Alberto Arbasino, la Repubblica 20/9/2012, 20 settembre 2012
VACANZA PROUSTIANA
Per ferie non ancora digitali, vanno ovviamente sempre bene i paraggi di Proust e della Montagna magica.
Ma constatando subito la cospicua agiatezza borghese data per ovvia e naturale nella Recherche e in Thomas Mann – con un Grand Hôtel di qua e un abbiente sanatorio di là – senza badar troppo ai conti. Che differenza, con lo status della “buona” borghesia italiana media e non aristocratica, in quei tempi; e in altri momenti, che diversità di stile e di vita? E adesso?
Attualmente, giungendo «in stagione» al rinomato Grand Hôtel di Cabourg, modello per la Balbec di Proust, casca qualunque interesse per le sfumature di sensiblerie o di snobismo tra i panzoni e le culone che vi si incontrano. E in mancanza di fanciulle più o meno in fiore, ci si chiede piuttosto se davanti all’albergo già nella Belle Époque si trovavano tutte queste grosse costruzioni in rozzo e invasivo stile normanno di travi parallele o incrociate sopra la calce candida.
Così a Davos, in mancanza di tutta quella interessantissima fauna di infermi e ammalati Belle Époque gremiti di sensitività emotive imperdibili, si passeggia piuttosto fra gli albergoni pronti per ricevere centinaia o migliaia di convegnisti muniti di analisi statistiche. E nel museo si contemplano dipinti di espressionisti tedeschi anche celebri che qui soggiornarono a causa del mal di petto. Però, di solito, si preferisce proseguire per Klosters, che è meglio, sia a “Dorf” sia a “Platz”. O magari per Coira, capitale cantonale con un museo pieno dei vari Giacometti, e dove peraltro Thomas Mann fu ricoverato nel 1955 in ospedale per un’infezione da virus.
Entrambi gli autori, nei microcosmi del Sanatorio o del Grand Hôtel, risultano assai sensibili ai titoli e appellativi accademici: «consigliere aulico» di qua, «primo presidente di Caen» di là. (Altro che i poveri «dottò» all’italiana). E anche i minimi rituali alto-borghesi vengono descritti accuratamente, a puntino: un tè con fette biscottate, o un bouquet di rose, fra un «ça va sans dire» e un «ce n’est pas grave». Altro che le nostre vecchie farse con gli affamati che devono “rimediare” gli spaghetti. Invece, piuttosto, nomi di stazioncine assaporati uno ad uno, fra stuoli di fanciulle e bambinacce in frutto, e avvenenti malate di petto descritte fino all’ultimo bottoncino.
In giro attualmente per la Normandia, tra Cabourg e Deauville e Honfleur, la popolazione locale appare composta prevalentemente da smisurati ciccioni e ciccione molto più “balene” che nelle retoriche gattopardesche o proustiane. I Normanni veri si trovano ormai solo in Sicilia o in Puglia? ci si domandava tanti anni fa, quando presso di noi i figli e i nipoti erano molto più alti dei genitori, mentre lì sul territorio la statura era sempre bassa. E secondo un gossip locale, si doveva al calvados messo in bocca ai piccini quando frignavano troppo. Ora però fra le moltitudini di grassezze anziane ci si può magari chiedere – per curiosità meramente clinica, da consiglieri aulici – se già nelle lontane infanzie si manifestavano inquietanti sintomi di obesità e pinguedini collettive. Proust amava le vetrate di chiesa, e le scogliere o “falaises”. A Davos, i pazienti del Berghof avranno ammirato le vetrate di Augusto Giacometti, nella chiesa di St. Johann. E in una magnifica opera degli anni Venti, Jonny Spielt Auf di Ernst Krenek, ecco un compositore intellettuale in crisi alle prese con magici ghiacciai alpini che gli rispondono con incantevoli voci femminili... E lì, arte degenerata, complessino jazz, un violino rubato, banjo, clacson, telefoni, un investimento in stazione, perquisizioni fra il pubblico, sirene poliziesche e fischietti, lirismi tonali e cromatismi dissonanti, sassofono... Una meraviglia.
Dalla parte di St. Moritz, invece, si può sognare ad occhi aperti circa il viaggio del poeta Rilke con i due figli adolescenti dell’amica Baladine – Pierre Klossowski e Balthus – giù dal Maloia verso l’ospitale palazzo-albergo dei conti Salis, a Soglio. Subendo oppure no le influenze degli artisti attraversati lungo il cammino: Segantini, i vari Giacometti, Varlin. E naturalmente la casetta di Nietzsche a Sils Maria, proprio sotto il grande albergo Waldhaus, sede e contesto di vacanze per Thomas Mann e i suoi, durante le tribolate inflazioni di quel primo dopoguerra.
E a St. Moritz, magari, un flashback sulle mondanità letterarie e milionarie al Palace: veramente Matilde Serao vi tenne più volte salotto? E come vi si arrivava, nel secondo Ottocento? Nella vicina Pontresina, pare che fosse molto redditizio il transito dei vini valtellinesi attraverso il passo del Bernina; e gli alberghi monumentali ivi furono un investimento tangibile.
Fra un Grand Hôtel e un altro, in quello tanto proustiano di Cabourg-Balbec, nell’atrio dove la nonna tira sui prezzi accompagnando il nipotino malaticcio e bisognoso di baciozzi, non c’è più un direttore con smoking mondano e sguardo da psicologo, davanti allo scalone monumentale di finto-marmo. Bensì due signorine premurose ed efficienti. E come ostessa del salone da pranzo, con vista sulla spiaggia, si può dire che è una mu-latta o meticcia, senza offendere i vari sentimenti signorili e fini? Del resto, anche al mastodontico ed emblematico “Normandy” di Deauville, specialmente alle tavole estive con vista sulle celeberrime “planches” affollatissime, il servizio è svolto da avvenenti ragazze e non da imponenti anziani.
Come pendant del Sanatorio Berghof manniano, ora bisognerebbe piuttosto riandare agli “spa” così diffusi in tutti gli alberghi su qualunque territorio. Ma siccome incontestabilmente fra i più celebri vige Biarritz, lì (volendo) si potrebbero celebrare vari fasti, a partire dal «Palais» che risale all’Imperatrice Eugenia. Lì accanto, generazioni di amici e amiche hanno passato le acque in un modernissimo istituto di thalassoterapia. E si ridacchiava quando loro facevano colazione al ristorante dietetico e non al gastronomico, perché in una serata fra armigeri e fiaccole appena oltreconfine ripigliavano il peso perduto. Medici e infermiere giovani, assolutamente casual. Non da romanzo.
Forse si possono rammentare i film italiani cheap degli anni Trenta, con trame ove una ballerina si fa passare per milionaria, subito corteggiata da un poveraccio finto principe russo, finché si chiariscono le identità, e i due, amareggiati, riprendono le loro identità prosaiche? Lì, però, benché in una produzione misera, neanche un caratterista riappariva più di quattro o cinque volte col suo solito stecchino in bocca e i suoi tipici pantaloni a quadri logori come a quel Berghof? E la quadriglia si balla in famiglia? In due si soffre meglio? Gioco pericoloso? O idillio a Budapest?
Comunque, sia pure in un sanatorio tristissimo, potranno ancora coinvolgere taluno i dialoghi saggistici quali miniconferenze su sofisticherie logiche e ideologiche circa Dardanelli e Manciuria, come ai tempi del Cortegiano e degli Asolani?
E mai qualcuno si stufa, si alza, se ne va? Come avranno spesso fatto gli italiani e i maleducati, quando non esistevano ancora i festival e i convegni e i dibattiti di filosofia, epistemologia, ermeneutica, i talk shows pieni di interventi da Bar Sport? Tuttavia, le opere talvolta in forma dialogica “manniana” di György Lukàcs – così coprotagonista della Montagna magica – oltre mezzo secolo fa venivano pubblicate in italiano e compensate in lire dal compatriota Sugar, che aveva fatto fortuna con la musica leggera a Milano; e trionfò soprattutto con «Nessuno mi può giudicare, nemmeno tu!», cantata dall’eccellente Caterina Caselli. Eterogenesi dei fini!
Insomma, rievocando un convegno letterario a Edimburgo, in questo mese, cinquant’anni fa, il TLS ricorda che secondo il resoconto di Stephen Spender niente di speciale vi si è discusso, ma si sono ascoltate parecchie interessanti provocazioni sulla mitologia, l’infanzia, il lògos, il sogno, il romanzo, il sesso. Gli stessi inesauribili temi dell’epistolario Mann-Kerényi uscito nelle mondadoriane “Silerchie” sempre mezzo secolo fa, e pieno di tradizionali formule cortesi: «Stimatissimo Dottore» di qua, «Stimatissimo Professore » di là. In tutto ciò manca la presenza di una grande editrice o traduttrice saggia padrona di casa, che alle ore dei pasti avverta: «La minestra è in tavola, alla cosa in sé e alle sorti dell’umanità penserete dopo».