Silvia Truzzi, il Fatto Quotidiano 19/9/2012, 19 settembre 2012
SCALFARI ILLUMINATO DAL MERIDIANO
Non è facile parlare dei maestri: più che un pericolo, il metus è uno scivolone certo. La soggezione che si mischia al rispetto, la coscienza di essere semplicemente ciò che si è al cospetto di chi è e ha fatto tanto. Uno spirito che attraversando e scavalcando il Novecento, ha contribuito a scriverne un pezzo di storia. Compresa la per nulla celata insofferenza per il Fatto, reo di avere “un fucile a due canne”, da cui si spara “contemporaneamente un colpo sul Pdl e uno sul Pd”; e, più recentemente, di aver portato avanti con altri un “attacco di marca eversiva” contro il Quirinale. Nonostante le profezie mortifere sul dopo Berlusconi, questo giornale è ancora in edicola.
Tutti questi pensieri si mischiano scartando il pacco con la “A” rossa che precede il marchio Mondadori: dentro c’è un Meridiano fresco di stampa, in copertina l’immagine di Eugenio Scalfari, la celebre barba bianca e una Ruga sulla fronte. Sottotitolo: “La passione dell’etica, scritti dal 1969 al 2012”. Un onore riservato a pochi viventi, il Meridiano, mezzogiorno letterario tra l’alba e il tramonto dei grandi. Ancor più se preceduto da un saggio di Alberto Asor Rosa: “Il giornalismo e molto, molto altro”, dove l’autore di Scrittori e popolo spiega di non voler proporre una biografia intellettuale e politica di Eugenio Scalfari, bensì una lettura ragionata di testi.
SCRITTI che svelano “una formidabile curiosità intellettuale”. “Si potrebbe dire che Scalfari, contraddicendo Dante (un autore del resto da lui molto amato) non è stato contento di restare al quia (la citazione è appunto dal Canto di Manfredi, III Purgatorio ndr). Si è cioè costantemente spinto in una sorta di esercizio intellettuale altamente energetico, dall’osservazione e descrizione dei fenomeni all’interpretazioni dei loro modi e ragioni, in una sorta di catena esponenziale delle cause e degli effetti, in cui a ogni passaggio corrispondono una diversa ambizione e un diverso livello del discorso”. L’avviso è d’obbligo: “Le storie dell’Autore e dell’Introduttore di questo libro non avrebbero potuto essere più diverse. Forse il punto di contatto maggiore fra i due è rappresentato dal fatto che essi non hanno mai, o quasi mai, smesso di guardarsi negli ultimi decenni”. Il saggio introduttivo del professore palindromo ha una dedica (azzardiamo: pleonastica?): a Eugenio Scalfari. Il volume nella sua interezza non ne ha una in calce, bisogna andarla a scovare nel testo, dedicato alle sue quattro donne: “Serena, Simonetta e e le mie due figlie”. È, naturalmente, un volume celebrativo. Del resto l’autore in più sedi non ha fatto mistero della propria “albagia”, parola desueta che elegantemente – Eco di un altro maestro, non meno venerato – ammette l’amore di sé: nel volume sono contenuti stralci di Incontro con Io e Scuote l’anima mia Eros, in cui il tema dell’ego, è ampiamente sviscerato.
INEDITO è il Racconto autobiografico che inizia nell’aprile del 1924 a Civitavecchia, in un palazzo della piazza centrale dove s’udirono i primi vagiti del piccolo Eugenio. Ci sono i panorami dell’infanzia, gli orizzonti liceali di uno studente “un po’ secchione” e apostrofato “Napoli” dai compagni di classe di Sanremo, dove nel frattempo si era trasferito. C’è la famiglia, la mamma romantica e dolce, il padre, dirigente al Casinò alla fine degli anni Trenta, che a 22 anni si convinse a mandarlo a Chianciano a fare il croupier per cinque mesi. E poi il sentimento poliedrico e contemporaneo per le due donne della sua vita, che si sono divise, soffrendo, l’amore del giornalista: “Una m’ha insegnato a non farmi corrompere dal potere, l’altra a non disperare della rivoluzione”. La storia personale e quella pubblica corrono, ovviamente, su un binario unico e su questo treno della memoria, dai vagoni affollatissimi, è normale incontrare Adriano Olivetti, Carlo Caracciolo, Arrigo Benedetti, tantialtri amici, giornalisti, scrittori, industriali, ministri. Fino alla prima Repubblica. L’ultima frase è dedicata alla conclusione della parabola andreottiana (“negli anni del berlusconismo è stato il testimone di un’epoca tramontata per sempre”). E una chiosa: “Nel 2008 è morto Carlo Caracciolo. Vivrà nella mia memoria finché vivrò”. Il Cavaliere? Se ne trovano tracce nella selezione di articoli usciti su Repubblica. Non sono molti. Silvio Berlusconi, adorabile canaglia; Scende in campo il ragazzo Coccodè; Il grande seduttore; Meno male che c’è Fini; Il successo della destra e la sconfitta del suo capo. Sono, immaginiamo, un viaggio che tocca tappe diverse dell’avventura berlusconiana. Dagli albori - 20 luglio 1993 - in cui Scalfari, dopo aver fatto le pulci all’impero del Cav e alla fruttuosa amicizia con Craxi, confessa: quell’adorabile mascalzone mi sta simpatico. Al crepuscolo – 31 ottobre 2010 – di un uomo “gravemente ammalato, l’attrazione verso donne giovani e giovanissime è diventata una dipendenza che gli altera la mente e manda a pezzi i suoi freni inibitori. Dovrebbe esser seguito da medici e da psico-terapeuti”. Ma quest’ultimo pezzo, “Il bunga bunga che segna la fine di un regno”, nel Meridiano Mondadori non c’è.