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 2012  settembre 20 Giovedì calendario

NUOVA‘MISSION’ LA MUSICA DI STEFFANI INVIATO VATICANO


I Barocchisti diretti da Diego Fasolis (molto bravi, per inciso) attaccano furibondi il ritornello di «Schiere invitte» dalla sconosciuta opera Alarico il Baltha, cioè L’audace re de’ Gothi , nientemeno. Dal fondo del salone tutto stucchi del castello di Schleissheim, smodato palagio similVersailles dei Wittelsbach bavaresi, arriva lei che prima agita giuliva il tamburello e poi si scatena in un diluvio di colorature a velocità supersonica. E per tre quarti d’ora dà spettacolo alternando ipnotici lamenti tenuti su un filo di voce che si piega ma non si spezza a spettacolari sfide con la tromba solista, come già il collega Farinelli in una celebre occasione. E poi: comparsata del controtenore star Philippe Jaroussky per un morbido duetto d’amore, cena nel parco dello Schloss per un pubblico di happy few (segnalati giornalisti in arrivo fin dall’Australia) e fuochi d’artificio perfettamente sincronizzati sulla sua voce che gorgheggia «Suoni, tuoni, il suolo scuota» dall’ancor più sconosciuto Arminio. Gran finale con lei che dà la prima spillata a una gran botte di birra. Prosit.

«Lei» è naturalmente la popstar classica Cecilia Bartoli, piaccia o non piaccia la cantante d’opera più famosa del mondo e in ogni caso quella che ancora vende come ai bei tempi del disco. Ne ha già smerciati dieci milioni, quindi il lancio del suo nuovo album diventa un evento planetario molto semplicemente perché lo è. E la Bartoli vende, attenzione, non con il crossover o le bocellate, ma con Vivaldi o Salieri, dei Gluck minori o dei barocchi minimi.

Una grande storia italiana
Questa volta tocca ad Agostino Steffani (1654-1728), un curioso personaggio di cui si sa poco. Ma quel poco è assai ghiotto: puer cantore nel Veneto natìo, forse castrato, poi operista di successo in Germania ma anche diplomatico per la Santa Sede, vescovo in partibus, nunzio apostolico nelle corti protestanti del Nord, probabilmente anche spia, certamente intrigante, insomma perfetto per un cameo in un libretto di Hofmannsthal. Per la Bartoli, diva sì, ma studiosissima, «un genio ritrovato, che anticipa Händel e per molti aspetti lo ricorda». Forse è troppo, ma in ogni caso quella di Steffani è una bella riscoperta, a patto beninteso di cantarlo come fa lei, giocando con la musica, divertendo e divertendosi.

Il resto è marketing. Per l’album, intitolato Mission , tutto è stato studiato nei minimi particolari. Le foto ritraggono una Bartoli-Steffani in versione vescovo, sulla cover addirittura calva mentre brandisce un crocifisso, fra padre Amorth e L’esorcista . «Non potevo certo fare una copertina modello Vanity Fair , con un sorriso da Pepsodent - chiosa lei -. Steffani scriveva musica, ma era anche un inviato speciale del Vaticano, in missione fra religione e diplomazia. La sua è una grande storia italiana».

E’ stata messa all’opera anche Donna Leon, autrice di bestseller gialli, appassionata e mecenate di barocco musicale, americana con residenza a Venezia ma che vieta tassativamente di tradurre i suoi libri in Italia: ufficialmente, dice lei, per continuare a viverci tranquilla; ufficiosamente, sospettiamo noi, perché l’Italia che racconta è una spremuta di stereotipi da far impallidire l’ultimo Woody Allen. La signora Leon ha scritto un romanzo appositamente per il disco dell’«amica Cecilia», titolo I gioielli del paradiso .

E ora La Scala
La Bartoli, intanto, una ne fa e cento ne pensa. Da quando è succeduta a Riccardo Muti come direttrice artistica del Festival di Pentecoste a Salisburgo ha raddoppiato le vendite di biglietti («Ma il lavoro fatto da Muti è stato coraggioso») e il prossimo 17 maggio ci canterà Norma , per la prima volta in forma scenica . «Con tutto il rispetto per la tradizione e le grandi artiste che l’hanno incarnata proclama -, nella versione originale di Bellini». Però sa, signora, che il teatro d’opera è come la Chiesa cattolica: non fanno testo solo le sacre scritture, cioè il libretto e la partitura, ma anche la tradizione... «Il mio vangelo è la partitura. E’ più importante quel che Bellini ha scritto di come Bellini è sempre stato eseguito».

E poi, squillino le trombe anche qui, Santa Cecilia torna alla Scala: il 3 dicembre per l’inaugurazione della stagione della Filarmonica, con Barenboim sul podio, subito prima della primina del 4 e della primona del 7. Lei giubila, sempre in modalità monsignore: «Alleluja! Pensi che alla Scala manco da un Don Giovanni con Muti, credo fosse il ‘93. Mi fa piacere perché io adoro l’Italia, è il mio Paese e c’è un pubblico straordinario». Sarà. Però parte del pubblico è straordinariamente convinta che la Bartoli sia magari bravissima, ma si senta poco, insomma abbia poca voce... «Ah, sì? Beh, la Bartoli risponde che è nella botte piccola che c’è il vino buono».