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 2012  settembre 18 Martedì calendario

KISSINGER ALLO STADIO IN GERMANIA


C’è qualcosa in comune tra l’ex ministro degli esteri Usa Henry Kissinger e me. Non il Premio Nobel, almeno per il momento. Ci accomuna la passione da lunga distanza, temporale e geografica, con la squadra del nostro cuore, di solito non molto fortunata. Per me i rosanero del Palermo, per lui i biancoverdi del Greuther Fürth, cittadina della Baviera.
Aveva promesso che sarebbe venuto allo stadio ad applaudire il suo club, se mai fosse riuscito a giocare nella Bundesliga, la serie A tedesca.
Il miracolo è avvenuto quest’anno e Kissinger a 89 anni ha mantenuto la promessa, sabato scorso. Un gesto simpatico di un personaggio che non gode di molte simpatie in giro per il mondo, anche se gli assegnarono il Nobel della pace, a lui guerrafondaio, come a Barack Obama. Che cosa sarebbe successo da noi, se come tifoso della Juve o della Roma fosse apparso allo stadio? Invece, qui, gli hanno lasciato godere in pace i suoi 90 minuti da tifoso.
Kissinger non ha mai nascosto la passione per il football, che però nella sua nuova patria si chiama soccer. Riuscì a far organizzare nel 1994 il campionato del mondo negli Stati Uniti per incrementare la diffusione di questo sport. Noi perdemmo la finale ai rigori contro il Brasile, e la cosa finì lì. Il soccer rimane un’attività che non conquista il cuore degli yankee, i quali preferiscono il loro rugby e il baseball. Solo le ragazze sono riuscite a diventare campionesse del mondo, ma questo, presumo, non consola il vecchio Kissinger.
A Fürth, dove nacque nel 1923, era costretto ad andare a vedere i suoi biancoverdi di nascosto, perché il padre Louis, professore di storia e geografia nel locale liceo femminile, non approvava. «Avrebbe preferito che io andassi all’opera», ha raccontato allo stadio sabato, durante l’intervallo. Allora si chiamava ancora Heinz Alfred.
Difficile negli anni Trenta raggranellare i Reichsmark per il biglietto, per sé e il più giovane fratello Walter, che aveva contagiato con il suo tifo. La famiglia, di origine ebraica, riuscì a emigrare in extremis negli Stati Uniti nel 1938. Tredici parenti finirono nelle camere a gas. Nel 1943 si arruolò nell’esercito e ottenne la cittadinanza americana. Heinz divenne Henry. Tornò nella Germania sconfitta e lavorò nel servizio segreto, il Cic, addetto alla denazificazione dei suoi ex connazionali. Ma non andò a rivedere la sua casa natale.
Kissinger, che oltre 70 anni dopo non ha perso l’accento tedesco, al momento dell’entrata in campo del Fürth è balzato in piedi come migliaia di tifosi. «Prevedo una vittoria per due a zero», ha dichiarato dimostrandosi tifoso, ma poco prudente. Ha indovinato il risultato, ma a vincere è stato il più quotato Schalke. Probabile che i biancoverdi ritornino in serie B. E Kissinger ha confidato che, sempre come me, per seguire la sua squadra, è diventato un maestro di internet: si trova sempre qualche sito pirata che trasmette gli incontri più improbabili.
Avevo visto colui che fu l’eminenza grigia di Nixon in tutt’altra occasione, quando a metà degli anni Settanta venne a presentare le sue memorie alla Buchmesse, la Fiera del libro di Francoforte. Non fu ben accolto. Perché ha fatto assassinare Allende?, gli chiesero. «Non sono stato io, ma se lo avessi fatto ne sarei orgoglioso», ribatté deciso. E perché? «Era un comunista». E come fa a dirlo? «Era in corrispondenza con Régis Debray, che è un comunista». Debray che poi divenne consigliere del socialista Mitterrand. Ma questa è un’altra storia. Forse con Henry o Heinz è meglio parlare di calcio.