Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  settembre 20 Giovedì calendario

FORZE ARMATE E CRIMINE MEGLIO NON IMPIEGARLE

È stato negato l’invio dell’esercito a Scampia. Al più grande mercato all’aperto dello spaccio della droga, saranno inviate forze di Polizia. Non si capisce perché si è così restii a utilizzare l’esercito! E poi, le forze di Polizie non hanno il loro ben da fare in altre zone d’Italia, anch’esse bisognose di sicurezza? È così dannoso per un Paese servirsi dell’esercito per operazioni non prettamente militari?
Pasquale Mirante
pasmir@alice.it
Caro Mirante,
Sono ormai passati quasi vent’anni da quando nel luglio 1993, dopo l’assassinio di Paolo Borsellino, un corpo di militari fu inviato in Sicilia nell’ambito di una operazione chiamata «Vespri siciliani». Vi furono molte riserve e obiezioni, ma il governo non modificò la sua decisione e l’iniziativa, apparentemente, piacque ai siciliani. Da allora l’impiego dei militari per contrastare la criminalità organizzata è divenuto un tema ricorrente della vita pubblica. Furono impiegati in Calabria, in Puglia, in Campania, con risultati tutto sommato abbastanza positivi, e persino intorno alla Stazione centrale di Milano nel giugno del 2008 per mettere fine a uno stato di violenza diffusa. La presenza dei militari tranquillizza la popolazione, ha una funzione deterrente, assicura parecchi servizi di vigilanza e consente alle forze di polizia di concentrare un maggior numero di uomini in attività d’investigazione e ricerca. Non si comprende d’altro canto perché l’esercito non debba dare una mano ogniqualvolta il governo è costretto ad affrontare situazioni di emergenza. Accade nel caso dei terremoti, delle alluvioni e di altre disgrazie naturali. Perché non dovrebbe accadere quando la pace del Paese è minacciata da mafiosi, camorristi, contrabbandieri e narcotrafficanti?
Non dovrebbe accadere, a mio avviso, perché l’impiego dell’esercito è sempre deciso nella presunzione e nella speranza che i militari debbano limitarsi a presidiare un luogo e a compiere, tutt’al più, qualche limitata operazione di polizia giudiziaria. Sono stati addestrati all’uso delle armi e a operazioni di guerra e guerriglia. Ma il mantenimento dell’ordine in un contesto nazionale esige altre competenze: come tenere a bada una folla ostile, come svuotare una piazza o un incrocio da un gran numero di manifestanti bellicosi, come arrestare i facinorosi, come trattare una persona fermata che si ribella e cerca di scappare, come graduare l’uso della forza a seconda delle circostanze. Quando fu utilizzato nelle grandi emergenze nazionali dell’Ottocento e dei primi anni del Novecento (fra le altre i moti di Palermo nel 1866, i fasci siciliani del 1896, le agitazioni milanesi del 1899, la «settimana rossa» di Ancona del 1914), i corpi militari impegnati per il ripristino dell’ordine agirono militarmente, vale a dire come avrebbero agito sul campo di battaglia. In altre parole la situazione può scappare di mano ancora più facilmente di quanto sia accaduto a Genova nel 2001.
Vi è infine nell’impiego dell’esercito un altro motivo che lo rende sconsigliabile. Può dare al Paese e agli osservatori internazionali l’impressione che il governo abbia le spalle al muro e non sappia a quali altri mezzi ricorrere; qualcosa di simile a ciò che accadrebbe se la Banca d’Italia decidesse di vendere l’oro delle sue riserve.