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 2012  settembre 21 Venerdì calendario

LA SCUOLA DEI PICCOLI GENI

GENOVA
«Papà andiamo a comprare un nuovo spartito?» Giacomo Alvino ha 10 anni e mentre parla tamburella sul tavolo un “notturno” di Chopin. Giampiero, il padre, di professione poliziotto, sorride e allarga le braccia: «È così ogni volta che andiamo in centro, e se non è uno spartito è un libro di astrofisica, un testo di matematica o qualche altro saggio complicatissimo... ». Giacomo, Lucia, Joseph, Gianmarco: benvenuti nel mondo (a parte) di quei bambini che a tre anni leggono e scrivono, a cinque risolvono problemi matematici, e a sette capiscono i buchi neri. Menti eccellenti, Iq prodigiosi, eppure la loro vita nelle scuole italiane è spesso una corsa ad ostacoli
fatta di noia, di solitudine e di incomprensioni con maestri e prof. Troppo intelligenti quei ragazzini e dunque difficili, irrequieti, scomodi. E le pochissime associazioni che si occupano di sviluppare (e proteggere) la “plusdotazione” nei più piccoli e negli adolescenti lanciano un Sos: «Abbiamo bisogno di docenti in grado di insegnare e di prendersi cura di questi alunni speciali». Che sono l’8% della popolazione infantile, e di questi il 2% ha davvero intelligenze eccezionali, ossia quel di più che un tempo si sarebbe definito “genio”, un dono, gift, bambini “gifted” si chiamano infatti. Sguardo ironico e battuta pronta, Giacomo è un giovanissimo pianista dotato di “orecchio assoluto”, di capacità prodigiose nelle materie scientifiche e di una passione dichiarata per Stephen Hawking.
«In classe però si è sempre annoiato da morire — racconta il padre — e le maestre invece di seguire i suoi talenti gli abbassavano i voti per non far sentire in minoranza i suoi compagni di classe. La scuola deve livellare, ci dicevano...Ma così non solo hanno umiliato Giacomo, ma abbiamo anche perso la borsa di studio che ci avrebbe aiutato a sostenerlo, a pagare le sue lezioni di musica, e io sono soltanto un poliziotto. E visto che Giacomo è un divoratore di libri, a 5 anni aveva già finito
tutto Harry Potter, ci hanno detto di farlo leggere un po’ meno, per far sì che le distanze con gli altri si accorciassero». Giacomo però ha un buon carattere: «A scuola ho tanti amici, Tommaso in particolare, per questo non ho voluto saltare una classe... E quando finisco i miei compiti faccio quelli degli altri». Pensieri da adulto, cuore di bambino.
Genova, sede dell’associazione “Una finestra sul mondo”: Giacomo, Lucia, Gianmarco, Joseph, 10 anni il più piccolo, 17 il più grande, raccontano insieme ai genitori la loro vita di bambini prodigio. Successi, sofferenze, diagnosi sbagliate di medici psichiatri, fino all’incontro con l’Aistap, l’associazione per lo sviluppo del talento e della plusdotazione, fondata da
Annamaria Roncoroni, neuropsicologa, membro dell’European Council for High Ability, che da anni si occupa di bambini e ragazzi “gifted”. E oggi tiene corsi e seminari in tutta Italia per insegnare a maestri e professori come aiutare questi allievi con Iq speciali (Intelligence quotient) a sviluppare i propri talenti, e a far sì che non subiscano come sovente accade una sorta di «emarginazione al contrario ». «La plusdotazione — spiega Annamaria Roncoroni — è una condizione che si manifesta nella prima infanzia: fin da piccolissimi questi bambini sono in grado di realizzare cose impensabili per la loro età, fanno ragionamenti complessi, moltissime domande, leggono e scrivono già a 3 o 4 anni, hanno una memoria straordina-
ria, conoscono la matematica, la musica. Ma a questo sviluppo intellettivo fuori dal comune spesso non corrisponde un adeguato sviluppo
emotivo».
I problemi si manifestano nell’impatto con la scuola. Perché in classe i bimbi prodigio si annoiano, si isolano, imparano subito e allora la loro mente corre lontano, altrove, non riescono a stare fermi, sono inquieti, a volte aggressivi. «Ho incontrato decine di ragazzini portati nel mio studio con diagnosi di autismo, o di iperattività, bambini considerati terribili dagli insegnanti, e invece erano soltanto iper-intelligenti. La verità — aggiunge Annamaria Roncoroni — è che nella scuola italiana la cura delle eccellenze è quasi sconosciuta. Non esistono, cioè, come
nel resto d’Europa (e degli Stati Uniti) né programmi né corsi speciali per gli allievi eccellenti, e il rischio non è soltanto quello di far appassire dei talenti, ma di ignorare i disagi anche gravi di bambini e ragazzi».
Ed è un po’ quello che stava per accadere a Gianmarco Calabrese, 13 anni, capelli biondo grano, oggi felicemente approdato in una scuola internazionale, appassionato di hard rock e di motori. «Alle elementari capivo tutto alla prima spiegazione, e per il resto del tempo non sapevo cosa fare, mi muovevo, mi alzavo, giravo per la classe, ero irrequieto e venivo continuamente ripreso. Spesso poi le maestre mi criticavano perché nei problemi arrivavo immediatamente alla soluzione, magari con
un’equazione, e allora mi costringevano a rifare l’intero percorso, per dimostrare tutti i passaggi. E quando tornavo a casa ero ancora così arrabbiato che lanciavo i libri e i quaderni contro mia madre...». Debora, mamma di Gianmarco, non nasconde ancora oggi la sua preoccupazione: «Sono stati anni difficili. Capivo le grandi potenzialità di Gianmarco, ma non sapevo come indirizzarle. E la scuola, purtroppo, aveva eretto un muro: le maestre sono arrivate a chiedermi di spingere Gianmarco a non fare troppe domande, perché la sua curiosità le metteva in difficoltà. Poi per fortuna abbiamo conosciuto l’Aistap, Gianmarco è stato valutato, è stato seguito, alle medie ha fatto due anni in uno, adesso studia in più lingue, e finalmente
ha gli stimoli giusti. E mi sembra — dice Debora con cautela — che sia un po’ più sereno».
Sia pure con passi da formica, infatti, in Italia qualcosa sta cambiando. Oltre all’Aistap e al Mensa Italia (il club delle intelligenze) che da tempo se ne occupano, anche il ministero dell’Istruzione nel luglio scorso ha diffuso una circolare sul “sostegno delle eccellenze”. Al di là della parola “genio”, impropria e desueta, è il concetto della “plusdotazione” che si sta facendo strada, e in diverse scuole pubbliche e paritarie sono già partite alcune sperimentazioni. All’istituto “Marcelline” di Genova ad esempio, come racconta la cooraltre
dinatrice didattica Andreina Ivaldi. «Ci siamo resi conto che in seconda elementare avevamo una bambina speciale, con delle capacità e un’intelligenza fuori dal comune. E proprio per non deprimere questi suoi talenti, ci siamo informati, abbiamo cercato chi in Italia potesse aiutarci a creare per lei un percorso particolare, pur all’interno
della classe. E con l’aiuto dell’Aistap e la sponsorizzazione delMensa,inostriinsegnantistanno facendo un tirocinio sulla plusdotazione. E i risultati sono incoraggianti ». Anche se, non è facile, ricorda Andreina Ivaldi, «in una stessa classe puoi avere un ragazzino con l’handicap e un altro che capisce in cinque minuti, ma la nostra
sfidaèportarliavantitutti».Aggiunge Jacopo Lorenzetti, psicologo dell’Aistap: «Lavorare con i ragazzi plusdotati vuol dire porre loro sempre nuove sfide intellettuali, in cui possano cimentarsi, faticare e sentirsi così motivati».
Sorride oggi Joseph Dimucci, brillante futuro scienziato che a 17 anni già può vantare un’esperienza
nel laboratorio di Fisica di un’università dello Iowa, e un sereno percorso scolastico in Italia, liceo scientifico Cassini di Genova, indirizzo PNI. «Superate le elementari, anni in cui davvero ho sofferto, in seguito ho sempre incontrato insegnanti che mi hanno sostenuto. In classe mi trovo bene, in alcune materie ho voti molto alti, in
meno, ma la mia grande fortuna è avere un eccellente professore di Fisica che sta cercando di far appassionare tutti alle sue lezioni ». Eppure c’è voluta una diagnosi del “Gaslini” di Genova, per capire che quel bambino chiuso e difficile, «che a nove mesi camminava, e a 11 mesi leggeva i numeri » aveva anche uno straordinario quoziente intellettivo. «Joseph — ricorda il padre, Francesco — aveva seri problemi motori, non socializzava con nessuno e un pessimo rapporto con la scuola. Poi, piano piano le cose sono migliorate ». Tanto che Joseph, ad un anno dalla maturità, può già contare sugli “inviti” di prestigiose università americane.
Ci voleva però un “summer camp” dove rompere il ghiaccio
per restituire un po’ di normalità a bambini tanto “super” da sentirsi diversi «L’essere così speciali infatti — ammette Roncoroni — spesso non favorisce le relazioni tra coetanei». Lucia Forlini Cataldo, 13 anni, sguardo bruno, intenso e diretto alla meta, mostra con orgoglio “Virus”, videogame creato da lei. «È stato bello ritrovarsi insieme quest’estate nel camp organizzato dall’Aistap. Ci siamo sfidati in ogni tipo di gara scientifica, abbiamo visitato l’Istituto di Fisica Nucleare di Frascati...Ma abbiamo anche cantato, suonato, e soprattutto abbiamo fatto amicizia». Come dei semplici adolescenti.