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 2012  settembre 20 Giovedì calendario

UN ITALIANO SU TRE VIVE CON I GENITORI

Il fenomeno del familismo esasperato italiano, fotografato dal Censis, è sicuramente aggravato dalla crisi economica attuale ma esso ha anche radici sociali e antropologiche lontane. Il Censis ha accertato che il 31% degli italiani abita con la mamma e il 42% abita in una casa che, al massimo, dista 30 minuti a piedi dalla casa dei genitori. Sono coinvolti in questi comportamenti (sia pure, ovviamente, in percentuali minori) persino gli italiani che si trovano nella fascia di età fra i 45 e i 64 anni (l’11,8% coabita e il 58,5% abita in prossimità dei genitori o di ciò che resta del nucleo famigliare di origine). Da queste cifre salta fuori l’immagine di un paese che, negli anni della mondializzazione affermata, crescente ed inarrestabile, si comporta ancora come se fosse un paese vetero-rurale, alla Mulino Bianco, per rendere l’idea. Un’immagine, questa, che ha fatto il suo tempo persino nella pubblicità. Gli italiani, nei loro rapporti con lo spazio, assomigliano più a dei vegetali (che sono bloccati nella zona dove sono nati da radici inestirpabili) che non degli esseri umani che invece tendono a spostarsi laddove ci sono situazioni nelle quale essi possano più facilmente realizzarsi. Il dato ancor più significativo, oltre a quello della coabitazione, è quello della residenza a non più di trenta minuti, nemmeno di macchina, ma a piedi, dall’abitazione dei genitori. Gli italiani, insomma, sono restii ad allontanarsi dal loro nido e, se possono, preferiscono non prendere il volo. Un tempo, si piangeva, a ragione, sui poveri emigrati con la valigia di cartone che lasciavano l’Italia per ficcarsi nelle miniere del Centro Europa (una vera dannazione), ma adesso si piange anche sulla cosiddetta «fuga dei cervelli» anche quando i nostri giovani ricercatori, «fuggendo» (come si preferisce dire con il fazzoletto in mano) vanno invece a studiare nei centri di eccellenza internazionale che hanno delle basi fisiche ma che anche non hanno più confini. L’italiano di successo di oggi ha per orizzonte il mondo. Sono sempre stupito a vedere le scuole tipo Wall Street Institute o British Council nei più sperduti posti del mondo con i loro docenti madre lingua venuti da paesi anglofoni. Se la lingua italiana fosse internazionale come l’inglese, quanti giovani italiani sarebbero disposti ad andarla a insegnare (come fanno, senza sforzo, i loro coetanei inglesi o americani) a Nuova Dehli, al Cairo, a Nairobi, a Jacarta, nel Borneo o in Nuova Zelanda? Nessuno, statene certi. O solo qualche matto. Preferiscono languire nel loro paese o nel loro quartiere, in attesa di un futuro che non verrà.