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 2012  settembre 19 Mercoledì calendario

“CORSA ALLE INVENZIONI NON SPRECO DI CERVELLI”

Io sono sempre stato un fan di Apple. Da ragazzo la terza settimana di ogni mese andavo davanti alla antica libreria del college che frequentavo in Rhode Island per mettere le mani sulla prima copia del mensile
MacWorld.
Amo i loro prodotti, ma questa guerra dei brevetti non mi piace. E non perché Apple abbia torto, anzi. È chiaro che Samsung ha copiato ed è evidente che il progetto del sistema operativo Android è stato completamente rifatto dopo che a Google hanno visto l’iPhone. Non è questo il punto. Il punto è: anche ammettendo che Apple sia stata derubata della sua proprietà intellettuale dai rivali, questo vuol dire che non trovi conveniente continuare ad investire e innovare sul prossimo telefonino? La risposta è no: persino con quel torto, Apple è diventata in questi anni la compagnia più importante della storia del capitalismo e ciò è avvenuto largamente grazie all’iPhone! Direi che è abbastanza no?». Steven Berlin Johnson, 44 anni, è considerato uno dei grandi guru della innovazione.
È appena passato in Italia, ospite di Expo2015 e Telecom, per lanciare il progetto Changemakers, una gara di innovatori radicali «che possono trovare un ambiente ideale nella rete delle vostre città se saprete creare spazi di coworking dove le persone più brillanti potranno scambiarsi idee liberamente». Il suo penultimo libro,
Where good ideas come from,
una indagine sui meccanismi che favoriscono la nascita delle buone idee, è stato un best seller mondiale. Ieri negli Stati Uniti è uscito l’ultimo lavoro,
Future Perfect,
una analisi, “molto politica”, dedicata a cosa significhi il progresso nell’era di Internet. Con un capitolo sul perché il sistema dei brevetti è da ripensare.
Cosa c’è che non va?
«Queste guerre senza fine sui brevetti sono una tale distrazione, uno spreco di cervelli. Nessuno nega che ci debba essere una qualche forma di ricompensa per la proprietà intellettuale. E non credo che nessuno voglia eliminarla del tutto. Si tratta di capire cosa favorisca l’innovazione e quindi il benessere collettivo. Facciamo un passo indietro. Nel 1765 la Royal Society of Arts, l’istituzione che con il suo sistema di gare a premi è stata una delle grandi leve dell’innovazione, stabilì che chiunque avesse un brevetto era escluso dalle competizioni per inventori. Vietare i brevetti voleva dire che le soluzioni trovate a problemi complessi, come il metodo per calcolare la longitudine, potevano circolare più velocemente e così tutta la società ne avrebbe beneficiato. Era una impostazione tipica dell’Illuminismo. La Royal Society voleva che l’inventore guadagnasse il premio per aver avuto l’idea, ma che questa restasse di tutti».
Quanto è durata questa impostazione?
«Meno di un secolo perché si ritenne che chi aveva una nuova idea doveva avere il tempo di costruirci sopra un’impresa commerciale. Con un brevetto. Ma con dei limiti non solo temporali. Quando si fa il deposito di un’idea, infatti, si consente a tutti di vedere su cosa si è lavorato e questo processo ha delle ragioni. Prima fra tutte: non fermare la circolazione delle buone idee. Ora il punto è che l’equilibrio fra queste due esigenze contrapposte è andato perduto. L’obiettivo ora sembra solo quello di proteggere le idee, ma l’innovazione viene anche
dal connetterle».
Adesso il sistema sta di nuovo entrando in crisi?
«Nell’era di Internet si sta tornando a una impostazione simile a quella della Royal Society: per trovare soluzioni ai grandi problemi del pianeta, dal clima alla malattie, sono sempre più numerose le gare a premi aperte a inventori di tutto il mondo».
Questa cosa non riguarda la sfera commerciale dove le grandi aziende accumulano brevetti come se fossero armi di distruzione di massa. Soltanto sulla tecnologia di comunicazione Lte, Samsung ha più di 800 brevetti, Apple circa 300.
«Tutto ciò è un tale spreco di tempo delle migliori menti di queste aziende. Credo che invece di pensare a sfornare nuovi prodotti, dovrebbero fermarsi un attimo a trovare una soluzione diversa».
Ma se la legge è stata infranta, perché Apple dovrebbe fare finta di nulla?
«Ma Apple può davvero dimostrare di essere stata danneggiata? Certo, poteva diventare ancora più grande ma questo non vuol dire che il sistema non le abbia garantito comunque una serie di incentivi a continuare a innovare. E per dirla tutta, il brevetto sul
pinch&zoom
racchiude un gesto incredibile, fantastico, meraviglioso. Ma siamo sicuri che l’idea di un gesto non debba circolare liberamente? La circolazione delle idee è il più grande motore dell’innovazione».
Apple non difende solo i propri interessi ma anche il proprio modo di innovare che non è esattamente un modo collaborativo e aperto, eppure è vincente.
«Chiariamo. Apple incarna molti valori positivi della innovazione: per esempio l’approccio multidisciplinare ai problemi, il non affidarsi a un singolo specialista. E nonostante sia un circolo molto chiuso, funziona. Io mi chiedo solo se, data l’incredibile posizione che si sono conquistati, non convenga loro dire: è ora di cambiare qualcosa».
Dovrebbe farlo la politica: cambiare le leggi non spetta a Apple.
«Immagino la creazione di una nuova classe di brevetti che consenta in certi campi di partire dall’idea di un altro per costruirci sopra qualcos’altro. Come accade per molti testi sul web grazie alle licenza di Creative Commons. È chiaro che il sistema è in crisi. Un paio di mesi fa c’è stata una sentenza molto importante: l’ha firmata uno stimatissimo giudice federale, Richard Posner, che ha avocato a sé una causa fra Apple e Motorola e ha detto: basta, è ridicolo, qui nessuno ha ragione».
Se lei fosse l’amministratore di Apple, Tim Cook, che farebbe?
«Farei questo. Direi: data la velocità con cui l’innovazione cambia il software, queste idee sono coperte per sei mesi, poi fateci quello che volete. Sei mesi ci bastano per prendere la leadership del mercato. Non succederà mai, ma sarebbe bello se Cook lo facesse».