Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  settembre 18 Martedì calendario

NON C’È PIÙ IL ROBOT DI UNA VOLTA

Una nuova ondata di sofisticati robot e di automazione a basso costo sta rimpiazzando il lavoro umano nel mondo tanto nelle manifatture che nella logistica dei servizi. C’è, pertanto, da chiedersi come il nostro Paese stia affrontando tali cambiamenti considerato che, nel 2004, l’Italia era il secondo utilizzatore in Europa e il quarto al mondo di robot industriali. Soltanto sistemi altamente produttivi come Giappone, Corea e Germania superavano il livello di automazione raggiunto nelle nostre fabbriche con 116 robot ogni 10mila occupati. Un impulso a questi investimenti era venuto dalla riduzione del prezzo relativo dei robot sceso di oltre 60 punti dal 1990 al 2003, mentre l’indice del costo del lavoro era salito da 100 a 160.
In quelle circostanze, il mercato dei robot era stato trainato a livello globale dalla domanda del settore automobilistico con il 36% delle vendite, seguito dal comparto chimico con il 27% e da quello meccanico-metallurgico con il 13%. D’altronde, l’introduzione dei robot nell’industria automobilistica italiana aveva avuto i suoi esordi alla Fiat alla fine degli anni Settanta, sia per porre un argine alla conflittualità operaia, alleviando le fatiche della catena di montaggio, sia per l’uscita sul mercato di una nuova generazione di congegni automatizzati molto più flessibili e adattabili alle necessità della produzione. Con l’elettronica, la microelettronica e la robotica si era assistito così a un ribaltamento dei rapporti di forza fra capitale e lavoro a vantaggio del primo, nonché al superamento del sistema della fabbrica fordista in molti settori produttivi.
Oggi, per impulso della globalizzazione e della crisi, siamo nuovamente di fronte a un cammino che si biforca. La crisi finanziaria ha prodotto un ripensamento nel rapporto fra manifattura e servizi in tutto l’Occidente. L’amministrazione Obama afferma che il cambiamento tecnologico e la robotica costituiscono una storica opportunità per gli Stati Uniti di restare competitivi: perché il solo modo per mantenere il manifatturiero è accrescere la produttività. Mentre nuove opportunità di lavoro nasceranno dalla stessa produzione dei robot che stanno diventando sempre più flessibili e, perciò, adatti a essere impiegati in una vasta gamma di lavorazioni. Oltre all’automotive e all’elettronica, c’è un enorme potenziale per la loro applicazione nei settori dei nuovi materiali, dei servizi alla persona e per uso professionale.
Sebbene nel 2009 la crisi economica e finanziaria mondiale avesse causato un crollo nelle vendite dei robot, nel 2010 la ripresa, pur variabile da regione a regione, è stata davvero consistente. Innanzitutto nel Nord America (+111%) e in Asia (+132%) con vendite che sono triplicate in Cina, Corea, e nei Paesi dell’Asean. In Europa occidentale, dopo la caduta, la domanda è tornata a salire (+50%), ma nel 2011 essa è rimasta al di sotto della media a motivo del modesto tasso di crescita degli investimenti.
Alla fine del 2010, Giappone, Corea e Germania erano i Paesi più automatizzati del mondo con una densità di 250-300 robot per 10mila dipendenti. In particolare, il Giappone risultava avere il più alto tasso di automazione nell’automotive con 1.400 robot, seguito da Italia, Germania e Stati Uniti con un range fra 1.100 e 1.200 unità. Ma Corea e Giappone avevano anche il più elevato numero di robot nei settori non-automotive, in particolare nell’elettronica. Quanto alla Germania, negli altri comparti il considerevole rapporto di 134 robot ogni 10mila lavoratori era dovuto a una diversificata e diffusa automazione nel complesso del settore manifatturiero.
La Germania continua così a restare la grande officina d’Europa. E il suo modello produttivo, che richiede lavoratori altamente qualificati per maneggiare la tecnologia degli impianti, e che ha nello schema duale scuola-impresa uno dei suoi punti di forza, viene esportato ovunque le grandi aziende tedesche investano, dal Brasile alla Cina agli Stati Uniti.
La robotica italiana, pur frazionata fra decine di piccole eccellenti imprese, è un comparto d’avanguardia che realizza all’estero il 70% del suo fatturato. Invece l’industria nazionale, in generale, sembra aver smesso di investire in innovazione. Anche se il volume delle vendite è cresciuto del 9,2% nel 2011, resta al disotto dei livelli pre-crisi, e la liquidità - dove c’è - sembra congelata in attesa di tempi migliori. Tuttavia il mercato mondiale non attende e diventerà sempre più complesso.
La finestra di opportunità per mantenere il manifatturiero in Occidente è stretta perché anche la Cina sta investendo sempre più in automazione e si prevede che nel 2014 sarà al top del mercato dei robot. Come dimostra il caso della multinazionale Foxconn, il produttore degli iPhone Apple, che sta pianificando di installare in pochi anni milioni di robot per integrare la manodopera nel Paese del Dragone.