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 2012  settembre 17 Lunedì calendario

BERLUSCONI CI SVELA IL PIANO

Il mosaico comincia a comporsi. Silvio Berlusconi mette sul tavolo le prime tes­sere della campagna elettorale Pdl. Lo fa a bordo della Msc Divina, la nave che sta portando in crociera nel Mediterraneo un fol­to gruppo di lettori de Il Giornale . È riposato, fisicamente in forma, ottimista come da tem­po non lo si vedeva. Ha l’aria e lo spirito di chi vuole combattere fino all’ultimo.Non ipoteca il suo futuro personale, farà - dice - quello che sarà più utile per il Pdl e per il Paese. In campo, comunque, è in campo con un obiettivo ambi­zioso che forse va oltre il Pdl. Non parlava in pubblico da mesi. Ieri è stato un fiume in pie­na. Oltre due ore di chiacchierata nella quale ha ricostruito la storia della sua vita di ragazzo tutto fare diventato imprenditore e poi politi­co. Fino ai giorni nostri e a quelli che verranno. Ecco alcuni passaggi dell’intervista.
Presidente Berlusconi, partiamo dagli ini­zi. La discesa in campo. Come avvenne?
«Scendemmo in campo con Forza Italia e, in due mesi, con degli alleati, la Lega al Nord e Al­leanza nazionale al Sud, avemmo la responsa­bilità di governare il Paese. Governammo per nove mesi, poi si scatenò la magistratura, mi mandarono un avviso di garanzia proprio in un momento di visibilità mondiale. Ero a pre­sied­ere a Napoli un vertice internazionale pro­mosso dalle Nazioni Unite sulla criminalità in­ternazionale.
L’avviso di garanzia mi venne trasmesso tramite il Corriere della Sera , pur es­sendo invece una cosa che doveva essere asso­lutamente riservata. Piombò come un colpo di clava su di noi e Scalfaro chiamò Bossi e gli disse: “Il tuo compagno di cordata è caduto nel burrone. Se non ti liberi da lui finirai nel burrone anche tu”. Bossi gli credette, la mag­gioranza venne meno, noi ci dimettemmo. Lì Casini e Fini, che sono dei professionisti della politica e non guardavano al bene dell’Italia ma solo a se stessi, decisero di non dare vita a un governo di transizione. E quindi andammo alle elezioni ancora divisi da Bossi».
E alle urne vinse il centrosinistra...
«Consegnammo per cinque anni il Paese al­la sinistra. Ci fu Prodi, Amato, ci furono quattro governi diversi in cinque anni che cancellarono anche quello che aveva­mo fatto di buono in nove mesi. Poi noi vin­cemmo le Regionali costringendo D’Ale­ma alle dimissioni e nel 2001 ottenemmo un grande risultato che ci permise di gover­nare dal 2001 al 2006».
Cosa successe in quella strana notte del­lo spoglio elettorale del 2006? Ce lo rac­conta?
«Facemmo una grande campagna elet­torale e stavamo vincendo, venne da me il ministro dell’Interno Pisanu a mezzanot­te dicendo: “Abbiamo vinto per 300mila voti”. Poi si fermarono le comunicazioni da alcune regioni, Campania e Calabria, e la sinistra prevalse per 24mila voti. Trasfor­marono in voti per loro tutte le schede bian­che. Vinsero, ma con una coalizione com­posita, e durarono meno di due anni per cui noi nel 2008 andammo alle elezioni e vincemmo alla grande, e abbiamo gover­nato fino al 14 novembre dell’anno passa­to ».
In totale quasi dieci anni a Palazzo Chi­gi.
«E in questi quasi dieci anni di governo io ho l’orgoglio di dire che abbiamo fatto tan­te cose giuste pur con i limiti che dà a un go­verno questa Costitu­zione. Abbiamo fatto circa quaranta rifor­me. Impostato dall’Al­ta velocità a tantissi­me opere pubbliche. Avevamo dato l’avvio ai lavori per il ponte sullo Stretto, ma la sini­stra, con Di Pietro mi­nistro, ha cancellato il nostro lavoro di cin­que anni in cinque mi­nuti, dicendo che non era un’opera priorita­ria e lo fece perché è un’opera targata Sil­vio Berlusconi».
I cantieri e le grandi opere. Poi?
«Grazie alle nostre ri­forme i ragazzi hanno un anno di libertà, pri­ma c’era la leva obbli­gatoria. Non si fuma più nei locali pubblici, mezzo milione d’italia­ni ha smesso di fuma­re e sono calati i casi di cancro ai polmoni. Poi la riforma dell’univer­sità e della scuola. Una lotta alla criminalità mai messa in campo: inventammo il poli­ziotto, il carabiniere di quartiere usando i sol­dati, che stavano inatti­vi nelle caserme, nei quartieri periferici del­le grandi città. La pa­tente a punti ha porta­to nell’anno successi­vo a 91.700 incidenti in meno».
E uscendo dai confi­ni nazionali, cosa ve­de?
«In politica estera abbiamo fatto miraco­li: l’Italia non contava niente, era in ginoc­chio in Europa di fronte alla Germania e al­la Francia. Io in ginocchio non mi sono mai messo di fronte ai leader di questi due Paesi. Molte volte ho usato il diritto di veto in Europa. Abbiamo rafforzato l’amicizia con moltissimi Paesi, con i Paesi africani del Mediterraneo, Egitto, Tunisia, Libia, Li­bano, e questo ha fatto un grande bene alle nostre imprese che sono praticamente raddoppiate come presenza durante il no­stro governo».
Come ha fatto?
«Già nel ’94, nei vari Paesi, chiedevo agli ambasciatori: quante sono le esportazioni italiane qui? Zero. Quante imprese ci sono qui? Zero. Quante sono le imprese di qui che hanno aperto sedi in Italia? Zero. Con­vocai tutti gli ambasciatori in Italia e dissi: “Voi siete la mano operativa nei vari Paesi dell’industria italiana; da questo momen­to­basta andare ai cocktail con i vostri colle­ghi, siete coloro che devono aiutare le im­prese italiane a diffondere i loro prodotti, cercare dei soci per le imprese italiane, cer­care investitori per farli venire in Italia, cer­care cittadini che vengano a fare i turisti in Italia. E oggi posso dire che gli ambasciato­ri, i consoli italiani fanno questo ed è stato un cambiamento epocale».
Lei è stato accusato in politica estera di praticare la politica del «cucù».
«Ho fatto non la politica del “cucù”,o del­le pacche sulle spalle, come mi hanno ac­cusato di fare, ma ho stabilito con i miei col­leghi un’amicizia non solo cordiale ma af­fettuosa. Per cui è facilissimo trattare le co­se direttamente al telefono».
Ma la storia del cucù di Trieste alla Me­rkel da dove nasce?
«La Merkel aveva avuto il “cucù” da Vla­dimir Putin, che me l’aveva raccontato, e io quindi l’ho bissato per la facilità di rap­porto che avevo con la Merkel che, oltre tut­to, è una mia compagna di partito».
Da dove nascono invece gli attriti con Sarkozy?
«Avevamo un rapporto molto buono ma a un certo momento ce l’aveva con me do­po la nomina di Draghi alla Bce. Io avevo ottenuto il suo voto su Draghi, dopo tutti gli altri colleghi europei, perché pretende­va una continuazione del suo presidente francese, ma gli facemmo capire tutti che non era il caso. Lui chiese giustamente che il nostro Bini Smaghi si dimettesse per con­sentire l’elezione di un francese. Io garan­tii. Ma Bini Smaghi oppose una resistenza forsennata. Resistette, resistette, resistet­te e alla fine si dimise in tempo perché io potessi mantenere la promessa. Ma Sarkozy si rivolgeva a me come se io non avessi mantenuto la parola. Addirittura una volta ci incontrammo fuori dal Consi­glio europeo, gli tesi la mano e lui la scartò. Una persona in cui l’arroganza vince sul­l’intelligenza. E i francesi l’hanno capito».
Uno dei grandi temi di oggi è l’Europa,e la crisi dell’euro. Da dove nasce?
«Facendo l’Europa, i Paesi sovrani han­no ceduto all’Europa un loro fondamenta­le diritto, il diritto a stampare moneta,l’ab­biamo dato alla Banca centrale europea e i Paesi che hanno ereditato dal passato dei debiti importanti, incutono timore negli investitori perché il fatto di non stampare moneta ha esposto e espone il debito so­vrano alla possibilità di un default, alla pos­sibilità di un fallimento».
E il debito italiano è altissimo...
«Noi abbiamo il 120% del debito rispetto al Pil, il Giappone ha il 238%, ma riesce a collocare i titoli del debito pubblico al­l’ 1%, come mai? Perché chi investe è sicu­ro che al momento del rimborso avrà i suoi soldi perché la banca giapponese può stampare nuova moneta. Svaluta la mone­ta nel suo complesso, ma la svalutazione è di cifre piccolissime. Chi può stampare moneta non crea ipotesi di rischio, paura, timore negli investitori».
Ma il ruolo di Berlino è decisivo in que­sto senso.
«La Germania, invece, per il timore del­l’inflazione che le deriva dalla Repubblica di Weimar, non consente che la Bce si assu­ma il rischio dei debiti pubblici dei Paesi e che batta euro in più. E questo è un matto­ne che pesa sullo sviluppo europeo in una maniera tragica».
Chi può far diminuire lo spread?
«L’Europa. Ed è nato un nuovo ente eu­ropeo: l’Esm,cioè il fondo d’aiuto per con­trastare lo spread. Ma ha delle regole che difficilmente lo faranno funzionare, per­ché bisogna avere la maggioranza del­l’ 80% degli Stati. Se Germania, Finlandia, Polonia non sono d’accordo,non si fa nul­la. Quindi è più che altro un qualcosa fatto intravedere ma sulla cui reale capacità e possibilità di funzionare esistono dei dub­bi grandissimi».
Ci sarà pure un aspetto positivo.
«L’unica cosa positiva è che Draghi ha detto che stamperà moneta per acquistare titoli del debito pubblico quando questi non trovassero investitori privati. Lo spread da 535 è calato a 335, ma è una cosa provvisoria. Non si sa se l’Esm potrà fun­zionare e chi ne usufruirà dovrà sottostare alle indicazioni per la riduzione del pro­prio debito pubblico».
Come le norme sul Fiscal compact?
«Il Fiscal Compat impone ai Paesi che hanno più del 60% del debito pubblico di ridurre del 5% all’anno il debito stesso. L’Italia dovrebbe ridurre il suo debito di 40-50 miliardi ogni anno, cosa assoluta­mente impossibile. Anzi, sarebbe possibi­le se l’economia fosse in crescita, ma se si aumentano pressione fiscale e tasse non si sostiene la crescita e si va verso una reces­sione indefinita».
Invece come dev’essere l’Europa?
«Solidale, deve sostenere i Paesi debito­ri senza imporre delle regole che, anziché favorire la crescita, favoriscono la recessio­ne e quindi l’aumento dei debiti».
Lei è sempre stato contrario al Fiscal compact...
«Quando c’è stato da votare io ho messo il veto dell’Italia e si è interrotta per due ore la riunione. E l’ho detto a Juncker: “L’Italia non può accettare questa riduzio­ne forzata del debito applicando regole che vengono imposte dalla Germania co­me Stato egemone”. Perché il Pil misurato è solo il Pil emerso, ma l’Italia ha purtrop­po un sommerso, soprattutto al Centro e al Sud,che si avvicina all’80%. Si sarebbe do­vuto calcolare il nostro Pil globale. E la no­stra economia non può essere considerata solo per il debito, ma anche per il rispar­mio privato, delle famiglie e delle azien­de ».
Gli italiani sono un popolo di risparmia­tori, non è così?
«Le famiglie italiane sono risparmiatri­ci, l’82% ha una casa di proprietà. Noi ab­biamo 2mila miliardi di debito, ma il no­stro attivo è fatto di quasi 9mila miliardi. Fatto di depositi in banca, investimenti in azioni, capitali delle nostre imprese, ri­sparmi dei nostri cittadini, proprietà im­mobiliari. Noi, sommando il Pil emerso e sommerso e guardando per il debito e atti­vo, siamo la seconda nazione dall’econo­mia più solida in Europa subito dopo la Germania. E non a caso il tenore di vita del­le famiglie italiane è considerato il primo in Europa».
Quindi cosa prevedeva l’accordo rag­giunto sul Fiscal compact?
«Abbiamo trovato con Juncker una for­mula che è stata aggiunta al testo che dice­va: si devono guardare le particolarità di ogni singolo Paese facendo riferimento al Pil emerso al debito pubblico sommato al­le attività del Paese. Lì si è creato il contra­sto con Germania e Francia, succube di Ber­lino ».
Qual è il primo punto di programma per un suo futuro governo?
«Come abbiamo abro­gato l’Ic­i così abroghere­mo subito l’Imu, perché la casa è il pilastro su cui ogni famiglia ha il dirit­to di fondare la propria sicurezza del futuro. E invece voi sapete che la sinistra come primo punto del suo program­ma ha l’imposta patri­moniale anche sui pic­coli appartamenti».
Perché si è dimesso?
«Perché in quel mo­mento esisteva una pres­sione terribile contro di noi che dava tutte le col­pe dell’alto spread al mio governo. Restare al governo sarebbe stato fonte di nuove specula­zioni e non avr­emmo po­tuto resistere con la mag­gioranza che c’era rima­sta.
Abbiamo avuto il tra­dimento da gente che era stata eletta con il sim­bolo del Pdl e con sotto “Berlusconi presiden­te”. Si sono portati di là 36 parlamentari. E alla fi­ne abbiamo avuto il tra­dimento di altri cinque personaggi per cia­scuno dei quali io avrei messo la mano sul fuoco. C’era rimasta una manciata di voti di preferenza,ma continuava l’azione del­l’opposizione nei confronti di nostri. Allo­ra ho preferito fare un atto di responsabili­tà ».
Ma lei è sempre stato dipinto come un dittatore...
«La sinistra mi aveva illustrato come il fondatore di un regime, come un dittato­re, come un despota: ho dato atto, prova di non essere questo, e con senso dello Stato e senso di responsabilità mi sono opportu­namente tirato indietro».
E perché ha scelto di restare in silenzio?
«Da allora non ho fatto più un’intervista né alla televisione né ai giornali. Ma voi avete visto tante frasi di Berlusconi sui gior­nali: nessuna è mia. I giornali hanno preso l’abitudine di titolare anche mettendo tra virgolette delle frasi attribuite a me che io non ho mai detto né tanto meno pensato. Purtroppo non ci si può salvare da questo. I primi due mesi ho fatto 22 agenzie di smentita. Totalmente inutili. Poi ho smes­so e sono stato zitto. Vi chiederete perché sono qui oggi».
Siamo curiosi...
«Non sono andato nemmeno ad Atreju. Per cui oggi è la prima volta. Ho pensato che qui avrei incontrato tante persone che la pensano come me e che sono fedeli alla nostra idea di democrazia e libertà dalla fondazione del Giornale .E siccome il Gior­nale è stata l­a principale e forse l’unica ban­diera di libertà che è sventolata in Italia dal ’92-’93 e anche prima con Indro,ho pensa­to che se ancora ci sono degli abbonati al
Giornale che hanno ritenuto di riunirsi tut­ti insieme per venire qui anche per sentire questa conversazione, per incontrare Sil­vio Berlusconi, io dovevo a loro, e quindi a voi un ringraziamento per questo vostro gesto di vicinanza e di fedeltà ed è per que­sto che sono ultrafelice di essere oggi qui con voi».
Per non inventare virgolettati ci dica co­sa pensa di Angelino Alfano.
«È una persona speciale. Di tutti i politi­ci in campo è il migliore. È una persona di grande e profonda intelligenza, di grandis­sima lealtà, di grandissimo amore per l’Ita­lia. Io gli voglio bene come a un figlio, sono sicuro di essere ricambiato di un amore fi­liale verso colui che lui considera il suo pa­dre nel servizio ai cittadini. È 35 anni più giovane di me e ha portato e porterà un’on­data di freschezza, di gioventù, di novità, nella vita politica italiana».
Anche a sinistra con Renzi si vede una novità...
«Si è verificato un fatto positivo con Ren­zi. Ha cominciato un giro d’Italia con degli interventi che sotto la sigla del Partito de­mocratico portano avanti esattamente le nostre idee. Questo ci fa piacere, perché se accadesse un miracolo e cioè che Renzi vincesse le primarie e fosse lui il leader del Pd si verificherebbe in Italia questo mira­colo: che finalmente il Partito comunista italiano che ha tante volte cambiato nome ma non ha mai cambiato modo e concezio­ne diventerebbe un partito socialdemo­cratico. Quindi tanti auguri a Matteo Ren­zi ».
Quale sarà il suo ruolo?
«Beh, io ho nominato un successore, l’ho presentato come segretario del parti­to. Alfano è stato nominato all’unanimità perché ha la stima di tutti».
Poi cos’è successo?
«È successo che le cose in Italia si sono complicate. È nato il governo Monti. Noi abbiamo dato il nostro voto e la nostra fidu­cia perché riteniamo che il governo oggi abbia il consenso dell’opinione pubblica internazionale. Monti certamente ha que­sto grande merito, dopo che invece il pre­cedente governo e in particolare la mia fi­gura è stata insidiata dal comportamento della Merkel e di Sarkozy».
Ora a Parigi c’è Hollande...
«Purtroppo la Francia è caduta nelle ma­ni della sinistra e Hollande sta cercando di mantenere la promessa elettorale per cui chi guadagna più di un milione verrà tassa­to del 75 per cento. Morale, moltissimi francesi stanno cercando di cambiare resi­denza andando in Svizzera, in Belgio, in Canada, nei Paesi francofoni».
Il panorama politico attuale è confuso. È spuntato anche Grillo...
«È uno straordinario attore comico. È sempre stato bravissimo. Io l’ho avuto in televisione. Lo conosco e ho grande stima per l’attore comico Grillo.E cosa sta facen­do adesso? Sta facendo esattamente lo stesso mestiere che faceva prima. Ha qual­cuno che gli scrive il copione e lui recita con un’adesione totale al copione in tutte le città d’Italia. Io ho visto tre interventi di Grillo, a Gorizia, a Verona, a Palermo. As­soluta identità di tutti gli argomenti. Non solo. Identità delle battute; quelle che sembrano battute inventate, le stesse. Ha detto a Gorizia e a Palermo: “Guarda, non abbiamo più nemmeno gli occhi per pian­gere, guarda che scarpe hai tu, non c’hai nemmeno lestringhe”. E poi su Monti che dice: “Vedo una luce in fondo al tunnel”, lui: “No presidente,non è una luce,è un ra­pido che viene avanti e ci sta investen­do” ».
Nei sondaggi il gradimento di Grillo è al­to. Come mai?
«Io spero che gli italiani che dicono di vo­tare Grillo, che nei sondaggi sono arrivati al 12%, capiscano chi è Grillo. Un attore co­mico da applausi. Che vedano come non ci si improvvisa capaci di gestire una città, una Provincia, una Regione, un Paese. Guardate cosa succede a Parma, un disa­stro ».
Ma la gente forse vuole una politica di­versa...
«Capisco le ragioni di chi vuole una poli­tic­a che non sia portata avanti da professio­nisti della politica che non pensano al be­ne comune ma solo alla loro carriera politi­ca, alla loro ambizione politica. E che quin­di vogliono giustamente facce nuove. Ma non quelle facce lì, con quei propositi scrit­ti sulla sabbia come quelli di Grillo».
Quindi cosa propone?
«Noi dobbiamo cominciare da adesso a raccontare agli italiani come si deve vota­re. Perché se gli italiani vanno verso un vo­to così frazionato, avremo un governo che non potrà fare nulla. Perché la nostra Costi­tuzione dà potere al Parlamento, al capo dello Stato, alla Corte Costituzionale; non al governo. Il presidente del Consiglio non può cambiare un ministro. Per far dimette­re quel ministro deve dimettere tutto il go­verno. E poi c’è il problema della Corte Co­stit­uzionale che non intralcia l’attività legi­slativa ».
Come mai?
«Perché la Corte Costituzionale è forma­ta oggi da 11 membri di sinistra e da 4 del centrodestra. Tre successivi presidenti della Repubblica della sinistra anziché usare la loro prerogativa di nominare cin­que membri per equilibrare, come dice lo spirito delle Costituzione, hanno messo lì cinque uomini appartamenti all’area del­la sinistra. Quindi la Corte Costituzionale oggi non è un’istituzione di garanzia tra le parti, ma è un organismo politico della sini­stra che abroga tutte le leggi che non piac­ciono alla sinistra».
Faccia qualche esempio.
«Per esempio una legge che anche parte della sinistra aveva votato, quella che dice che un cittadino italiano sottoposto a pro­cesso e assolto in primo grado non possa essere più richiamato nel girone infernale delle Corti d’Appello e in Cassazione per­ché con questo gli si rovina la vita per anni. Gli si rovina la vita familiare, gli affetti, la vi­ta sociale, economica, è una persona che non è più uguale alla persona di prima. È una cosa logicissima e civile come succe­de in tutte le grandi democrazie a partire dagli Stati Uniti d’America.Ma questa Cor­te Costituzionale ha abrogato anche una legge così giusta e così civile».
La sua proposta qua­le sarebbe?
«Bisogna cambiare la Costituzione. Per cambiare la Costitu­zione bisogna avere una maggioranza, ma non una maggioranza composita, bisogna avere la maggioranza di un singolo partito. La Costituzione deve essere cambiata, per­ché il primo ministro, come i suoi colleghi dei Paesi occidentali, abbia la possibilità di nominare e revocare i ministri, perché possa a suo giudizio usare il decreto legge imme­diatamente efficace giudicando lui sulla ne­cessità e l’urgenza di un determinato prov­vedimento. E i disegni di legge vanno esami­nati da un solo ramo del Parlamento in un termine massimo di 90 giorni».
Sul presidente della Repubblica qual è la sua proposta?
«L’elezione non va lasciata ai segretari dei partiti, ma il capo dello Stato dev’essere eletto direttamente dai cittadini».
Cosa sarà del suo fu­turo politico, ritor­na in campo?
«Io non sono mai uscito dal campo, in questi mesi ho sem­pre lavorato dalle 7 di mattina alle 2 di notte nella politica e nella mia formazione politi­ca. Il mio futuro dipen­de dalla legge elettora­le.
Se sarà proporzio­nale io potrò avere un certo ruolo, se la legge elettorale sarà qual­cos’altro ancora, con sistemi che mi paiono molto democratici e produttivi perché danno la possibilità di governare, allora potrò decidere quale dovrà essere il ruolo di Silvio Berlusconi che si sente ancora ca­ricato della responsabilità di non conse­gnare la sua Patria, il suo Paese che ama, alla sinistra».