Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  settembre 19 Mercoledì calendario

Messico, fuga di massa dal carcere L’ultima evasione dei criminali star - Alzi la mano chi, da piccolo, giocando a guardie e ladri, ha mai accettato volentieri di stare dalla parte delle guardie

Messico, fuga di massa dal carcere L’ultima evasione dei criminali star - Alzi la mano chi, da piccolo, giocando a guardie e ladri, ha mai accettato volentieri di stare dalla parte delle guardie. E rialzi la ma­no chi, vedendo Fuga da Alcatraz o Fuga di mezzanotte , non ha par­teggiato per gli evasi, sempre belli e simpatici, al cinema, piuttosto che per il crudele direttore della prigione; che quando non è crude­le, sempre al cinema, è proprio un grandissimo bastardo; come Sa­muel Norton, interpretato dal br­a­vissimo Bob Gunton in Le ali della libertà , filmone con Tim Robbins e Morgan Freeman. Se ce ne siano, di belli e simpati­ci, fra i 130 che se la sono filata l’al­tra­notte dal carcere di Piedras Ne­gras, nello stato messicano di Co­ahuila, a ridosso della frontiera col Texas, non sappiamo. Trattan­dosi di fatto vero, e non di finzione cinematografica, è più probabile che fossero tutti dei gran pezzi di malacarne che stavano bene dove stavano. Certo è una storia che sembra pensata, anche questa, da un grande sceneggiatore di Hol­lywood. E anche in questo caso vien voglia di parteggiare istintiva­mente per loro, gli evasi, invece che per le guardie, tonte o corrot­te, quando non sono l’una cosa e l’altra. Una fuga di massa come rara­mente se ne sono viste, da questa e da quella parte dell’oceano. Niente elicotteri, niente dinami­te, nessuno spargimento di san­gue. Solo il vecchio, intramontabi­le, affidabile sistema della talpa. Un tunnel di circa un metro e 20 di larghezza, a una profondità di qua­si tre metri, lungo sette. Un gioco da ragazzi. «Un tunnel che si apri­va dove prima si trovava l’officina di falegnameria-ha spiegato piut­tosto mogio un funzionario della Procura locale- e portava fino a una delle torri del perimetro del carcere, che guarda a nord. Una volta lì hanno tagliato la recinzio­ne e sono usciti uno a uno». Non è la prima volta. E non sarà l’ultima. Del resto, in carcere ci si sta solo per il gusto di evaderne. E se anche è impossibile (ultima­mente le «guardie» si sono piutto­sto attrezzate) val la pena di passa­re le giornate a sognare una fuga rocambolesca attraverso i condot­ti della fogna o scavalcando mura e fili spinati. Non c’è passatempo migliore. John Dillinger, per esempio, non pensava ad altro. Fece dentro e fuori dal carcere, il vecchio John, finché non lo schiaffarono nel car­cere di Lima, in Ohio. Sembrava una tomba perfetta, e invece la sua banda lo liberò, uccidendo lo sceriffo Jessie Sarber. Lo riprese­ro, e lui scappò di nuovo finché lo misero in un carcere «a prova di evasione» nello stato dell’India­na. Da cui scappò fabbricandosi un mitra di legno e dipingendolo di nero, per dargli verosimiglian­za, col lucido da scarpe. Evasione classica fu quella di Giacomo Casa­nova, fra il 31 ot­tobre e il primo novembre 1756. Via per i tetti, attraverso un buco nel sof­fitto praticato da un compa­gno di sventu­ra, il frate Mari­no Balbi. Ma qui siamo nel romanzesco puro. È col cinema, anzi, col «cine­mascope », che le grandi evasioni regalano suspense,diventano«ge­nere » e conquistano larghe platee di appassionati che non hanno dubbi da quale parte stare. Frank Morris e la sua mitica Fu­ga da Alcatraz, per esempio. O Feli­ce Maniero, re della «mala del Brenta». O Renato Vallanzasca, il «re della Comasina», per venire a qualche celebrità di casa nostra. La prima volta che «il bel Renè» scappò era il 1972. Si iniettò urine per via endovenosa, ingerì uova marce e inalò gas propano per far­si ricoverare in ospedale, da dove scappò grazie a un secondino che guardava dall’altra parte.Otto an­ni dopo scappò da San Vittore. Lo ripresero e lo imbarcarono su una nave diretta al supercarcere del­l’Asinara. Ma lui se la filò attraver­so un oblò del traghetto. Fu l’ulti­ma volta. Perché poi c’è sempre un’ultima volta. E l’ultima volta, in genere, dura insopportabil­mente a lungo.