Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  settembre 20 Giovedì calendario

SE TOKYO USCIRÀ SUL SERIO DAL NUCLEARE PREVISTI ENORMI PROBLEMI DI SMALTIMENTO

Venerdì scorso, il governo giapponese ha annunciato l’arresto progressivo della produzione nucleare da qui al 2040. La decisione, secondo Le Monde, è stata una scelta semi-irrazionale presa sull’onda dell’emozione per l’incidente di Fukushima. A sostegno di questa tesi, il quotidiano francese cita le voci del business nipponico, scettiche sulla realizzabilità di un progetto così ambizioso.

Essendo comunque passati 18 mesi da quella tragedia, e conoscendo il tradizionale sangue freddo giapponese, gli osservatori dubitano che la spiegazione emotiva sia sufficiente. D’altronde, Parigi difende legittimamente gli interessi del colosso statale energetico Areva, come testimonia lo stesso Le Monde, raccogliendo le caute reazioni del suo numero uno Luc Orsel. L’aspetto più interessante dell’intervista è contenuto nel finale. Se i gruppi elettromeccanici giapponesi usciranno dal nucleare nazionale (alla stregua della tedesca Siemens, che ha chiuso questo settore l’anno scorso), difficilmente saranno in grado di svolgere un ruolo nella competizione globale, dice Orsel. Per Parigi è una novità agrodolce: i gruppi che escono dal perimetro concorrenziale sono rivali, ma potevano essere alleati in joint venture tattiche o strategiche per contrastare i nuovi produttori emergenti (Corea, Russia e Cina). Oltre alle opportunità di sviluppo commerciali dirette, vi sono però implicazioni più sensibili per la delicatissima filiera ecologico-industriale a valle. Infatti Areva detiene materiale combustibile proveniente dalle centrali nipponiche e riprocessato secondo tecnologie francesi, attualmente stoccato in attesa di un improbabile ritorno in Giappone. Per sbloccare il quale si sono mosse le autorità diplomatiche, francesi e britanniche (anche la Gran Bretagna è interessata al flusso di materiali).

Il recupero del combustibile esausto, ovviamente, subirà uno stop se non vi è orizzonte temporale certo di reimpiego e diventerà «rifiuto» da stoccare. Se si aggiunge a questo quadro una Germania che, nel prossimo decennio, chiuderà i suoi impianti (a meno di ripensamenti), è chiaro che l’Europa si trova di fronte a una sfida tecnologica di non poco conto: non più recuperare, ma raccogliere, trasportare, smaltire e stoccare definitivamente quello che residua dalla gigantesca industria elettronucleare. Nel settimo Situation report della Commissione europea sulla gestione dei rifiuti radioattivi (2011) viene sottolineata l’assenza di una «politica di gestione del combustibile esausto» in molti paesi, la mancanza di impianti per lo smaltimento del combustibile esausto «rifiuto» vetrificato e inutilizzabile, e la necessità di raddoppiare entro il 2020 le capacità di stoccaggio in superficie (per i rifiuti a bassa radioattività) e in profondità (per quelli ad alta radioattività), proprio in vista del massiccio decommissioning delle centrali.

La direttiva 2011/70/Euratom spinge alla razionalizzazione di attività e flussi che sono stati per lungo tempo dispersi (come i rifiuti di laboratorio e radiografici), in parte protetti da prassi nazionalistiche e di difesa tecnologica. Il quadro nazionale continua a essere importante, tanto è vero che, a questo livello, dovrà essere adottato un «piano scorie» entro agosto 2013, ma sarà premiante solo se potrà fornire una risposta all’avanguardia.

È qui che può entrare in gioco, secondo Davide Tabarelli di Nomisma Energia, una capacità italiana specifica presente da tempo nei laboratori e nei centri di ricerca pubblica, e da tempo impegnata nella gestione della nostra eredità nucleare. Non avendo sviluppato propri grandi gruppi nella generazione, l’Italia ha potuto concentrarsi sulla gestione di un’eredità energetica e ambientale che, forse, non sarà solo nazionale, ma globale: una sfida difficilissima, ma affascinante, per il sistema-paese.

* da: www.formiche.net