Mattia Feltri, la Stampa 20/9/2012, 20 settembre 2012
DALLA POLVERINI PROVE DI DIMISSIONI POI PRENDE TEMPO
Quindici ore di delirio, ecco che è stata la giornata di ieri. Durante la quale Renata Polverini ha rassegnato e ritirato le dimissioni due o tre volte, se si desse retta a voci e mezze voci. Ma siccome non è tutta fumisteria, di vero c’è che alle 14.30 la presidente del Lazio ha avuto un incontro (irrituale) con il ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, per capire nel dettaglio quali siano i tempi e i modi per lasciare la carica, organizzare il governo transitorio, indire nuove elezioni. Era mattino presto quando la Polverini aveva annunciato su Canale 5 l’intenzione di chiedere un colloquio al ministro, e quando dalla sua segreteria hanno confermato che il colloquio ci sarebbe stato, e in giornata, al Viminale o al telefono, l’idea che lei stesse per abbandonare si è parecchio rafforzata. E il perché lo si comprende da una mattinata tutta da raccontare.
Prima la Polverini è passata in Regione - nel leggendario palazzo che era la sede cinematografica della megaditta del ragionier Fantozzi - poi in Questura per un ordinario vertice sulla sicurezza, e di nuovo in Regione dove le è arrivata notizia che non si riusciva a combinare nulla. I due di cui vuole la testa, il presidente del Consiglio regionale, Mario Abbruzzese, e il capogruppo del Pdl, Francesco Battistoni, non avevano nessuna intenzione di mollare; né Angelino Alfano era in grado di darle una mano. La Polverini non ci ha visto più, ha mandato al diavolo (eufemismo) qualche collaboratore e se l’è filata a casa. Uno che era lì ha parlato di «crisi di nervi». Mah. Comunque erano anche appena uscite le foto in cui la si vede nel mezzo di quell’allegra compagnia di amministratori travestiti da legionari e opliti; in un primo momento ha innalzato qualche sacramento, ma poi le hanno fatto notare che la miglior prova di estraneità era l’impermeabile che aveva addosso, una sciagura estetica in quel quadro vivente. Però ne succedeva una ogni mezzora. Infatti, in tarda mattinata, nella conferenza dei capigruppo della Regione si è preso a mormorare dell’arrivo di tre avvisi di garanzia per altrettanti assessori. Assessori precisi, questioni imprecisate. La procura ha poi smentito, ma era uno spiffero finito dritto sul fuoco.
È stato allora che la governatrice ha ricevuto una telefonata da Silvio Berlusconi. Il solito Berlusconi: ma no Renata, non fare così, ripensaci, tieni duro, ti aiuteremo a fare pulizia, forza Renata, poi ci vediamo stasera... E Renata s’è fermata a respirare. Ma dalla Cancellieri - dopo avere mangiato un boccone a casa - ci è andata come stabilito. La chiacchierata è durata un quarto d’ora. Il ministro ha chiesto parere all’avvocatura dello Stato, e così la Polverini ha saputo tutto: se (quando) si dimette, la giunta decade, rimane in carica soltanto per l’ordinaria amministrazione e continua a guidarla la Polverini medesima. A meno che non si trovi un cavillo bis, come lo si trovò per Piero Marrazzo, e il facente funzioni diventa il vicepresidente di giunta. Tecnicismi. E però attorno alla conversazione è fiorito un viluppo di ipotesi da emicrania, tutte quelle comprese fra la sceneggiata da ballatoio e il severo passo istituzionale. Anche perché non si capisce per quale motivo uno vada a informarsi al ministero dell’Interno anziché dal suo ufficio legale. Insomma, ancora delirio, sempre più delirio. E non ce n’è uno che non abbia tentato di metterci il carico: informatori improvvisati ragguagliavano su ulteriori strillate, principi di malori, svenimenti in luogo pubblico. In realtà la Polverini s’è tappata in ufficio a confermare, telefonando a questo a quello, che le dimissioni arriveranno molto presto, se prima non arriverà la resa del Pdl. Un disinvolto moltiplicarsi di ultimatum.
Situazione complicata? Come no. Ma a incasinarla ulteriormente ci si sono messi persino i deputati del centrodestra - non avessero i loro guai - che a Montecitorio, pomeriggio inoltrato, si sono incaricati di diffondere le loro disinformatissime certezze: la Polverini sta telefonando ai suoi assessori, li sta avvertendo uno per uno che la festa è finita, entro breve ci sarà una conferenza stampa, poi andrà a Palazzo Grazioli dal capo. Macché. Tutte fantasie. Di sensato c’era soltanto la considerazione di Ugo Sposetti, deputato del Pd (ed ex tesoriere dei Ds): «Doveva piantare tutto lunedì, avrebbe fatto un figurone e l’avrebbero rielettacol sessanta per cento». Un consiglio arrivato anche da qualche amico che la Polverini non ha voluto seguire,come non ha voluto - in quel comizio impetuoso e rubicondo in Consiglio regionale chiedere ad Abruzzese e Battistoni di levarsi di mezzo. Lo ha chiesto ieri direttamente a Berlusconi, anche se ha rifiutato l’invito serale: «Ci andrò quando avrò le teste di quei due», ha detto in ultimo furibondeggiare. Farò il possibile e l’impossibile, le ha detto l’ex premier. Rassicurazioni massime, altroché. Soprattutto del fatto che oggi ricomincerà il delirio.