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 2012  settembre 18 Martedì calendario

Abu Omar, la Cia affossa il processo - Abu Omar, atto finale. C’è grande, grandissima atte­sa oltreoceano per l’ulti­mo capitolo della saga processua­le che ruota intorno al misterioso sequestro, il 17 febbraio 2003 a Mi­lano, dell’ex imam Abu Omar

Abu Omar, la Cia affossa il processo - Abu Omar, atto finale. C’è grande, grandissima atte­sa oltreoceano per l’ulti­mo capitolo della saga processua­le che ruota intorno al misterioso sequestro, il 17 febbraio 2003 a Mi­lano, dell’ex imam Abu Omar. Vi­cenda che oltre ad aver azzerato (quanto a fiducia) i già complicati rapporti di intelligence fra la Cia e i nostri servizi segreti, ha prodotto ferite «politiche» fra le due ammi­nistrazioni a tutt’oggi non ancora rimarginate. E il nervosismo, inu­tile negarlo, in queste ore è altissi­mo negli States. Domani infatti la quinta sezione della corte di Cas­sazione, presieduta da Gaetanino Zecca, dopo un lungo rinvio fina­lizzato a riflettere meglio proprio sulle posizioni degli «americani», dovrà dire se gli agenti Cia (e del Si­smi) devono pagare per il rapi­mento illegale di un cittadino stra­niero secondo la pratica delle ex­traordinary rendition . E soprattut­to dovrà stabilire se il processo a lo­ro carico si è svolto correttamen­te, con giustizia, con tutte le garan­zie per imputati contumaci. In ca­so contrario, occorrerà rifare tut­to daccapo col rischio della pre­scrizione in agguato a febbraio 2013. Ipotesi, quest’ultima, nem­meno tanto peregrina stando alla clamorosa richiesta del luglio scorso del pg Oscar Cedrangolo, che evidenziando un «difetto di notifica» ai difensori degli 007 di Langley durante il processo di pri­mo grado - che ha visto gli agenti condannati a sette anni di carce­re, nove per il capo Robert Seldon Lady - ha chiesto l’annullamento con rinvio. Stessa richiesta avan­zata per i proscioglimenti dell’ex direttore del Sismi, Nicolò Pollari, del suo vice operativo, Marco Mancini, e di tre capicentro, con conferma delle condanne dei fun­zionari Pio Pompa e Luciano Se­no. Lo stesso presidente Zecca, per sua stessa ammissione, era rima­sto molto colpito da quanto espo­sto dalle avvocatesse Alessia Sor­gato e Matilde Sansone riguardo al fatto che in Cassazione si era fin lì parlato solo di segreto di stato e poco dei 23 agenti Cia (tre sono fuori perché coperti da immuni­tà). Tanto da decidere di non en­trare subito in camera di consiglio ma di rimandare di mesi la senten­za su una materia così complessa, proprio per valutare le posizioni degli indagati statunitensi. I due difensori degli agenti Cia avevano sollevato il problema del­la «palese e grande ingiustizia» processuale per i loro assistiti, messi tutti in un unico frullatore, senza distinzione di ruoli e di con­dotte, in barba all’assioma della «personalità» della responsabili­tà penale, eppoi condannati indif­ferentemente, in gruppo, come se «non fosse importante stabilire ciò che per i giudici d’appello im­portante non è: “ sapere chi ha fat­to che cosa“... ». Condannati peral­tro, hanno insistito le due legali, sulla base di notifiche irregolari, perché inoltrate a «latitanti» che in realtà- secondo le difese e il pg­latitanti non erano, essendo inve­ce semplicemente residenti al­l’estero, ovvero negli Usa, dove tutti vivono abitualmente. Lo sta­tus di latitanti ai 23 agenti Cia l’ave­va dato il gip di Milano, basandosi su un verbale di vane ricerche del­la digos, che però aveva «cercato» gli americani sol­tanto in Italia, in particolare negli ho­tel in cui avevano sog­giornato due anni prima. E a quel punto, si è proceduto con la notifica di ogni atto ai difensori d’ufficio.Il problema è che secon­do Sansalone (che difende alcuni dei presunti «preparatori» del se­questro, condannati con appena due paginette in sentenza) non c’era alcuna intenzione volonta­ria di sottrarsi alla legge, tanto che 5 dei suoi assistiti avevano lascia­to l’Italia prima ancora del seque­stro di Abu Omar: per il legale non erano insomma fuggiti sapendo di aver commesso un reato, erano semplicemente tornati a casa pro­pria, e nessuno li aveva mai cerca­ti lì. La Sorgato, poi, aggiunge un elemento che dimostrerebbe l’im­plausibilità dello status di latitan­te: «La prova che non li hanno mai cercati è che io, con una banale raccomandata, ho scovato uno dei miei clienti, Vincent Fardo, a casa sua». Anche per l’agente Sa­brina De Sousa, che all’epoca lavo­rava al consolato di Milano e che è stata condannata per il sequestro pur non avendovi partecipato in prima persona, il pg ha chiesto l’annullamento ipotizzando una violazione dei diritti di difesa nel­la fase iniziale del processo. E fra le varie «anomalie» investigative l’avvocato Dario Bolognesi rimarca come l’accusa abbia visto nella De Sousa una protago­nista del rapimen­to pilotato tant’è che sarebbe sta­ta inviata dall’am­basciata di Roma al consolato di Mi­lano apposta per mettere a punto il se­questro: «Abbiamo dimo­strato che la mia assistita è stata trasferita a Milano prima dell’11 settembre 2001, quindi ben pri­ma dell’inizio della nuova legisla­zi­one antiterrorismo e delle cosid­dette extraordinary rendition, di cui nel 2003 è rimasto vittima Abu Omar». In ballo,oltre all’onore,anche il portafogli: un milione e mezzo di euro di risarcimento all’imam e al­la sua signora.