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 2012  settembre 20 Giovedì calendario

SE IL CALO DEGLI SPREAD DÀ IL «LIBERI TUTTI» QUANDO I PARTITI TIRANO I REMI IN BARCA

Certi segni di un cambio di stagione sono inconfondibili come un’emicrania, o un temporale di fine pomeriggio. Dopo tre anni di oscillazioni fra il panico e la quiete e ritorno, noi europei ormai dovremmo aver imparato a riconoscerli.
Prendiamo gli ultimi in ordine di tempo. Silvio Berlusconi che spiega come toglierà a tutti le tasse sulla casa, perché le regole europee sul bilancio sono sbagliate e noi non ci piegheremo alla Germania. Subito dopo Pierluigi Bersani risponde che anche lui ridurrà le tasse sulla casa (il mese scorso aveva detto che andavano alzate ancora, almeno per i ricchi), mentre nel suo partito si studiano vari modi di smontare e archiviare la riforma del lavoro. E improvvisamente l’urgenza con la quale si discuteva di privatizzazioni sembra evaporata. Fuori dalla cerchia degli addetti, non se ne parla più: non importa che domani il Tesoro rivedrà le proprie stime e il debito pubblico, salvo sorprese, dovrebbe risultare ancora un po’ più alto.
Se poi si allarga lo sguardo, i segnali si avvertono anche altrove nel panorama europeo. Solo il mese scorso la Catalogna aveva chiesto un piano di salvataggio al governo di Madrid; questo mese le piazze della Catalogna sono piene di manifestazioni in nome dell’indipendenza da Madrid. All’inizio dell’estate in Germania montavano le pressioni perché la Spagna si piegasse a un «memorandum» con cui l’Europa ne avrebbe diretto le politiche, in cambio d’aiuti; ora da Berlino filtrano messaggi diretti a Madrid di non affrettarsi, perché il passaggio al Bundestag in vista del via libera al piano rischia di essere faticoso per la cancelliera Angela Merkel. Per parte propria, il governo iberico ha preparato tutto in modo da poter chiedere l’aiuto, ma nel frattempo continua a fingere a oltranza di non averne bisogno.
L’elenco dei segni del cambio di stagione potrebbe continuare. L’unione bancaria, o almeno la vigilanza unica affidata alla Banca centrale europea, sembrava una questione della massima urgenza; a credere ai risultati del vertice di Bruxelles di giugno scorso, sarebbe dovuto partire entro gennaio in modo da poter ricapitalizzare con fondi europei le casse di risparmio spagnole e non caricare il governo di Madrid di nuovo debito. Ora però Francia e Germania non si intendono più sul tipo di vigilanza da affidare alla Bce, e le casse di risparmio tedesche alleate alla politica locale non vogliono l’intrusione di regolatori veramente indipendenti. Anche su questo le decisioni hanno iniziato a slittare. Per ciò che prima sembrava «vitale», sembra esserci più tanta fretta.
Ah, e ci siamo tutti dimenticati di un anniversario. Venti anni fa (il 17 settembre) un’Italia controllata da partiti ormai senza credibilità, con un debito pubblico al 124%, e una competitività da ricostruire, veniva espulsa dal sistema di cambio europeo (lo Sme). Fu un dramma nazionale. Oggi la ricorrenza è passata, ma non un politico o un «esperto» che abbia rievocato quel momento che allora stese un’ombra sul futuro europeo del Paese. Si direbbe quasi che quell’esperienza non ricordi più nulla a nessuno, né contenga lezioni utili adesso.
Forse è che siamo tutti impegnati a tirare un colossale sospiro di sollievo. Lo siamo perché il cambio di stagione che l’Italia, la Spagna e tutta l’area euro stanno vivendo riguarda il passaggio fra il momento prima e il momento dopo che Mario Draghi ha parlato. Le sue parole pubbliche, ancora una volta, sono bastate quasi da sole a sedare il sistema. L’impegno della Bce a interventi «illimitati» sui titoli dei Paesi che accettino di firmare un memorandum ha fatto scendere la febbre dello spread, e con quella la compattezza della politica (in Italia e non solo) nel reagire alla crisi. E se davvero è stato un cambio di stagione, in questi casi c’è sempre qualcosa di nuovo e anche di antico. A ben vedere siamo già passati di qua. Anche fra l’inverno e la primavera scorsi, l’Italia e l’Europa hanno attraversato una sequenza del genere: la Bce lanciò due aste straordinarie di liquidità a tre anni per circa mille miliardi, le banche si finanziarono e comprarono titoli di Stato, gli spread scesero fino circa ai livelli attuali; anche allora molti tirarono un colossale sospiro di sollievo, e il sentiero delle riforme del governo di Mario Monti si fece di colpo pieno di insidie. Non ci sarebbe più stata una riforma passata intatta e in fretta come quella delle pensioni. Sulle liberalizzazioni e il lavoro le mediazioni furono estenuanti, di privatizzare i beni dello Stato non si parlò neanche e i partiti della maggioranza competevano fra loro nel prendere le distanze dalle misure di Monti (che votavano in parlamento).
Il resto della storia è noto. Il crollo della tensione politica dopo quei primi sedativi invernali di Draghi fu pagato caro in primavera dalle imprese in Italia e dai governi in Europa, colti impreparati dal riemergere della febbre. Speriamo solo di non doversi ripetere con cadenza (davvero) stagionale.