Stefano Folli, il Sole 24 Ore 15/9/2012, 15 settembre 2012
E’ fin troppo facile osservare che il silenzio di Berlusconi, assente anche alla festa dei giovani di Atreju, è legato agli infiniti dubbi che egli nutre sul da farsi
E’ fin troppo facile osservare che il silenzio di Berlusconi, assente anche alla festa dei giovani di Atreju, è legato agli infiniti dubbi che egli nutre sul da farsi. Ad esempio, se l’ex premier avesse deciso davvero di ricandidarsi, il problema non si porrebbe: avrebbe tutto l’interesse a mostrarsi e a parlare, visto che di fatto siamo già in campagna elettorale e il Pdl è nella parte di chi deve recuperare voti, molti voti. Viceversa dire che «non è tempo di parole», come lascia trapelare il vecchio leader, equivale alla conferma che nulla è stato deciso dalle parti di Palazzo Grazioli. E questo non sorprende. A suo tempo, il mezzo annuncio circa la volontà di ripresentare la candidatura rispondeva a diverse necessità. In primo luogo quella di tenere unito il centrodestra intorno al padre-fondatore. Ma poi si trattava anche di verificare se la magìa del nome Berlusconi era ancora tale. A quanto pare i sondaggi non si sono mossi da una soglia intorno al 18 per cento. Conviene a Berlusconi mettersi alla testa di un flop? Solo se nelle prossime settimane, in ossequio a eventi oggi imprevedibili, l’opinione pubblica si schierasse di nuovo dalla sua parte. Ma è un’eventualità assai remota. Quindi Berlusconi preferisce non esporsi. La sua voglia di candidarsi realmente è assai modesta, anche perché, per un uomo con quel passato, mettersi alla testa degli elettori diciannove anni dopo la prima esperienza vittoriosa, quella del ’94, significa dover scegliere una linea politica polemica con Monti e l’esperienza del governo tecnico. Non a caso i giornali vicini al centrodestra, come il Giornale e Libero, sono insieme quelli che incitano Berlusconi a ripresentarsi e quelli più polemici nei confronti dell’attuale presidente del Consiglio. C’è una logica: Berlusconi in campo dovrebbe trovarsi un nemico da sfidare, con la prospettiva concreta che quel nemico sia proprio il premier. Il che finirebbe per porre Berlusconi, all’età, nella prossima primavera, di quasi 77 anni, nella necessità di abbracciare una linea anti-moneta unica e anti-Europa. La stessa verso cui lo spingono i fan della sua candidatura. Ma è una linea avventurosa che il fondatore di Forza Italia non ha mai tenuto davvero in considerazione. In realtà il peso del centrodestra sarebbe sfruttato al meglio se Berlusconi lo mettesse al servizio di Monti e della politica pro-Europa. S’intende, ottenendo qualcosa in cambio di tale appoggio. Dunque il silenzio berlusconiano può essere compreso se lo si interpreta come il segno di non voler abbracciare né oggi né domani la linea populista anti-europea. Tanto più che i sostenitori di queste posizioni non sembrano in buona salute nei territori dell’Unione: si veda il risultato delle elezioni in Olanda. In altre parole, Berlusconi fa capire che preferirebbe di gran lunga non esporsi con una nuova candidatura e invece sostenere, attraverso un nome nuovo, la scelta realistica che è, sì, quella di Monti, ma anche quella del Partito Popolare europeo, formazione in cui milita la Merkel e in cui il principale segmento italiano, il Pdl (c’è anche l’Udc), è tutt’altro che irrilevante. Si dirà che il silenzio in politica non è mai una scelta convincente. È vero, ma siamo in piena transizione. E di sicuro Berlusconi osserva con estremo interesse il fenomeno Renzi, destinato ad avere effetti dirompenti sia sul Pd sia sugli stessi equilibri del centrodestra.