le 35 ore, le rigidità delle leggi sui diritti dei lavoratori. Non abituata a una cultura politica in cui il vocabolario spesso conta più delle azioni, usa sui media termini vietati o politicamente rischiosi - per quanto consoni alla situazione del momento - come inflazione, stagnazione, rigore. Severamente richiamata all’ordine, prende atto della lezione.
Prima di tanti altri, Christine Lagarde ha capito che in Sarkolandia conta solo la parola del capo: a lui sono riservati tutti i riflettori. Bando alle mosse intempestive e a ogni inopportuno segno di autonomia o deviazione dalla linea tracciata dall’Eliseo, per quanto tortuosa. Nel 2010 il "Financial Times" parla di lei come del «miglior ministro dell’Economia dell’Eurozona» - definizione che peraltro non manca di ironia a fronte della crisi attuale. Di fatto, Lagarde ha svolto egregiamente il suo ruolo di perfetta interprete della politica presidenziale. In grado di esprimersi con disinvoltura e semplicità, abituata alle prassi e alle conferenze stampa anglosassoni, ha fatto scintille nel pieno della tormenta globalizzata, quando i tempi dell’interpretazione diventavano insopportabili e inutili. Alla tv americana, in una di quelle trasmissioni notturne in cui fioccano le frecciate e la Francia non è particolarmente popolare, si è presentata con in testa un basco, emblema nazionale, e ha messo a segno alcune battute molto azzeccate. Grazie anche alla sua statura - un metro e ottanta - sa come imporsi agli screanzati, e scherza sulla difficoltà di essere elegante quando si calza il 42. Ha capito che la cortesia e la calma sono armi utili anche nei confronti dei giornalisti francesi. Apprezzata dai suoi collaboratori, abilissima nel curare la sua immagine, godrà a lungo di una popolarità raramente concessa ai titolari di un ministero come quello dell’Economia e delle finanze. Eppure non riuscirà a farsi eleggere a Parigi, alle municipali del 2010. Ma al momento di lasciare il governo sarà acclamata dal suo schieramento all’Assemblea nazionale.
In politica, come in ogni percorso pubblico, anche la fortuna è una forma di talento. Grazie a Strauss-Kahn, Lagarde esce dall’apparato di Sarkozy prima dell’avvio di una campagna presidenziale che prenderà una brutta piega quando la strategia e i discorsi del presidente uscente devieranno verso una destra dura. Il 5 luglio 2011, nominata per un mandato quinquennale, assume le sue funzioni alla testa dell’Fmi a Washington. Ha trovato anche il tempo per riprendere fiato in Corsica col suo compagno, un simpatico imprenditore marsigliese che l’aveva corteggiata fin da ragazza. Nella capitale americana prende in affitto un appartamento nei pressi di una piscina (fin dall’infanzia il nuoto fa parte della sua igiene di vita), completa il suo guardaroba e incomincia a misurare il compito che l’aspetta. Un anno dopo mette in guardia gli Stati Uniti, spiegando che quello dell’Eurozona è solo uno dei problemi all’origine della perdita di fiducia nell’economia mondiale; e manifesta i suoi dubbi sulla capacità dei dirigenti europei di mettere in campo misure di salvaguardia della moneta comune.
Gendarme planetario al tempo delle tormente finanziarie, la simpatica stangona, campionessa di nuoto sincronizzato in Normandia negli anni Settanta, ha fatto molta strada a forza di energiche bracciate. D’ora in poi il suo successo si misurerà su altre distanze.