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 2012  settembre 19 Mercoledì calendario

LA RABBIA DELLE PERIFERIE PRIMA DEI «RAGAZZI DI VITA»

Da sempre imprigionato e svilito da una lettura ideologica delle sue opere Marcello Gallian è uno dei più potenti e purtroppo sconosciuti scrittori italiani. Al di là del personaggio Gallian (che certo merita spazio, ma che troppo spesso ha contribuito ad azzerare il suo valore narrativo), Bassofondo è uno di quei romanzi che hanno contribuito a fare la storia della letteratura italiana. Malgrado del suo nome non ci sia traccia nella maggior parte dei manuali scolastici, Gallian ha fatto scuola: raccontando per primo, e proprio in questo libro, la «gioventù selvaggia ».
Molto prima dei «ragazzi di vita» di Pasolini sin dal 1935 (data di pubblicazione del romanzo), Gallian riesce a entrare nella psicologia di quella «gioventù selvaggia»: una generazione portata alla disperazione da un precariato esistenziale ben lontano, ad esempio, dalle tensioni (im)morali che negli stessi anni animavano la «Generazione Perduta» raccontata da Hemingway o Francis Scott Fitzgerald. Nelle pagine di Gallian ci sono passaggi di una contemporaneità spaventosa, quasi profetica. Come quando, a pagina 109, leggiamo che col tempo abbiamo «imparato a sentire la necessità dei circhi, per poi condannare a morte, dopo aver molto riso, i pagliacci». Una frase immensa, quasi una radiografia dei nostri tempi: una sconvolgente «anteprima» di quella «società dello spettacolo» di debordiana memoria nella quale tutti noi siamo oggi condannati a vivere. La farsa della recita quotidiana del vivere che Gallian, tra una parata fascista e l’altra, intuisce e descrive raccontando i confini del più niente della periferia romana.
In quel «bassofondo» si muovono i due protagonisti del romanzo: il sedicenne Giovanni Battista Timorato di Dio e la più che attempata commerciante Lisa Matrona, due figure che sin dai loro nomi rappresentano la vita come in una messa in scena teatrale (Gallian è stato anche un prolifico e stimato sceneggiatore). Eppure lo scrittore spariglia subito le carte e sin dalle prime pagine del libro sconvolge i luoghi comuni narrativi e morali, soprattutto di quell’epoca. Giovanni e Lisa si conoscono nella bottega di merciaia di lei e subito iniziano una relazione d’amore violenta e brutale. Quasi un rapporto sadomasochista, oggi tanto di moda nei libretti da classifica, ma dove non si intuisce chi è la vittima e chi il carnefice.
Attraverso questo rapporto, che mantiene anche un’alta tensione erotica in tutte le pagine, Gallian riesce con il massimo risultato a coinvolgerci nel gioco di ruoli di una società di degrado e non solo perché di periferia.
Tra i vicoli «violenti come una rivoluzione» Giovanni è un antesignano dei «ragazzi di vita» di Pasolini o dei borgatari di Walter Siti. I «valori» di quella «gioventù selvaggia» cominciano a essere i nostri. Il tentativo di resistere alla deriva consumista, di sacrificare l’essere per l’apparire, inizia proprio in quegli anni a mostrare i primi segni di cedimento. Molto prima del «boom economico» Gallian intuisce come ogni rivoluzione, personale o ideologica, possa spegnersi davanti al conformismo della comodità. Attraverso le rocambolesche vicende del protagonista Giovanni Timorato di Dio pagina dopo pagina vediamo affievolire nel ragazzo ogni barlume di vita (rivoluzionaria).
Giovanni rappresenta chi «ha avuto tutti gli schiaffi di una generazione che la guerra ha cercato di mutare» eppure finisce, lui ardito e fiero, a morire metaforicamente tra le miserie del quotidiano nel tentativo di un’arrampicata anche sociale nella vita del pur malfamato quartiere. Una trasformazione anche fisica: grasso, bolso, annoiato, «stravaccato sulla branda del bordello che gli era stata concessa» a fare il mantenuto di Enrichetta pur in una doppia morale, apparentemente assurda, di benpensante.