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 2012  settembre 17 Lunedì calendario

L’ascesa di Cesa il ventriloquo da 30 anni all’ombra di Casini - Mancò poco, dieci giorni fa alla Festa dell’Udc di Chianciano, che il segre­tario, Lorenzo Cesa, non cadesse in catalessi

L’ascesa di Cesa il ventriloquo da 30 anni all’ombra di Casini - Mancò poco, dieci giorni fa alla Festa dell’Udc di Chianciano, che il segre­tario, Lorenzo Cesa, non cadesse in catalessi. Quando udì la platea osannare Emma Marcegaglia al­l’urlo - «dopo Cesa, Marcega­glia »-si chiese «e mo’che faccio?» e si sentì mancare. Che ne sareb­be di lui, infatti, se per fare posto a Emma, dovesse perdere la poltro­na di segretario? Chi saprà più del­la sua esistenza? Come potrebbe compiacere Pier Ferdinando Casi­ni, esserne il ventriloquo e servir­lo come fa da trent’anni se perdes­se la carica che glielo consente? Il momento peggiore è stato quando ha scorto il suo idolo alza­re il braccio di Marcegaglia nel se­gno della vittoria, quasi a confer­ma di un futuro passaggio delle consegne. È lì che Cesa fu per sve­nire e già cercava lo spiazzo dove cadere senza farsi male, quando vide Casini fargli un segno che di­ceva: «Tranquillo. È tutta scena. Lo faccio per ingraziarmi il pubbli­co e conquistare l’abbraccio di questa sciocchina (e in quell’atti­mo Emma gettò le braccia al collo di Pierferdy, ndr ). Nessuno ti sof­fierà il posto. Mi servi troppo per dire le quisquilie che ti metto in bocca e che io mi vergognerei di di­re. Col cavolo che ti mollo». E Lo­renzo ritrovò il sorriso. Cesa è segretario dal 2005. Pre­se il posto di Marco Follini che ab­bandonava l’Udc per il Pd, spez­zando il trinomio che - come ve­dremo - da decenni componeva con Casini e Cesa. In sette anni, Lo­renzo ha detto tutto quello che Pierferdy ha voluto fargli dire. So­lo una volta parlò motu proprio . Per arrivare a tanto, ci volle uno shock formidabile. Accadde quando nell’estate 2007 il deputa­to udc, Cosimo Mele, fu beccato con droga ed escort in un hotel ro­mano. Un po’ per giustificare il col­lega e molto per innata insipien­za, Cesa propose un aumento del­la­busta paga dei deputati per por­tare le famiglie a Roma e vincere così le tentazioni indotte dalla soli­tudine. Pensava di avere parlato in coerenza con la linea dell’Udc che, come noto, è inesistente in tutto, salvo che nel ribadire il valo­re della famiglia. Invece, sull’uni­ca iniziativa personale presa in vi­ta sua, si rovesciarono frizzi e lazzi in tale quantità che dovette inter­venire Casini. Fu brutale: «L’in­dennizzo per i ricongiungimenti familiari è una sciocchezza». Co­sì, Cesa capì che era meglio se smetteva di pensare, poiché per fare di testa propria avrebbe dovu­to innanzitutto averne una. Da al­lora, è rimasto fedele al proposito. Cesa, 61 anni, Follini, 58, Casi­ni, 57, si conobbero casualmente poco più che ventenni- a metà de­gli anni Settanta - in un wagon lit di seconda classe. Erano nelle cuc­cette, uno sopra l’altro, e andava­no a un congresso di giovani dc. Lorenzo, veniva dal paese natale, Arcinazzo Romano, in Ciociaria, dove il babbo era sindaco dc. Casi­ni dalla sua Bologna. Follini da Ro­ma dov’è nato e cresciuto. Quella notte - nessuno sa il perché - si le­garono indissolubilmente. Poco dopo, li prese a benvolere un po­tente ottimate veneto, Toni Bisa­glia, che li avviò agli agi di una tipi­ca carriera da Prima Repubblica. Appena laureati, Cesa in Scienze Politiche alla Luiss e Casini in Leg­ge a Bologna, furono piazzati al­l’Efim, carrozzone di Stato. Diven­tarono subito funzionari, cosa che a un mortale capita dopo vent’anni di carriera, e col benefi­cio di andare in ufficio quando gli pareva. La loro vera occupazione era infatti fare i portaborse di Bisa­glia. Follini, il più intellettuale dei tre, finì invece nel Cda della Rai. Quando, come capita, uno di loro s’impanca contro favoritismi e raccomandazioni, ora sapete da che pulpito predicano. Bisaglia, purtroppo, morì cin­quantenne in circostanze miste­riose nel 1984. I tre orfani cercaro­no nuove strade. Si imbatterono in Gianni Prandini, un doroteo bresciano in gran spolvero e più volte ministro. Dobbiamo a lui questo ritrattino del trio: «Erano indivisibili. Bisaglia li chiamava il bello, il bravo, il furbo. Casini, il bello, fui io a piazzarlo da Forlani. Follini, il bravo, andò con De Mita al quale Bisaglia lo aveva racco­mandato prima di morire. Cesa lo tenni io. Ai miei usi infatti si confa­ceva il furbo». Lorenzo, dunque, si accoccolò presso il ministro Prandini prima alla Marina Mercantile, poi ai La­vori Pubblici. Era l’addetto alle tre­sche. Di temperamento timido e impacciato, Cesa all’epoca non spiccicava due parole in croce. Tanto che Prandini, volendo un suo uomo al consiglio comunale di Roma, fece per lui i comizi, te­nendoselo accanto come uno sherpa muto, e riuscendo a farlo eleggere. Lo infilò pure nel Cer, un comitato che distribuiva soldi per le case popolari. Accumulò an­che altre prebende, tanto che gli fu affibbiato il soprannome di Ma­donna di Pompei degli incarichi. A furia di armeggiare, finì però nei guai. Ebbe un primo inciampo co­me consigliere comunale, con un rinvio a giudizio per abuso di uffi­cio. Erano in ballo 90 miliardi di li­re elargiti dal Comune a un’azien­da incaricata di censirne il patri­monio immobiliare. Gli inquiren­ti ci capirono poco e il processo fi­nì nel nulla. Andò peggio quattro anni do­po, nel ’93,quando Cesa rimase in­castrato nello scandalo Anas. Contro di lui fu spiccato mandato di cattura per avere raccolto tan­genti in nome di Prandini. Per qua­rantotto ore, Lorenzo si dette alla macchia. Sfuggì alle ricerche gra­zie agli amici del cuore. Come ha confidato, passò una notte di lati­tanza da Casini, l’altra da Follini. Poi si costituì e fu sbattuto a Regi­na Coeli. Dopo qualche giorno di meditazione, dei sei che trascorse tra le sbarre, collaborò. Pare che il pm gli avesse promesso uno scon­to di pena se faceva il nome di Prandini. Lorenzo non ebbe scru­poli e divenne loquacissimo. «Pre­levai la borsa che mi consegnò l’imprenditore Tal dei Tali conte­nente il denaro e di cui non contai il contenuto.Mi portai nell’ufficio del ministro, nelle cui mani conse­gnai la capiente borsa». Oppure: «Pinco Pallino portò nel mio stu­dio privato una busta contenente il denaro destinato al ministro e da me a questi consegnata senza neppure aprirla». Col miraggio di cavarsela, spiattellò qualsiasi co­sa, inguaiando il ministro e una decina di costruttori per comples­sivi 35 miliardi (lire) di tangenti di cui era stato l’integerrimo posti­no. La prima sentenza arrivò nel 2001. Lorenzo fu condannato a tre anni e tre mesi di sole a strisce, contro il doppio di Prandini che non gli perdonò di averlo chiama­to in causa. Anni dopo Prandini fu assolto, trascinando- suo malgra­do - anche Cesa nell’esito felice. Dopo queste grane, il Furbo la­sciò pro tempore la politica. Fon­dò una società di pubbliche rela­zioni, la Global Media, associan­dosi con una damazza che restò impigliata in una storia di prostitu­zione a Montecitorio con gente dell’entourage di Max D’Alema. Cesa non c’entrava nulla: è solo per dire la iella. Allora, Casini per toglierlo dai guai in cui continua­mente si cacciava, lo riportò nel­l’Udc, gli ficcò una manovella in pancia e prese a usarlo come un gi­radischi per fargli dire quello che vuole lui.