Andrea Scaglia, Libero 18/9/2012, 18 settembre 2012
FIDO BANCARIO LA TASSA KILLER DELLE IMPRESE
Tanto per usare la formula da titolo: emergenza fidi per artigiani e piccole e medie imprese. O meglio, se si preferisce la battuta: li stanno prendendo per i fidi. Allora, vediamo di chiarirci e spiegare: l’imprenditore con cui parliamo ha due ditte nel Nordest, lavora nel campo degli impianti elettrici, è un associato di Confartigianato Treviso. E ci illustra quel che sta accadendo, per la verità non risparmiando stoccate al sistema bancario: «In sostanza, visto il periodo di crisi, le banche non prestano più denaro alle imprese, sia perché considerato troppo rischioso e sia perché le stesse imprese non sono attualmente nelle condizioni di poter chiedere prestiti. E però in questo modo gli istituti di credito non possono più contare sugli utili legati per l’appunto a prestiti e mutui. Ragion per cui operano per recuperarli in altro modo, aumentando il costo delle commissioni e dunque facendoli ugualmente sborsare alle aziende. Soprattutto alle piccole, che non hanno potere contrattuale e dunque non possono rifiutare».
Sì, ma in che modo?
«Applicando una commissione su un importo accordato e che però può anche non essere utilizzato, la cosiddetta “anticipazione crediti”, che può essere pari al 2 per cento su base annua».
SPESE MOLTIPLICATE
Ci può spiegare meglio?
«Allora, fino all’anno scorso pagavamo le commissioni soltanto sul fido di cassa, quello che puoi utilizzare - diciamo così - “andando sotto” e che dopo averlo concordato all’apertura del conto resta sempre a tua disposizione».
Almeno fino a quando non t’intimano di rientrare...
«Sì, ecco. Ma comunque, in quel caso puoi disporre di quei soldi e farne quel che vuoi, per poi naturalmente pagarci gli interessi. Adesso però hanno cominciato ad applicare una commissione anche sul fido per anticipazione crediti, quello che qualcuno chiama “anticipo fatture”o“salvo buon fine”: per dire, io presento in banca delle fatture che incasserò fra due mesi, e l’istituto mi riconosce il credito corrispondente. La differenza è che del fido di cassa io posso farci ciò che voglio, mentre in questo caso è legato a quella determinata fattura e a quella determinata azienda, e dunque la banca può anche non riconoscermela, magari perché non si fida dell’azienda in questione o perché non ha liquidità. Comunque è a sua discrezione».
Ed è questa una modalità molto utilizzata dalle imprese.
«Ma certo. Per esempio, io posso contare su 500mila euro di accordato, vale a dire posso in teoria presentare fatture fino a quella cifra. E però se ne utilizzo soltanto 200mila mi fanno comunque pagare la commissione su tutta la somma accordata, oltreché gli interessi sui soldi effettivamente utilizzati. Senza contare che, come ho detto, è la banca a decidere se anticiparmi quel denaro o meno».
Come dire che lei paga per un prestito di cui in realtà potrebbe non usufruire, per sua volontà o perché la banca decide di non fidarsi di quella fattura...
«È così. E infatti molte aziende stanno riducendo il fido, con tutte le conseguenze del caso».
Cioè?
«Eh, che è più facile sforare, e a quel punto gli interessi crescono vertiginosamente, arrivando anche al 15 per cento e oltre».
E per lei com’è cambiata la situazione?
«Faccia conto che prima io, in una determinata banca, pagavo 800 euro di commissione, ora in proiezione potrei arrivare a 4mila. E dico in proiezione perché la faccenda ha preso questa piega negli ultimi mesi, diciamo da giugno».
Dopo che il governo ha fissato dei tetti per quest’operazione, di fatto però legittimandola. «E si figuri che persino i funzionari di banca si vergognano di comunicarci il cambiamento...».
Parliamo allora con Antonio Dorella. Lui è direttore di Veneto Garanzie, struttura che si offre come organismo di garanzia fra imprese e banche, in modo che le prime possano accedere al credito. E l’argomento lo conosce bene. «Sì, stiamo parlando della cosiddetta “commissione sulla disponibilità dei fondi”».
Quella il cui tetto, allo 0,5 per cento su base trimestrale e dunque al 2 per cento su base annua, è stato fissato dalle norme approvate dal governo Monti a inizio luglio.
«Esatto. E val la pena di raccontarla da principio, la vicenda». Prego.
COSTI CHE SI SOMMANO
Spiega Dorella: «Allora, una volta c’era la famosa “commissione di massimo scoperto”, quella applicata per l’appunto sulla punta di massimo scoperto relativa al fido nel periodo di riferimento. Per capire: io potevo contare su un fido bancario di 50mila euro, magari utilizzandone mediamente 30mila. E però, magari il penultimo giorno del trimestre, prelevavo altri 1.000 euro, così facendo salire la “punta massima” di utilizzo a 31mila. Ecco, in quel caso pagavo la commissione su 31mila euro».
Ma questa è stata cassata.
«Già. Ora però, con la “commissione sulla disponibilità dei fondi”, io non pago più sull’effettivo utilizzo di quei soldi, ma addirittura semplicemente sul solo fatto che li ho a disposizione. Vuol dire, restando sull’esempio precedente, che se ho un fido di 50mila e ne utilizzo 30 o 31mila, pago comunque la commissione sui 50mila».
Tremendo. «E certo, che è tremendo. A luglio poi il governo ha messo un tetto massimo,che comunque è oggetto di libera negoziazione».
Ma i piccoli e medi imprenditori ci dicono che questa commissione è comunque alta.
«Ci credo. A questo punto era meglio quando si pagava sull’effettivo utilizzo. Senza contare che questo costo va ad aggiungersi a quelli del conto corrente ordinario e agli interessi propriamente detti».
E quali saranno le conseguenze di questa situazione? «Beh, che le aziende stringeranno sui fidi, questo è ovvio, e chissà se alla fine non fosse proprio questo l’obiettivo».
In questo senso, meno male che esistono realtà come la vostra... «
E si figuri che la Regione Veneto ci ha azzerato i fondi. Noi utilizziamo, anzi utilizzavamo soldi pubblici per poter facilitare l’accesso al credito delle imprese, garantendo fino al 50 per cento e oltre della somma, oppure potevano far valere le convenzioni che noi abbiamo stipulato con le banche: solo in provincia di Treviso abbiamo seguito oltre 3mila casi».
Una situazione potenzialmente esplosiva, dunque. A cui va unito un altro elemento. Le grandi banche, infatti, avrebbero già cominciato a sondare le imprese considerate più o meno a rischio. E questo in vista della possibilità che, così restando la situazione economica, potrebbero chieder loro di rientrare di fidi e disponibilità di fondi. In questo modo gli istituti si metterebbero al riparo da eventuali inadempienze. E però significherebbe la morte di chissà quante aziende.