Luciano Gulli, il Giornale 19/9/2012, 19 settembre 2012
Messico, fuga di massa dal carcere L’ultima evasione dei criminali star - Alzi la mano chi, da piccolo, giocando a guardie e ladri, ha mai accettato volentieri di stare dalla parte delle guardie
Messico, fuga di massa dal carcere L’ultima evasione dei criminali star - Alzi la mano chi, da piccolo, giocando a guardie e ladri, ha mai accettato volentieri di stare dalla parte delle guardie. E rialzi la mano chi, vedendo Fuga da Alcatraz o Fuga di mezzanotte , non ha parteggiato per gli evasi, sempre belli e simpatici, al cinema, piuttosto che per il crudele direttore della prigione; che quando non è crudele, sempre al cinema, è proprio un grandissimo bastardo; come Samuel Norton, interpretato dal bravissimo Bob Gunton in Le ali della libertà , filmone con Tim Robbins e Morgan Freeman. Se ce ne siano, di belli e simpatici, fra i 130 che se la sono filata l’altranotte dal carcere di Piedras Negras, nello stato messicano di Coahuila, a ridosso della frontiera col Texas, non sappiamo. Trattandosi di fatto vero, e non di finzione cinematografica, è più probabile che fossero tutti dei gran pezzi di malacarne che stavano bene dove stavano. Certo è una storia che sembra pensata, anche questa, da un grande sceneggiatore di Hollywood. E anche in questo caso vien voglia di parteggiare istintivamente per loro, gli evasi, invece che per le guardie, tonte o corrotte, quando non sono l’una cosa e l’altra. Una fuga di massa come raramente se ne sono viste, da questa e da quella parte dell’oceano. Niente elicotteri, niente dinamite, nessuno spargimento di sangue. Solo il vecchio, intramontabile, affidabile sistema della talpa. Un tunnel di circa un metro e 20 di larghezza, a una profondità di quasi tre metri, lungo sette. Un gioco da ragazzi. «Un tunnel che si apriva dove prima si trovava l’officina di falegnameria-ha spiegato piuttosto mogio un funzionario della Procura locale- e portava fino a una delle torri del perimetro del carcere, che guarda a nord. Una volta lì hanno tagliato la recinzione e sono usciti uno a uno». Non è la prima volta. E non sarà l’ultima. Del resto, in carcere ci si sta solo per il gusto di evaderne. E se anche è impossibile (ultimamente le «guardie» si sono piuttosto attrezzate) val la pena di passare le giornate a sognare una fuga rocambolesca attraverso i condotti della fogna o scavalcando mura e fili spinati. Non c’è passatempo migliore. John Dillinger, per esempio, non pensava ad altro. Fece dentro e fuori dal carcere, il vecchio John, finché non lo schiaffarono nel carcere di Lima, in Ohio. Sembrava una tomba perfetta, e invece la sua banda lo liberò, uccidendo lo sceriffo Jessie Sarber. Lo ripresero, e lui scappò di nuovo finché lo misero in un carcere «a prova di evasione» nello stato dell’Indiana. Da cui scappò fabbricandosi un mitra di legno e dipingendolo di nero, per dargli verosimiglianza, col lucido da scarpe. Evasione classica fu quella di Giacomo Casanova, fra il 31 ottobre e il primo novembre 1756. Via per i tetti, attraverso un buco nel soffitto praticato da un compagno di sventura, il frate Marino Balbi. Ma qui siamo nel romanzesco puro. È col cinema, anzi, col «cinemascope », che le grandi evasioni regalano suspense,diventano«genere » e conquistano larghe platee di appassionati che non hanno dubbi da quale parte stare. Frank Morris e la sua mitica Fuga da Alcatraz, per esempio. O Felice Maniero, re della «mala del Brenta». O Renato Vallanzasca, il «re della Comasina», per venire a qualche celebrità di casa nostra. La prima volta che «il bel Renè» scappò era il 1972. Si iniettò urine per via endovenosa, ingerì uova marce e inalò gas propano per farsi ricoverare in ospedale, da dove scappò grazie a un secondino che guardava dall’altra parte.Otto anni dopo scappò da San Vittore. Lo ripresero e lo imbarcarono su una nave diretta al supercarcere dell’Asinara. Ma lui se la filò attraverso un oblò del traghetto. Fu l’ultima volta. Perché poi c’è sempre un’ultima volta. E l’ultima volta, in genere, dura insopportabilmente a lungo.