Nello Ajello, la Repubblica 20/9/2012, 20 settembre 2012
SUA ETERNITÀ FLAIANO UNA VITA DA MALPENSANTE
Ci sarà ancora qualcuno (o molti, chissà) che voglia procurarsi un diario satirico di quell’interminabile dopoguerra che andò in scena da noi fra i tardi anni Quaranta e i Sessanta del secolo scorso. A costoro va suggerita la lettura d’un libro appena uscito. L’ha scritto Gino Ruozzi, e s’intitola Ennio Flaiano, una verità personale (Carocci, pagg. 300, euro 25).
Di quella stagione lo scrittore qui evocato fu un testimone d’eccezione. Ne interpretò le audacie e le malinconie, offrendo l’esempio di una letteratura al di fuori d’ogni schema, ma “dentro” le scene offerte dalla vita. La sua produzione, di cui buona parte è apparsa postuma (morì sessantaduenne nel 1972), è percorsa da una costante: la storia ridotta – forse è meglio dire promossa – ad aforisma. Il “genere”, certo, è esposto a un pericolo: far passare chi lo adotta per uno spiritoso cronico. Non a caso lo stesso Flaiano scorgeva in quell’aggettivo un’ingiuria.
La biografia artistica dello scrittore, firmata da Ruozzi, contiene la smentita di quel giudizio sbrigativo. Documenta che, pur interrogato all’infinito perché faccia ridere, Flaiano risponde tenendosi sempre alla propria altezza. Confermandosi cioè un «maestro d’indignazione e di vita» come lo definiva Vincenzo Cardarelli, quel poeta del Novecento angelicamente bizzarro che l’autore di Un marziano a Roma assume – accanto a Brancati, Maccari e innumerevoli altri – come personaggio della Roma coeva ai suoi sogni e ai suoi disgusti. Una città con «il piede nella farsa».
L’indignazione e la vita di Flaiano si versano in centinaia di gag che Ruozzi ci riporta alla mente: motti, massime, parabole, epigrammi, brani di taccuino. Un repertorio ricco e vario. A chi suppone che quelle notazioni siano una pietanza accessoria del pasto letterario, si deve ricordare la loro presenza nel romanzo più celebrato dello scrittore abruzzese, Tempo di uccidere (1947), dedicato, con un risvolto drammatico, alla favola del nostro colonialismo in Africa. Senza simili stacchi “di costume”, è probabile che quel testo penoso e disperato scoraggerebbe ogni lettore. E qui viene in mente la raccomandazione che un memorabile scrittore satirico, Jules Renard rivolgeva ai suoi colleghi: «Pronunziare venticinque aforismi al giorno, postillando in calce a ciascuno: “dentro c’è tutto” ».
Ripercorrendo le confidenze di un “incontentabile”, com’era Flaiano, si assapora un concentrato di arguta malinconia. Lui ha di fronte un bersaglio: l’Italia, un popolo «mosso da un bisogno sfrenato d’ingiustizia ». Roma, «l’enorme garage del ceto più medio d’Italia», attira la sua avversione e il suo amore nascosto. Ai «voli alati» preferisce «la piana ed amara aderenza alla realtà», sintetizza il biografo. Esempio maiuscolo di questa predilezione è una parodia della Pioggia nel pineto di D’Annunzio. «Piove sul sottoscritto », così Flaiano rifece quella poesia: «Piove sul mittente, – Piove sul latore della presente…».
L’autore del Diario notturno ama i «malpensanti» suoi pari e anche per questo ce l’ha con i fascisti, questa «trascurabile maggioranza». Maledice le cene in piedi. Detesta la tivù. Non sopporta l’auto (che ha ribattezzato la “makkina” in un bozzetto che pubblicherà sull’Espresso a un passo dalla morte), ha in sospetto i giovani: «È terribile pensare », riflette nel 1969, «che i giovani del ’68 hanno un anno di più». Fatica a considerarsi uno scrittore: anni fa, racconta, «mi piaceva andare a spasso. Adesso mi piace scrivere. Mi accorgo che riuscivo meglio come passeggiatore». Ridimensiona perfino La dolce vita di Fellini, per tanta parte opera sua: in realtà, ricorda, volevamo «parlare agli amici della nostra generazione, non fare un bel film». Si professa «fuorimoda e contromoda ». Sostiene che il giornalismo «invece di dare notizie preferisce creare sensazioni» e se sottrae all’accusa l’amatissimo Mondo del suo amico Pannunzio oltre che suo, è perché esso respinge l’attualità: donde la piacevole sensazione di star facendo «sempre il numero precedente».
A chi prende in mano questo libro va dunque rivolto un invito: ascoltare la verità personale di Flaiano come uno scoop al contrario, rubato al “numero precedente” di una vita.