Paolo Berizzi, la Repubblica 18/9/2012, 18 settembre 2012
LIGNANO, CONFESSA LA KILLER “CI AVEVANO RICONOSCIUTI”
LIGNANO SABBIADORO
A“Tyson” e Lisa era andata talmente bene che non ci credevano neanche loro. Infatti ci sono cascati, e mica poteva durare. Se fossero riusciti a restare a metà del guado, immobili dentro la cornice, protetti dal buon viso che si erano costruiti in questi tre anni a Lignano, da bravi «vicini di bottega» assetati di denaro
l’avrebbero sfangata.
SE, l’avessero fatta franca dopo quella macelleria quasi perfetta, magari, chissà, alla prossima li avremmo raccontati come due campioni del crimine degni di Gangster Story: altro che gelati e sala giochi. Invece hanno infilato la pulce nell’orecchio degli investigatori, e sono inciampati come tacchini. Laborde Reiver Rico, 24 anni, detto “Tyson”, un’ipertrofia muscolare un po’ sprecata per la sala giochi di un posto di mare per famiglie. Sua sorella Lisa, al secolo Lisandra Aguila Rico, 21 anni, robusta, tratti felini, gelataia in un negozio proprio di fronte alla coltelleria delle vittime. Fragile come panna quando sta per crollare; glaciale appena inizia a descrivere l’orrore. Fratelli cubani, fratelli assassini. Una rea confessa, l’altro ancora in fuga. Incastrati dal dna.
È loro la firma sul massacro dei coniugi Burgato. Il sessantasettenne Paolo e sua moglie Rosetta Sostaro, due anni di meno, sgozzati la notte del 19 agosto nella loro villa di via Annia. «Mio fratello era nervoso, è stato solo un gesto di follia, ma non volevo che finisse così», parole di Lisa che ha retto solo una notte, nemmeno poco. Sono le due del pomeriggio nella caserma dei carabinieri di Udine. Il lucido delirio — la donna ha appena confessato, sta ripercorrendo la carneficina, i Burgato sgozzati nel garage-lavanderia, “Tyson” che sbarella e non riesce a fermarsi finché non vede i corpi immobili e martoriati in un lago di sangue — spiega che cosa doveva essere quella notte e che razza di inferno è diventata.
«Avevamo pianificato tutto. La sera prima abbiamo fatto un sopralluogo davanti alla casa. Siamo rimasti lì aspettare che arrivassero. Per capire a che ora tornavano, da dove entravano...». I Burgato d’estate hanno abitudini facilmente tracciabili. Dopo avere abbassato la serranda della coltelleria di via Udine, rientrano in bicicletta. La sera della vigilia, il 18 agosto, fanno tappa per cena al ristorante. “Tyson” e Lisa gli stanno prendendo il calco. Hanno già ideato il loro format omicida. Doveva essere solo una rapina. Studiata, simulata, e però in mano a due barbari dilettanti. Il 19 sera. È ancora Lisa che racconta, davanti al pm Claudia Danelon e al capitano dei carabinieri Fabio Pasquariello. «Abbiamo aspettato due ore, in macchina. Quando sono arrivati e hanno superato il cancello siamo scesi, ci siamo infilati nella
villa e lì è iniziato tutto».
Il “tutto” dei due fratelli Rico è un assalto feroce. Si trasforma in un pezzo di Arancia Meccanica scatenato da due vicini di bottega che sanno dove colpire e perché. Lisa lavora nella gelateria “Il re del gelato”, di cui la madre, Sandra Emilia Rico, è titolare assieme al nuovo compagno. Laborde è stato apprezzato come addetto di una sala giochi («Un bravo ragazzo — dice la proprietaria, Doretta — gli ho detto che quando voleva lo avrei ripreso volentieri»). I due fratelli (figli della stessa madre ma di due padri diversi) si sono portati due coltelli da cucina («Li abbiamo
presi a casa nostra»). Sono le armi della mattanza.
Il piano ha un ordine preciso, lo conferma Lisandra nell’interrogatorio. Prima le percosse, poi la richiesta di denaro. Il magistrato la interrompe e la incalza. Ma perché proprio i coniugi Burgato? «Li conoscevamo, conoscevamo anche la villa (seppur solo dall’esterno). E credevamo che avessero soldi in casa». Non si sbagliavano. Il denaro in via Annia c’era eccome. Cinquantamila euro in contanti: 40 mila dietro il battiscopa, altri dieci sotto un maglione nell’armadio della camera da letto. Più, come
avevano già scoperto i carabinieri nei giorni immediatamente successivi al duplice omicidio, altri 60 milioni di vecchie lire, in banconote fuori corso. Dimenticati in solaio.
Che Paolo Burgato e Rosetta Sostaro non fossero proprio degli habitué della banca dove avevano il conto si sapeva: tra commercianti
le voci girano. E quelle voci erano finite all’orecchio dei due fratelli. D’estate, quando venivano a fare le vacanze e lavoravano con contratti stagionali. Tre anni fa Lisa e Laborde si stabliscono a Lignano: un ricongiungimento familiare voluto più dai due ragazzi che dalla madre (Sandra Emilia Rico, 39 anni, in Italia da 12 anni dopo il matrimonio con Enzo Spinelli, originario di Agerola). Lisa conosce quelle che sarebbero diventate le sue vittime. Vanno a prendere il gelato da lei. C’è cordialità, la consuetudine di chi lavora a dieci metri di distanza. I Burgato economicamente
stanno bene. Vendono coltelli e altra ferramenta, un’attività che non ha subito cali. Né il buco (56 milioni) dell’impresa di costruzioni del fratello di Rosetta — Rino Sostaro — ha minato le condizioni degli anziani coniugi.
Il massacro, dunque. «Abbiamo chiesto i soldi, poi la situazione ci è sfuggita di mano... Non volevamo che parlassero», dice Lisa davanti ai carabinieri. Qual è la miccia che innesca la furia omicida dei fratelli cubani? Perché un accanimento così atroce sui due corpi, ormai senza vita? La più giovane dei Rico risponde così: «Ci avevano riconosciuti — e in particolare — lui (Bugato) aveva riconosciuto mio fratello ». «Mi hermano», Tyson. Lo aveva chiamato così lei, con affetto, sul profilo Facebook. L’Hermano pur di fare bottino pieno è disposto a tutto. Persino a sgozzare le sue vittime inermi. I soldi, però, non vengono toccati. Non quelli che i carabinieri hanno trovato. Forse nemmeno altri se è vero che la casa, ogni stanza, persino il garage, al di là del sangue sparso ovunque, appare in ordine quando la mattina dopo arrivano i carabinieri.
Mentre le indagini vanno avanti i Rico brothers provavano a uscire dal quadro investigativo. Con un passo falso. Commettono un errore fatale. Partono. Una per la Campania, l’altro per Cuba. Se ne vanno via proprio quando gli investigatori stanno facendo la conta di chi é rimasto. È questo che accende i sospetti sui due fratelli cubani benvoluti dai commercianti di Lignano. Si sgonfiano le altre piste: il giro storto degli slavi, i circensi del Bellucci-Orfei, una vendetta per i debiti del fratello della Sostaro. A inchiodare Lisa e “Tyson” è la scienza. Persino contro ogni sospetto. Due impronte genetiche: una femminile e una maschile. Li catturano gli esperti del Ris nella villa dell’orrore. Un pezzo di carta, un capello, una lampadina svitata del garage. È un mosaico ma va riempito. Ci pensano i due fratelli. Lisa parte per la Campania. A Napoli ha una cugina, forse fa tappa da lei, poi trova rifugio a Pontecagnano dove l’altra sera la fermano i carabinieri (ora è in carcere a Trieste). Uno dei due Dna è suo.
L’uomo con il soprannome da pugile ha già preso un volo per Cuba. Gli investigatori sanno dov’è («La sorella su questo non è stata di aiuto»). Arrestarlo, anche se Lisa ha confessato l’omicidio, non sarà semplice: ci vuole un mandato di cattura internazionale. In caserma vengono interrogati altri cinque sudamericani, amici dei Rico. Il giallo di Lignano è risolto, ma forse manca ancora qualche pezzo.